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Il saccheggio dell’Europa ad opera della Goldman Sachs

19 lunedì Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, mike carey

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Tag

BCE, crisi europea, Goldman Sachs, grecia, Italia

di Mike Carey– 18 dicembre 2011

Non voglio suonare allarmistico ma sembra quasi che la Goldman Sachs si sia impadronita dell’Europa. Il continente ha finito per soccombere ai dettati della finanza globale, non c’era altra scelta. I banchieri ci ricattano tutti e lo stanno facendo sin dall’inizio della grande crisi finanziaria del 2008.

La reazione del governo tedesco al proprio disastroso collocamento di buoni di una settimana fa offre un grosso indizio riguardo ai giochi multimiliardari giocati nelle sale dei consigli d’amministrazione da New York a Francoforte.  L’economia più potente e resistente d’Europa non è stata in grado di ricevere un’offerta per il 35% dei suoi buoni decennali in asta. Gli osservatori affermano che si è trattato di un avvertimento dei banchieri, da entrambe le sponde dell’Atlantico: “Fa’ quel che diciamo noi, sennò …”

La Germania, attraverso il suo ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble, era stata in prima linea nell’esigere che le banche condividessero le perdite derivanti dai salvataggi sovrani che derivassero dal Meccanismo Europeo di Stabilità, previsto in vigore dall’anno prossimo.  L’asta dei titoli di stato tedeschi fallita è stata la secca risposta delle banche e Schaeuble ha dovuto fare marcia indietro.

Sin dall’inizio della crisi europea le banche hanno brigato. Si ricordi quando l’ex primo ministro greco, George Papandreou, annunciò un plebiscito per ottenere l’assenso popolare al suo piano d’austerità e i mercati sono impazziti e lui è stato scorticato. Sono stati i mercati e le banche, non il popolo greco, ad approvare la sentenza e lui se n’è dovuto andare.

Al di là del Mar Ionio l’ex primo ministro Silvio Berlusconi non aveva fatto abbastanza per soddisfare gli egoisti fantini degli schermi e loro hanno rivolto le loro armi, gli operatori in titoli, le agenzie di rating lecchine e gli speculatori azionari contro l’Italia. Correva voce che Berlusconi si stava dimettendo e la borsa saliva. No, non se ne stava andando, e la borsa scendeva di nuovo con la promessa che sarebbe salita alle stelle quando alla fine, e inevitabilmente, si è piegato alla massiccia pressione finanziaria per le sue dimissioni.  Come la notte segue il giorno, è stato sostituito da un eufemismo, un tecnocrate.  Non ci sono stati da nessuna parte discorsi riguardo ai desideri o diritti degli elettori.

Tutto ciò avrebbe potuto essere mitigato, se non addirittura evitato, se l’amministrazione Obama avesse messo in riga i banchieri tre anni fa incarcerando una dozzina, o giù di lì; ora è troppo tardi! Ma naturalmente ciò non sarebbe mai accaduto visto che la nuova squadra economica del presidente è stata ricavata dalla Goldman Sachs, o aveva forti legami con la banca. Con Summers, Rubin, Geithner e Emanuel a Washington comandava Wall Street.

E’ stato probabilmente per questo che nel 2008 la Goldman Sachs era troppo grande per essere incriminata.  Ha ricevuto più sovvenzioni e fondi di salvataggio di ogni altra banca d’investimento. E come ha ringraziato la Goldman Sachs il popolo statunitense per la sua generosità? Utilizzando miliardi di dollari dei contribuenti per arricchirsi e ricompensare i suoi dirigenti di vertice che, secondo quanto riferito, hanno ricevuto aumenti di paga e bonus incredibili pari a 18 miliardi di dollari nel 2009, 16 miliardi di dollari nel 2010 e 10 miliardi di dollari nel 2011.

Nel frattempo la Goldman Sachs si è sbarazzata di miliardi in titoli spazzatura contribuendo a distruggere l’economia globale. La società ha fuorviato gli investitori riguardo alla vera natura di questa spazzatura e ha celato il fatto che stava scommettendo contro questi stessi titoli. Viene riferito che soltanto in uno di questi contratti la Goldman Sachs ha rastrellato 2 miliardi di dollari.

Torniamo al 2002. La Goldman Sachs acquistò di nascosto 2,3 miliardi di Euro del debito greco, lo convertì in yen e dollari e poi lo rivendette immediatamente alla Grecia, apparentemente in perdita.  La Goldman Sachs aveva concluso un accordo segreto con l’allora governo del libero mercato per celare l’enorme deficit di bilancio.  La perdita confezionata della Goldman era l’immaginario utile della Grecia, semplicemente per soddisfare le richieste dell’Europa che il suo debito non superasse mai il 3% del PIL.  Ora viene riferito che la Goldman realizzò 250 milioni di dollari di commissioni sul contratto e un colpo grosso sull’assicurazione contro il rischio d’insolvenza venduta ai detentori di titoli di stato greci a copertura dell’eventualità che il paese finisse in rovina.

Apparentemente ciò divenne noto al primo ministro George Papandreou e al suo governo socialista quando salirono al potere e gli investitori richiesero tassi d’interesse mostruosi per prestare ulteriore denaro o rinnovare tale debito.

E, dunque, chi è che salverà l’Europa e, per estensione, anche noi?

Il nuovo presidente della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, conosce bene il campo di gioco.  Dopo tutto è stato vicepresidente e direttore operativo della Goldman Sachs International  a Londra e membro del Comitato di Gestione della Goldman Sachs. Presentandosi al comitato finanziario del Parlamento Europeo è stato rapido nel puntualizzare che tra il 2002 e il 2005 il suo ruolo non aveva implicato la vendita di strumenti finanziari ma era stato soprattutto consultivo.

