Il patto di collaborazione strategica tra Stati Uniti e Afghanistan è “parte di un programma globale di militarizzazione del mondo”.
Di Noam Chomsky e
dei Giovani Volontari Afgani per la pace
19 dicembre 2011
[Nota del redattore: questa è la trascrizione tra i membri dei Giovani Volontari Afgani per la pace e Noam Chomsky, che si è tenuta il 21 settembre 2011. Ogni domanda è stata fatta in lingua Dari ed è stata tradotta da Hakim.]
Hakim: Parliamo dall’altopiano di Bamyan, nell’Afghanistan Centrale e volevamo iniziare ringraziandola sinceramente per la guida e la saggezza che lei ha dato alle persone con i suoi insegnamenti e i suoi discorsi in molti luoghi della terra. Cominciamo con un a domanda di Faiz.
FaizI: in un articolo di Ahmed Rashid pubblicato di recente sul New York Times, l’autore diceva che “dopo 10 anni, dovrebbe essere chiaro che la guerra in questa zona non può essere vinta soltanto con la forza militare…..I Pakistani hanno un bisogno disperato di discorsi nuovi….ma dove è la dirigenza che racconti questa storia nel modo giusto? I militari se la cavano con il loro modo di pensare antiquato perché nessuno offre un’alternativa, e senza un’alternativa nulla progredirà per molto tempo ancora.” Lei pensa che attualmente nel mondo ci siano dei dirigenti in grado di proporre una soluzione alternativa non militare per l’Afghanistan e se non ci sono da dove o da chi dovrebbe arrivare questa guida per una soluzione di questo tipo?
Noam Chomsky: Penso che sia capito bene dai capi militari e anche dai dirigenti politici degli Stati Uniti e dei loro alleati che non possono raggiungere una soluzione militare del tipo che vogliono. Questo vuol dire mettere da parte il problema: quello scopo è stato mai giustificato? Adesso mettiamolo da parte. Sanno perfettamente che non possono raggiungere una soluzione militare in base ai loro termini.
C’è una forza politica alternativa che potrebbe operare verso un tipo di accordo politico? Sapete, che in realtà la forza più importante che potrebbe servire a realizzare quello scopo, è l’opinione pubblica. La gente è già fortemente contraria alla guerra lo è stata da molto tempo, ma questo atteggiamento non si è tradotto in un movimento popolare attivo, impegnato, convinto che cerchi di cambiare politica. E questa è la cosa che deve essere fatto in questo paese.
La mia sensazione personale è che la conseguenza più importante degli sforzi di pace molto significativi che sono in corso in Afghanistan potrebbero certo stimolare i movimenti in occidente tramite contatti soltanto tra persona e persona: questo contribuirebbe a imporre una pressione sugli Stati Uniti e in particolare sulla Gran Bretagna per porre fine alla fase militare di questo conflitto e a andare verso quello che dovrebbe essere fatto: un accordo pacifico e uno sviluppo economico onesto e realistico.
Abdulai: Il dottor Ramazon Bashardost ha detto una volta ai Giovani Volontari Afgani per la pace che il popolo afgano non ha scelta perché tutte le opzioni disponibili in Afghanistan non sono buone. Gli Afgani, quindi, non hanno scelta tranne quella di scegliere la meno brutta delle opzioni brutte. In questa situazione, degli Afgani, e in particolare molti che vivono a Kabul, ritengono che l’opzione meno brutta sia quella che le forze statunitensi della coalizione restino in Afghanistan. Lei pensa che la presenza costante delle forse statunitensi nel nostro paese sia l’opzione meno cattiva? Altrimenti, quali sono le possibili opzioni buone per gli Afgani comuni?