Mario Draghi è stato anche titolare di posizioni a livello di consiglio di amministrazione o più elevate presso la Banca Mondiale, la Banca d’Italia, la Banca per i Regolamenti Internazionali, la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e la Banca Asiatica per lo Sviluppo (Asian Development Bank).

Ha sottolineato molte volte che non è compito della BCE agire da prestatore di ultima istanza degli stati, ma Draghi è assolutamente lieto di promettere illimitata liquidità alle banche.  Mentre tutti lo sollecitavano ad acquistare titoli governativi riequilibrare la barca lui sottolineava che gli acquisti di titoli da parte della BCE sarebbero stati limitati e temporanei.  In effetti qualsiasi altra operatività sarebbe stata illecita secondo la legge europea.  Secondo il Wall Street Journal del 28 novembre “la BCE ha a lungo temuto che acquistare titoli governativi per importi sufficientemente elevati per abbassare i costi di finanziamento dei paesi avrebbe potuto rendere più facile ai politici nazionali ritardare i bilanci d’austerità e le correzioni economiche che sono necessarie.”

E allora pigliatevi la medicina, scemi!

Mario Monti, il nuovo primo ministro italiano è stato nominato dai mercati, non eletto dal popolo. E, indovinate, prima di ciò è stato membro del Consiglio dei Consulenti Internazionali della Goldman Sachs e membro della Commissione Europea, uno degli organismi di governo dell’Unione Europea.  Monti è presidente europeo della Commissioni Trilaterale, un’organizzazione statunitense che promuove gli interessi USA e membro fondatore del gruppo Spinelli, creato per promuovere l’integrazione europea.

Anche in Grecia un banchiere non eletto è stato incoronato primo ministro nuovo di zecca.

Dal 1994 al 2002 Lucas Papademos è stato governatore della Banca di Grecia al tempo in cui la Goldman Sachs stata contribuendo a mascherare il deficit del paese.  Se non sapeva cosa stava succedendo, avrebbe dovuto saperlo.  Nel periodo 2002-2010 è stato vicepresidente della Banca Centrale Europea ed è anche membro della Commissione Trilaterale statunitense.

E anche se il primo ministro non è stato dipendente della Goldman Sachs, il presidente dell’Agenzia per l’Amministrazione del Debito Pubblico greco, Petros Christodoulos, è stato intermediario nelle operazioni della banca a  Londra.

Tutti concordano sul fatto che il rimedio migliore per le disgrazie dell’Europa consisterebbe nel fatto che la BCE acquistasse titoli del debito italiano e greco in misura sufficiente a mantenere i tassi d’interesse a un livello ragionevole.  Il presidente della BCE Draghi si rifiuta di muoversi sino a quando, dicono gli osservatori, la crisi non sarà tanto brutta da consentirgli di imporre il tipo di pacchetto che allargherebbe il cuore a ogni vero neoliberale: privatizzazione del patrimonio pubblico, sottomissione dei sindacati, reti di assistenza sociale e sovranità consegnate a tecnocrati non eletti. Giovedì Mario Draghi ha presagito questo attacco alla socialdemocrazia europea sollecitando un “nuovo accordo fiscale” e ora il presidente francese Sarkozy e il cancelliere tedesco Angela Merkel passano doverosamente a rimodellare il trattato che regola il governo economico del continente.

Ho visto questa austerità da stretta della cinghia negli anni ottanta quando il FMI detto al Brasile ciò che doveva tagliare per rimborsare il suo debito nei confronti di un  consorzio di banche statunitensi ed europee e della Banca Mondiale.  Ci vollero anni di sofferenza perché il vulcano dell’America Latina si riprendesse dalla sua castrazione economica.  La settimana scorsa ho sentito un commentatore finanziario descrivere la situazione attuale come il mercato che si sceglie la preda più debole mentre ciascuno dei paesi PIIGS è sotto attacco sostenuto.  La natura predatrice della bestia può considerare introdotti i piani d’austerità e le banche europee salvate, ma noi continuiamo a finire nella Seconda Grande Depressione che dovevamo avere. Dovevamo avere? Non c’è altro modo ora per ripulire il sistema, per gettare gli strozzini fuori dal tempio.

—-

Mike Carey è un giornalista vincitore del premio Walkley e produttore che è stato produttore esecutivo per otto anni della SBS Dateline.  Ha lavorato per ABC, SBS, e Al Jazeera vivendo nell’Asia Sud-orientale e in Brasile.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-goldman-saching-of-europe-by-mike-carey

Originale: Australian Broadcasting Corporation

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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La crisi dell’Europa e il “successo” della Latvia

18 domenica Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, Mark Weisbrot

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austerità, BCE, crisi economica, Eurozona, FMI, Latvia, ripresa, svalutazione interna, UE

di Mark Weisbrot  – 18 dicembre 2011

Nei mesi recenti alcuni sostenitori delle politiche d’austerità europee hanno reclamizzato la Latvia come una “storia di successo” che dimostra come “la svalutazione interna” può funzionare.  Questo era stato il tema di un libro pubblicato in precedenza quest’anno dall’Istituto Peterson per l’Economia Internazionale, uno dei gruppi di esperti più influenti di Washington.  Il libro aveva come coautori Anders Aslund, dell’Istituto, e il primo ministro della Latvia, Valdis Dombrovkis.

Questo caso di studio è molto rilevante per l’Europa perché ci sono importanti somiglianze tra la strategia economica della Latvia a partire dal 2008 e quella promossa dalle autorità europee, la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), altrimenti note come “la Troika”.

A prima vista può sembrare ridicolo definire un “successo” una strategia economica se un paese perde il 24% della sua produttività – il dato mondiale peggiore relativamente al crollo del 2008-2009 – e la disoccupazione ufficiale balza dal 5,3% (2007) a più del 20% (inizio 2010).  Anche se la disoccupazione è ora tornata al 14,4% e l’economia sta crescendo (una stima del 4% per il 2011), si tratta di un prezzo esorbitante da pagare per una ripresa finale non molto rapida.  E’ un po’ come vantarsi del successo della flessione della Grande Depressione del 1929-1933 negli Stati Uniti.

Ma i sostenitori asseriscono che quello della Latvia è stato un successo perché ha mantenuto fisso il rapporto di cambio, legato all’euro. La tesi è che se il paese avesse cercato di perseguire politiche macroeconomiche espansionistiche – ad esempio spesa governativa anticiclica, tassi di interesse più bassi, e, quindi, anche una svalutazione – le conseguenze sarebbero state molto peggiori del peggior declino al mondo.  L’idea fondamentale è che la svalutazione avrebbe avuto effetti devastanti sul “bilancio”: molte famiglie e aziende che si erano indebitate in euro ma il cui reddito era in valuta locale  sarebbero finite in bancarotta, con effetti catastrofici sul sistema bancario, ecc.

Naturalmente è vero che ci sarebbero state gravi conseguenze negative dalla svalutazione nella situazione della Latvia, e perciò questo argomento non può essere “dimostrato” falso.  Tuttavia possiamo considerare l’esperienza di altri paesi che hanno avuto svalutazioni determinate da crisi e hanno sofferto tali perdite.  Per 13 paesi nel corso degli ultimi 20 anni, la perdita media di PIL successiva a una svalutazione è stata del 4,5% del PIL. Tre anni dopo, il paese medio era del 6,5% al di sopra del suo picco ante-svalutazione.

La Latvia, in confronto, non ha svalutato e – tre anni dopo – è tuttora del 21% sotto il proprio livello del PIL ante-crisi.

Dunque la tesi che “le cose sarebbero potute andare molto peggio” non sembra plausibile. Alcuni degli altri paesi hanno sofferto gravi crolli finanziari dopo la svalutazione, come l’Argentina che è stata quasi praticamente esclusa dal credito internazionale dopo la sua svalutazione e l’insolvenza del dicembre 2001-gennaio 2002.  Tuttavia l’Argentina è andata  molto bene dopo la sua svalutazione e insolvenza, con una contrazione iniziale dell’economia del 4,9% e una  crescita  superiore al 90% nei successivi nove anni. Ma tutti questi 13 paesi con svalutazioni determinate da crisi hanno fatto ampiamente meglio della Latvia.

I costi sociali in Latvia sono stati molto più elevati di quanto indichino le cifre ufficiali della disoccupazione. La disoccupazione/sotto-occupazione (comprendenti coloro che sono costretti a lavorare a tempo parziale o che sono stati espulsi dalla forza lavoro) ha toccato l’anno scorso un picco di oltre il 30%. E una percentuale della forza lavoro  stimata nel 10% ha lasciato il paese, un’emigrazione enorme sotto ogni raffronto e una perdita significativa per la Latvia.

Tutta questa disoccupazione e miseria non è un effetto collaterale della strategia della “svalutazione interna”, ma una parte fondamentale di essa.  L’idea di una “svalutazione interna” è che, con il cambio fisso, si devono spingere al ribasso i prezzi e specialmente i salari al fine di rendere il paese più competitivo internazionalmente.  Ciò viene fatto mediante una grave recessione e un’altissima disoccupazione. Il che fa parte dell’attuale strategia della Troika per rendere più competitive la Grecia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda.

Ironicamente, la “svalutazione interna” in Latvia non ha funzionato neppure secondo i propri termini. La debole ripresa dello scorso anno e mezzo deve poco o nulla alle esportazioni nette, che sarebbero state il motore della ripresa se la svalutazione interna avesse funzionato davvero e avesse reso più competitive le imprese del paese in concorrenza nelle esportazioni e importazioni. Sembra piuttosto che l’economia si sia ripresa perché il governo ha interrotto la sua stretta sul bilancio  dopo una contrazione economica enorme e perché c’è stata una vampata di inflazione che ha aiutato il paese a uscire dal suo caos deflazionistico.

Neppure nell’Eurozona funziona la “svalutazione interna”, in quanto l’area della moneta comune appare oggi in recessione, secondo le più recenti stime dell’OCSE.  L’altra parte della strategia della Troika, un soccorso da parte delle “fate della fiducia” nei mercati obbligazionari, sta facendo ancor peggio.  I mercati obbligazionari sembrano rendersi conto che l’austerità attuale e persino gli accordi per un’austerità fiscale meglio coordinata in futuro – cosa che le autorità europee hanno annunciato con gran fanfara la settimana scorsa – non faranno che aumentare il carico del debito dell’Eurozona.

Presto o tardi le autorità europee dovranno smettere di costruire quel ponte verso il diciannovesimo secolo e utilizzare la politica economica moderna per spingere fuori dalla recessione l’economia europea.  L’Europa non può permettersi di passare quel che ha passato la Latvia, né può permetterselo il mondo: una recessione più grave in Europa potrebbe creare una crisi finanziaria del tipo di quella che cui abbiamo assistito nel 2008.  Questo è il fuoco il quale stanno giocando oggi le autorità europee.