Noam Chomsky: Sono d’accordo che non sembra esserci alcuna opzione valida e che quindi purtroppo dobbiamo tentare di cercare le opzioni la meno cattiva delle opzioni cattive. Questo giudizio lo devono dare gli Afgani. Voi siete sulla scena degli avvenimenti. Voi siete le persone che vivranno con le conseguenze della scelta. Voi siete le persone che hanno il diritto e la responsabilità di fare queste scelte delicate e spiacevoli. Io ho la mia opinione che però non ha nessun peso. Quello che importa sono le vostre opinioni.
La mia opinione è che fino a quando le forze armate saranno lì, esse aumenteranno probabilmente le tensioni e mineranno le possibilità di un patto a più lungo termine. Penso che questo sia stata la situazione degli ultimi 10 anni e questo è anche la situazione in altri posti, in Iraq per esempio. La mia sensazione, quindi è che un ritiro in fasi successive del tipo che di fatto è contemplato, potrebbe certo essere la meno cattiva delle opzioni cattive, ma se viene unita ad altri sforzi. Non basta soltanto ritirare le truppe. Ci devono essere delle alternative da stabilire. Una di queste, per esempio, che è stata ripetutamente raccomandata, è la cooperazione tra potenze nella zona che comprenderebbero, naturalmente, il Pakistan, l’Iran, l’India, la nazioni al nord e tutte queste insieme con i rappresentanti afgani, potrebbero essere in grado di elaborare un programma di sviluppo che dovrebbe essere significativo, e di collaborare per realizzarlo, spostando l’obiettivo delle attività dall’uccidere al ricostruire e al costruire. Il nocciolo dei problemi, però, deve essere trattato in Afghanistan.
Mohamed Hussein: Hanno annunciato che le forze straniere dovrebbero lasciare l’Afghanistan entro il 2014 e trasferire la responsabilità della sicurezza agli Afgani. Tuttavia, quella che abbiamo di fronte appare come una situazione molto disonesta e corrotta del governo statunitense che firma un patto di collaborazione strategica con il governo afgano per installare basi militari permanenti congiunte in Afghanistan oltre il 2014. Sembra quindi ai Giovani Volontari Afgani per la pace, che il ritiro del 2014 sia quindi illogico alla luce dei piani a più lunga scadenza che prevedono di tenere i militari in Afghanistan. Potrebbe fare un commento su questi fatti?
Noam Chomsky: Sono molto sicuro che queste aspettative sono corrette. Ci sono pochi dubbi che il governo statunitense intenda mantenere un controllo militare effettivo sull’Afghanistan con diversi mezzi: sia come se fosse uno stato cliente con basi militari e di appoggio per quelle che chiameranno truppe afgane. Anche altrove c’è questo modello. Per esempio, dopo aver bombardato la Serbia nel 1999, gli Stati Uniti mantengono un’enorme base militare in Kosovo, e questa era lo scopo dei bombardamenti. In Iraq stanno ancora costruendo basi militari anche se si sta facendo molta retorica sul ritiro da quel paese. E presumo che faranno la stessa cosa anche in Afghanistan, il che è considerata dagli Stati Uniti un’iniziativa di importanza strategica a lungo termine, all’interno dei piani di mantenimento del controllo soprattutto delle risorse energetiche e altre risorse di quella zona, compresa l’Asia occidentale e centrale. Questo è uno dei piani in corso che di fatto risalgono alla Seconda guerra mondiale.
Proprio adesso, gli Stati Uniti sono impegnati militarmente in modi diversi in quasi cento nazioni, con basi, operazioni di forze speciali, appoggio per le forze nazionali militari e di sicurezza. Questo è un programma globale di militarizzazione del mondo che fondamentalmente che va fatto risalire al quartier generale a Washington, e l’Afghanistan ne fa parte. Toccherà agli Afgani vedere se, prima di tutto, lo vogliono; secondo, se possono operare in modi che lo escludano. E’ quasi la stessa cosa che accade ora in Iraq. Ancora agli inizi del 2008, gli Stati Uniti insistevano ufficialmente che mantenevano basi militari e che erano in grado di eseguire operazioni di combattimento in Iraq e che il governo iracheno doveva privilegiare gli statunitensi che investivano in petrolio e sistemi energetici. Bene, la resistenza irachena ha costretto gli Stati Uniti a recedere abbastanza da questo piano, di fatto in maniera considerevole. Gli sforzi, però continueranno ancora. Questi sono conflitti in corso basati su principi di vecchia data. Qualsiasi successo reale che vada verso la demilitarizzazione e la ricostruzione di relazioni, richiederà soprattutto l’impegno degli Afgani, ma anche lo sforzo congiunto di gruppi popolari delle potenze occidentali perché facciano pressione sui loro governi.