Mark Weisbrot è codirettore del Centro per la Ricerca Economica e Politica a Washington, D.C.  E’ anche presidente di Just Foreign Policy [Politica Estera Giusta].

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/europe-s-crisis-and-latvia-s-success-by-mark-weisbrot

Originale: The Guardian

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Duri con l’euro, deboli con i nazisti

17 sabato Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, Victor Grossman

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austerità, crisi europea, Germania, neonazisti

di Victor Grossman – 16 dicembre 2011

Evviva! La Merkel ha avuto la sua giornata! C’è voluta una lunga notte di trattative dietro le quinte, ma, se si esclude quel Tory, David Cameron, tutti i membri dell’Unione Europea si sono accordati per salvare l’euro, salvare l’economia, salvare il mondo!  Era sull’orlo del disastro, aveva avvertito Sarkozy alla vigilia della riunione: se non  raggiungeremo un accordo “non avremo una seconda opportunità”!

I giornali tedeschi, pieni per giorni e settimane di questa storia arcana, hanno passato al microscopio ogni corrugamento delle sopracciglia di Angela, analizzato ogni bacio sulla guancia tra lei e Nicholas Sarkozy a Berlino, Parigi, Marsiglia o Bruxelles, e atteso in gelide ore mattutine. Ma ne è valsa la pena. O no?

Facendosi strada attraverso il gergo finanziario a proposito di tassi di interesse sulle obbligazioni, i fondi speciali, le valutazioni del merito di credito et similia, due parole sono emerse dalle profonde riunioni e dalle notti intere di  dibattiti. “Austerità” è  una di esse, “disciplina” l’altra.

Quelle “sorelle deboli” alle estremità dell’Europa, l’Irlanda e il Portogallo sulle tempestose coste atlantiche, la Grecia sulle ancor più tempestose scogliere dell’Egeo, e forse anche stati cruciali del Mediterraneo come la Spagna e l’Italia, hanno semplicemente mancato di disciplina.  I mass media tedeschi hanno offerto questa analisi ai propri lettori: vita al di sopra dei propri mezzi, nessuna corretta esazione delle imposte, corruzione e, in Grecia, pura pigrizia. “E noi dovremmo rischiare la nostra buona moneta per quei buoni a nulla?”

Vero, questi paesi hanno mancato di rispettare rigorosi parametri prussiani, che possono non essere più puliti ma almeno si sforzano di apparirlo.  E anche se le tattiche avide dei finanzieri di Wall Street o di Francoforte erano sostanzialmente le stesse dei loro colleghi greci, portoghesi o irlandesi, essi e i loro governi erano di gran lunga più ricchi e meno minacciati dalla bancarotta.

Ma il biasimo dovrebbe almeno essere condiviso. In Grecia la Goldman Sachs ha guidato il branco di lupi con somme enormi di assistenza normalmente in derivati finanziari; è sembrata così generosa allora e si è dimostrata così costosa dopo.  Poi somme enormi sono anche andate ad acquisti di armi tedesche, come sottomarini.  Certo, chi può predire le future relazioni tra Grecia e Turchia? Meglio andare sul sicuro, ammoniscono i commercianti tedeschi di armamenti, sorridendo quando ribollono dissidi riguardo a Cipro o a qualche isola dell’Egeo, lamentandosi a ogni passo verso la pace; dopotutto piazzano i sottomarini anche in Turchia.  Persino il povero Portogallo, alla peggio minacciato dall’alto mare è stato spinto a grossi acquisti di armamenti tedeschi.

No, la Germania non esporta soltanto Mercedes, Porsche o vini del Reno. Le sue vendite di armi, dai carri armati Leopard all’Arabia Saudita, ai sottomarini a Israele o alle automatiche Heckler & Koch a chiunque sia ansioso di acquistarle, hanno superato l’anno scorso il trilione di euro, conquistando la medaglia di bronzo dietro soltanto gli USA e la Russia.

Le sue grandi esportazioni, di articoli militari o di altri, meno mortali, dalla Daimler, Bayer o Siemens, hanno contribuito a farle mantenere la testa fuor d’acqua mentre gli altri annaspavano in cerca d’aria, o di euro. La sua crescente potenza economica è sembrata in qualche modo visibile nella posizione assunta dalla Merkel, meno bonaria e amichevole, più tenace e di muso duro. Ora la Germania può far valere in giro il proprio peso, in Europa e oltre, indispettendo anche i suoi vecchi mentori e compari di Washington, che ora stanno diventando rivali.

Le limitazioni iniziali sono scomparse quando è stata inghiottita la Germania dell’Est nel 1990.  L’allora Cancelliere Helmut Kohl stabilì la linea: “La Germania ha chiuso con il passato; in futuro potrà apertamente dichiarare il suo ruolo di potenza mondiale, un ruolo che ora è necessario ampliare.”  Il ministro degli esteri Kinkel fu ancora più chiaro: “Occorre padroneggiare due  compiti paralleli: all’interno del paese dobbiamo tornare a essere un unico popolo, all’esterno è ora di arrivare a ottenere qualcosa che abbiamo mancato due volte di realizzare. In accordo con i nostri vicini dobbiamo trovare la nostra strada verso un ruolo che corrisponda ai nostri desideri e al nostro potenziale.”  Il suo riferimento al doppio fallimento della Germania, che ora deve trovare coronamento, fu davvero allarmante.  Un deputato del partito della Merkel lo ha recentemente aggiornato: “E’ ora che in Europa si parli tedesco!”

Il trattato più o meno concordato a Bruxelles limiterebbe fortemente i deficit, prescriverebbe ai membri di sottoporre i propri bilanci al controllo della Commissione Europea e così renderebbe l’economia di ogni paese dell’Unione Europea, dall’Estonia a Malta, soggetta a decisioni dall’alto, con dure sanzioni per chi non segua la linea.  Questo è parte di ciò che si intende per “disciplina”.

Ciò che la disciplina farà valere sarà la “austerità”.  Molti esempi sono già disponibili; il Portogallo, la Grecia e ora l’Italia devono tagliare radicalmente i propri bilanci per salvare l’euro.  E, come negli USA, il bordello può essere stato causato dall’1% ma è il 99% che deve pagare per ripulirlo.  Imposte più alte sulle vendite di beni di consumo, calci nel sedere a migliaia di dipendenti dell’amministrazione pubblica, tasse più salate a carico dei piccoli proprietari di case, dilazione dell’età pensionabile, tagli ai sussidi; tutto ciò fa parte dell’austerità prescritta.  E quando i greci hanno obiettato hanno ricevuto una dose maggiore di disciplina, dura abbastanza con le dimissioni di un primo ministro per aver proposto un referendum democratico ma ancor più dolorosa con i manganelli sulla testa, i lacrimogeni negli occhi e le manette ai polsi. Atene e Oakland hanno molto in comune! La formula è semplice come l’abicì, come Angela-Boehner-Cantor.

Ogni economista corretto concorda sul fatto che tagliare stipendi e salari e attaccare le pensioni in tempi duri è puro veleno.  Come ha affermato il New York Times in un editoriale (10.12.2011): “Un patto che leghi tutti i membri a una maggiore austerità in un periodo di recessione è esattamente ciò di cui l’Europa oggi non ha bisogno.”   Ciò nonostante consente ancora grandi profitti ai ragazzi di successo, con l’aiuto del governo, anche nei paesi colpiti più duramente, ma soprattutto in Germania, dove, anche se non troppo proclamata o visibile, maggiore austerità è in programma dopo le elezioni del 2013.

Ciò rivela un’altra faccia di questa gemma dalle molte sfaccettature.  Ogni volta che l’economia di un paese si indebolisce, a soffrirne di più sono i sottopagati, i sovraccarichi e i senza lavoro.  Se c’è una Sinistra bene organizzata o un forte movimento sindacale è possibile contrattaccare, anche contro le previsioni, simbolizzate dagli spray al peperoncino e dalle manette di plastica.  I sindacati greci, portoghesi e italiani hanno dimostrato un vero spirito combattivo.  Dove mancano questi elementi, o hanno troppo spesso capitolato, lo scontento crescente si rivolge alla destra, con marce in scarponi militari e dando la colpa della mancanza di lavoro o di case accessibili agli immigranti in frenetica ricerca di asilo dalla miseria più nera nelle loro patrie più calde ma di gran lunga più povere.

Ottant’anni fa la colpa veniva data agli ebrei. Oggi è degli algerini, turchi, arabi o di tutti i mussulmani, con i loro minareti, turbanti o nomi “diversi”. O degli “zingari”, per secoli buoni per un pogrom di tanto in tanto. In un paese europeo dopo l’altro, l’estrema destra ha guadagnato forza, o in giacca e cravatta facendo della retorica sulle richieste sociali, oppure sbandierando apertamente slogan e gesti terrificanti del passato.  E sempre attaccando gli “stranieri” e quelli di sinistra a parole e a volte con atti sanguinosi.  I loro progressi minacciano l’Olanda, la Svizzera, l’Austria, l’Italia, la Svezia, la Norvegia, forse peggio di tutti gli altri paesi l’Ungheria, già rimbombante di echi fascisti del passato.  Quanto saranno rappresentati gli entusiasti di Franco nel nuovo governo spagnolo? Può Marine Le Pen, più moderna ma non più moderata del suo padre fascista, conquistare un secondo o anche primo posto nelle imminenti elezioni francesi? C’è parecchio di cui rabbrividire!

In Germania il fascista Partito Nazional-Democratico della Germania (NPD) ha conquistato seggi alle elezioni statali nella Germania Orientale e in alcuni quartieri.  Tuttavia, solitamente sotto il quattro per cento, non ha uguagliato le grandi conquiste di altri paesi.  E’ presente lo stesso, comunque, e costruendo basi elettorali locali e attendendo una maggiore austerità tedesca, il cui arrivo è più smorzato qui rispetto ad altrove, ma minacciosamente percepibile lo stesso.

La gente di sinistra, fuori e dentro il partito della sinistra, non hanno mai cessato di ammonire contro questo pericolo e di agire contro di esso. Ogni volta e dovunque i nazisti hanno marciato – in media marciano in due, tre e addirittura cinque località diverse ogni fine settimana – sono stati accolti da controdimostrazioni, in modo più deciso lo scorso febbraio a Dresda, dove 18.000 antifascisti hanno fatto fallire i piani nazisti di una manifestazione e una marcia.  Per anni la sinistra ha sollecitato una messa fuori legge del NPD, in modo da tagliare le centinaia di migliaia, persino milioni di sovvenzioni governative ricevute in base ai loro risultati elettorali, la loro principale risorsa finanziaria. Una messa al bando cancellerebbe anche la fervente protezione che ottengono quando marciano e diffondono la loro propaganda di odio contro gli stranieri.  Un tentativo di metterli fuori legge è fallito nel 2003; c’erano così tanti agenti della Verfassungsschutz (l’organismo per la Protezione della Costituzione, simile allo FBI) in posizioni di dirigenza nello NPD che è stato impossibile un processo senza denunciare quei gentiluomini; e i loro ruoli attivi.  Il governo ha fatto marcia indietro.  Ha continuato a trattare da cittadini onesti gli uomini dello NPD e i teppisti loro alleati.  Oppure i “pericolosi estremisti di destra” sono stati fatti equivalere ai “pericolosi estremisti di sinistra”. L’attenzione più ostile è stata sempre riservata alla sinistra.