Faiz: Dopo tre decenni di guerra, e dato che siamo alla fine dell’interferenza militare regionale e globale in Afghanistan, la gente si sente perduta e senza speranza. La gente sta perdendo anche la speranza e non hanno fiducia che le Nazioni Unite, che , in base al loro statuto, devono allontanare il flagello della guerra da tutte le generazioni, siano in grado di offrire una soluzione alternativa. Abbiamo parlato con associazioni di pacifisti sulla possibilità che un gruppo individui di alta qualità che potrebbe comprendere anche dei Premi Nobel, potrebbe pronunciarsi e fare una dichiarazione sulla spaventosa situazione umanitaria in Afghanistan e forse aprire un dibattito nel mondo sulle alternative da offrire ai cittadini afgani che stanno perdendo ogni speranza. Lei pensa che ci sia una qualche possibilità che le Nazioni Unite intervengano per offrire delle idee diverse in questa situazione disperata? E c’è una possibilità di un gruppo indipendente di esperti costruttori di pace che possano offrirci una via di uscita?
Noam Chomsky: Dobbiamo tenere presente che le Nazioni Unite non possono agire in modo indipendente. Possono agire soltanto nella misura in cui glielo permettono le grandi potenze, cioè in primo luogo gli Stati Uniti e anche la Gran Bretagna e la Francia, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza che pongono dei limiti a quello che possono fare le Nazioni Unite. Possono agire nell’ambito delle limitazioni che essi impongono loro; gli Stati Uniti hanno l’influenza maggiore.
Per darvi soltanto un’indicazione di questo, date un’occhiata al registri dei veti al Consiglio di Sicurezza. Nei primi tempi delle Nazioni Unite, che cominciato a operare alla fine degli anni ’40, il potere degli Stati Uniti era così ha schiacciante nel mondo, che l’ONU erano fondamentalmente uno strumento degli Stati Uniti. Quando le altre nazioni industriali si sono riprese dalla guerra ed è iniziata la colonizzazione, l’ONU in un certo modo ha rappresentato di più i popoli del mondo. E’ diventato meno controllato dagli Stati Uniti che hanno cominciato a porre il veto alle risoluzioni. Gli Stati Uniti hanno posto il loro primo veto è nel 1965, e da allora, gli Stati Uniti sono di gran lunga al primo posto nel porre il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, il che blocca l’azione. Al momento il secondo paese è la Gran Bretagna e gli altri sono più lontani. E questo andazzo continua ancora adesso. Probabilmente ci sarà un altro veto statunitense la settimana prossima. Questo è quello che avviene in generale. Se gli Stati Uniti rifiutano di permettere che si faccia una certa azione, l’ONU non può farci nulla. Altre grandi potenze hanno una certa influenza, ma minore. Il vero problema quindi è: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna saranno d’accordo a permettere azioni del tipo che sono delineate in questa domanda? E penso che possa accadere, a ancora una volta, torniamo a dove eravamo prima.
Abdulai: A nome dei giovani afgani di Bamyan e anche di quelli che ci ascoltano da Kabul la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato.
Le auguriamo ogni bene e ottima salute.
Noam Chomsky: Vi ringrazio moltissimo per avermi dato l’opportunità di parlarvi brevemente. E’ un grande privilegio, e ammiro tanto il meraviglioso lavoro che state facendo.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Maria Chiara Starace