Improvvisamente tutto ciò si è sgretolato. In un’esplosione sono morti due terroristi nazisti e un terzo, una donna, si è arresa alla polizia.  Loro e i loro complici avevano ucciso negli anni precedenti dieci commercianti al dettaglio turchi e greci, anche una poliziotta, avevano ferito ventidue persone facendo scoppiare una bomba, avevano condotto rapine in banca e cercato di distruggere una sinagoga.  Non erano mai stati presi.  Poi altri complici sono stati arrestati e sono stati divulgati nuovi fatti.  I politici sino ad allora ignari hanno improvvisamente scoperto, dichiarandolo ad alta voce, quanto si erano opposti all’estremismo di destra e avevano pianto le vittime dell’odio nazista, di cui sino a quel momento non si erano curati affatto.  Tirate le somme, più di 180 persone erano state uccise in vent’anni da gente di destra, mentre le autorità preferivano attaccare la sinistra, alcuni dei cui sostenitori più indisciplinati (o erano provocatori della polizia?) occasionalmente tiravano bottiglie e sassi contro i nazisti, o forse contro i poliziotti che li proteggevano.

E’ stato presto evidente che la Verfassungsschutz, incaricata di controllare il terrorismo, con almeno 130 agenti in posizioni dirigenziali nello NPD che aveva chiari collegamenti con la scena teppistica nazista, in qualche modo non aveva prevenuto, riferito o addirittura notato gli omicidi, che erano andati tutti impuniti.  Né aveva identificato i responsabili che difficilmente erano sconosciuti nelle loro zone di residenza.

Nonostante la sconvolta sorpresa dei media e della maggior parte dei partiti, non si trattava certo di una novità. Come i Servizi di Intelligence (per lo spionaggio all’estero) la Verfassungsschutz era stata gestita per anni in larga misura da nazisti. Il suo presidente dal 1955 al 1972 era stato Hubert Schruebbers, un membro del partito nazista e malvagio pubblico ministero che aveva inviato ebrei e antinazisti in prigione, in campi di concentramento e alla morte.  Il suo odio per i comunisti gli aveva naturalmente garantito il posto dopo la guerra, indipendentemente dal suo passato.  Il suo vicepresidente dal 1951 al 1964, ex colonnello nazista, aveva preso parte a deportazioni di ebrei; altri alti dirigenti erano stati membri  delle SS o della Gestapo  attivi in Olanda, Polonia, Unione Sovietica, Francia e Norvegia, spesso con grande esperienza: in torture e omicidi.  Questi uomini sono morti, ma i loro successori hanno spesso mantenuto tradizioni e collegamenti, anche quando, dopo la riunificazione, la Germania Occidentale si è dedicata a insegnare la democrazia ai tedeschi dell’est.

Nei primi giorni dopo che gli omicidi (e le probabili coperture) sono venuti alla luce, tutti i partiti di sono dichiarati d’accordo sul fatto che lo NPD doveva essere messo fuori legge. Ma gradualmente sono sorti i dubbi:  gli stati amministrati dai democristiani non sono ansiosi di ritirare i loro agenti segreti nello NPD.  Stanno procrastinando. Ma se un secondo tentativo di mettere al bando il partito dovesse essere sconfitto in tribunale sarebbe una grossa spinta per i pargoli di Hitler.

Generalizzazioni eccessive circa i partiti tedeschi di governo sono rischiose. Ma c’è una lunga tradizione storica, non solo in Germania: in tempi di grande tensione i poteri in essere preferiscono sempre l’estrema destra che minaccia le loro proprietà, i loro portafogli azionari e i loro bonus piuttosto che la sinistra che realmente li minaccia.  Questo nuovo accordo sull’euro difficilmente eviterà tale tensione o proteggerà il 99% della popolazione che sta in basso.  Sta già facendo l’opposto, con ciascun paese che cita i tagli fatti passare nei paesi vicini più deboli per giustificare nuovi tagli nel proprio, spingendo così in basso il livello dell’intera Europa.  E l’austerità richiede disciplina, anche quella di tipo violento citata più sopra.

Chi sono i poteri in essere? Uno dei maggiori contendenti al titolo sarebbe Josef Ackermann, amministratore delegato della Deutsche Bank, con il suoi 9,6 milioni di euro di reddito (2009). E’ appena finito sui titoli di prima pagina per una lettera bomba che gli è stata indirizzata, presumibilmente da un oscuro gruppo anarchico italiano.  Ciò ha temporaneamente fatto passare in secondo piano la storia degli assassini nazisti; sì, siamo tornati all’estremismo di sinistra.  La bomba, scoperta prima che potesse ferire qualcuno, è arrivata in un momento così appropriato che ha anche provocato un cauto scetticismo tra alcuni cinici.

Ma la Deutsche Bank di Ackermann merita in effetti attenzione. E’ stata uno dei principali finanziatori della Grecia, non molto dietro la Goldman Sachs. E’ stata anche una protagonista principale del racket dei pignoramenti delle ipoteche sui mutui negli Stati Uniti, una causa e una vincitrice dell’intera miseria della recessione.  Pochi nei media hanno gradito ricordare che la Deutsche Bank fu una protagonista principale delle finanze della prima guerra mondiale, poi una sostenitrice chiave dell’ascesa al potere di Hitler, una profittatrice dell’occupazione di gran parte dell’Europa e un’investitrice diretta nel campo della morte di Auschwitz.  Ora impiega 100.000 persone in tutto il mondo e non è potente solo in Germania. I suoi stretti collegamenti con Angela Merkel sono divenuti visibili in modo imbarazzante tre anni fa, quando si è appreso che lei aveva riservato a Ackermann una lussuosa festa privata di compleanno nel suo quartier generale di Berlino, paragonabile alla Casa Bianca, con la presenza di circa venticinque amici selezionati da lui.

Anche se svizzero, è sicuramente l’uomo più potente in Germania e oltre; lei è tuttora la donna più potente, ora, nella maggior parte dell’Europa. La stretta collaborazione e collusione tra questi due, con una crisi europea tuttora minacciosa e una riserva in destra sullo sfondo, fanno sì che uno si auguri ardentemente che tutti a sinistra, ora con i nuovi modelli del movimento Occupiamo, possano farsi avanti. Sono urgentemente necessari ora e potrebbero esserlo ancor di più negli anni a venire.  

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/tough-on-euros-weak-on-nazis-by-victor-grossman

Originale: Berlin Bulletin No. 35

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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UE: la transizione mortale dalla socialdemocrazia all’oligarchia

15 giovedì Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, MIchael Hudson

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banchieri, BCE, crisi, Economia, finanza, FMI, insolvenza

di Michael Hudson   -14 dicembre 2011

Il modo più semplice per comprendere la crisi finanziaria dell’Europa consiste nel guardare alle soluzioni che vengono proposte per risolverla.  Sono il sogno dei banchieri, un palo della cuccagna di regali che pochi elettori probabilmente approverebbero in un referendum democratico. Gli strateghi delle banche hanno imparato a non sottoporre i loro piani al voto democratico, dopo che gli islandesi si sono rifiutati per due volte, nel 2010 e 2011, di approvare la capitolazione del loro governo al rimborso all’Inghilterra e all’Olanda delle perdite incorse dalle mal regolamentate banche islandesi che avevano operato all’estero.  In assenza di un tale referendum le dimostrazioni di massa sono state il solo modo in cui gli elettori greci hanno potuto manifestare la propria opposizione ai 50 miliardi di euro di privatizzazioni svendute pretese dalla Banca Centrale Europea (BCE) nell’autunno 2011.

Il problema è che alla Grecia manca il contante per ripagare i propri debiti e gli interessi.  La BCE sta pretendendo che il paese svenda il proprio patrimonio pubblico – terreni, acqua, sistemi fognari, porti e altri beni del demanio pubblico – e anche tagli le pensioni e altri pagamenti alla popolazione.  Il 99% che sta in basso è comprensibilmente arrabbiato nell’apprendere che lo strato più ricco della popolazione è largamente responsabile del deficit di bilancio avendo messo al sicuro all’estero, a quanto risulta, 45 miliardi di euro nelle sole banche svizzere.  L’idea che i normali salariati siano obbligati a rinunciare alle pensioni per pagare per gli evasori fiscali – e per la generale mancata tassazione della ricchezza a partire dal regime dei colonnelli – rende la maggior parte delle persone comprensibilmente rabbiosa.  Per la “troika” BCE, UE e FMI affermare che, indipendentemente da quanto i ricchi incassino, rubino o evadano, il pagamento deve essere fatto dalla popolazione in generale non è una posizione politicamente neutrale. Discende fortemente dalla posizione dalla parte dei ricchi che ha scorrettamente assunto.

Una politica fiscale democratica ripristinerebbe la tassazione progressiva sul reddito e la proprietà, e ne imporrebbe l’incasso con sanzioni per l’evasione.  Sin dal diciannovesimo secolo i riformatori democratici hanno cercato di liberare le economie dagli sprechi, dalla corruzione e dal “reddito con guadagnato”.  Ma la troika BCE sta imponendo una tassazione regressiva, che può essere imposta soltanto affidando la politica governativa a un gruppo di tecnocrati non eletti.

Chiamare ‘tecnocrati’ gli amministratori di una politica così antidemocratica sembra un cinico eufemismo dal suono scientifico per riferirsi ai lobbisti e burocrati della finanza ritenuti utilmente di mente tanto ristretta da agire da utili idioti nell’interesse dei propri patroni. La loro ideologia è la stessa filosofia dell’austerità che il FMI impose ai debitori del Terzo Mondo dagli anni ’60 agli anni ’80.  Pretendendo di stabilizzare la bilancia dei pagamenti introducendo i liberi mercati, questi dirigenti svendettero i settori esportatori e le infrastrutture fondamentali ad acquirenti delle nazioni creditrici.  L’effetto fu una spinta delle economie tormentate dall’austerità a indebitarsi ancora di più nei confronti delle banche straniere e delle oligarchie nazionali degli stessi paesi.

Questo è il binario sul quale sono state avviate le socialdemocrazie dell’eurozona. Sotto la copertura politica dell’emergenza finanziaria, le paghe e i livelli di vita devono essere ridimensionate e il potere politico deve essere trasferito dal governo eletto a tecnocrati che governino per conto delle grandi banche e istituzioni finanziarie. La manodopera del settore pubblico deve essere privatizzata – e desindacalizzata – mentre l’assistenza sociale, i piani pensionistici e l’assistenza sanitaria devono essere ridimensionati anch’essi.

Questo è il programma politica di base seguito dagli scalatori delle imprese quando svuotano i piani pensionistici delle aziende per rimborsare i propri sostenitori finanziari nelle operazioni di acquisizione a debito [leveraged buy out]. E’ anche così che è stata privatizzata l’economia dell’ex Unione Sovietica dopo il 1991, trasferendo il patrimonio pubblico nelle mani di cleptocrati che hanno collaborato con i banchieri occidentali per fare della borsa russa e di altre le beniamine dei mercati finanziari globali.  Le imposte sul patrimonio furono ridotte mentre vennero imposte tasse fisse sui salari (per un totale del 59% in Latvia).  L’industria fu smantellata mentre i diritti fondiari e minerari venivano trasferiti a stranieri, le economie venivano spinte all’indebitamento e i lavoratori, specializzati e non specializzati, venivano costretti a emigrare per trovare lavoro.

Fingendo di esseri dediti alla stabilizzazione dei prezzi e al libero mercato, i banchieri gonfiarono una bolla creditizia immobiliare.  Il reddito degli affitti fu capitalizzato in finanziamenti bancari e speso per pagare gli interessi. Tutto ciò fu enormemente redditizio per i banchieri ma lasciò i paesi baltici e gran parte dell’Europa Centrale in una situazione debitoria tesa e con un capitale in negativo entro il 2008.  I neoliberali plaudono ai livelli salariali che hanno fatto precipitare e al PIL in calo, come a una storia di successo, perché quei paesi hanno trasferito l’onere fiscale sul lavoro, piuttosto che sulla proprietà o sulla finanza. I governi hanno salvato le banche a spese dei contribuenti.

E’ assiomatico che la soluzione a ogni grande problema sociale tenda a crearne di maggiori, non sempre intenzionalmente! Dal punto di vista del settore finanziario la “soluzione alla crisi dell’Eurozona consiste nell’invertire gli obiettivi dell’Era Progressista di un secolo fa, quella che speranzosamente John Maynard Keynes definì nel 1936 “l’eutanasia di chi vive di rendita (rentier).”  L’idea era di subordinare il sistema bancario a servire l’economia invece del contrario.  Invece la finanza è diventata il nuovo modo di fare la guerra, meno evidentemente sanguinoso ma con gli stessi obiettivi delle invasioni vichinghe di mille anni fa e con la conseguente conquista coloniale dell’Europa: appropriazione di terre e di risorse naturali, di infrastrutture e di qualsiasi altra attività che possa generare un flusso di entrate.  Fu per capitalizzare e stimare tali valori, ad esempio, che Guglielmo il Conquistatore compilò dopo il  1066 il Domesday Book [il ‘libro del giorno del giudizio’, un censimento delle proprietà inglesi – n.d.t.], un modello per  calcoli in stile BCE e FMI di oggi.

L’appropriazione del surplus economico per rimborsare i banchieri sta capovolgendo i valori tradizionali della maggior parte degli europei.  L’imposizione dell’austerità economica, lo smantellamento della spesa sociale, le svendite del patrimonio pubblico, la de-sindacalizzazione del lavoro, i livelli salariali in caduta, il ridimensionamento dei piani pensionistici e dell’assistenza sanitaria in paesi soggetti a regole democratiche richiede di convincere gli elettori che non ci sono alternative. Si afferma che senza un sistema bancario redditizio (non importa quanto predace) l’economia andrà a pezzi con le perdite bancarie sui prestiti cattivi e sui giochi d’azzardo che abbatteranno il sistema dei pagamenti. Nessun organismo regolamentare potrà essere d’aiuto, nessuna miglior politica fiscale, niente se non la consegna del controllo ai lobbisti per salvare le banche dal perdere le pretese finanziarie che hanno costruito.

Quello che vogliono le banche è che il surplus economico sia utilizzato per pagare gli interessi e non sia utilizzato per migliorare il livello di vita, la spesa pubblica o addirittura per nuovi investimenti di capitale. Le attività di ricerca e sviluppo richiedono troppo tempo. La finanza vive nel breve termine. Questa prospettiva di breve termine è autodistruttiva e tuttavia viene presentata come scienza.  L’alternativa, viene detto agli elettori, è la schiavitù: interferire con il “libero mercato” attraverso regolamentazioni della finanza e persino con una fiscalità progressiva.

Naturalmente c’è un’alternativa. E’ quella che la civiltà europea dagli Scolastici del tredicesimo secolo all’Illuminismo e alla fioritura dell’economia politica classica ha cercato di creare: un’economia libera da redditi non guadagnati, libera da poteri forti che utilizzino privilegi speciali per “ricavare una rendita”.  Per mano dei neoliberali, invece, il libero mercato è un mercato libero a favore della classe dei redditieri perché essi ottengano interessi, rendite e monopolio sui prezzi.

Gli interessi dei redditieri [rentier] presentano il proprio comportamento come un’efficiente “creazione di ricchezza”.  Le scuole di economia aziendale insegnano ai privatizzatori come organizzare prestiti finanziari e collocamento di obbligazioni impegnando tutto quello che possono affinché i servizi pubblici infrastrutturali siano ceduti dai governi.  L’idea è di utilizzare le entrate per pagare gli interessi alle banche e agli obbligazionisti e poi conseguire un utile di capitale aumentando i pedaggi per l’accesso alle strade e ai porti, all’acqua e all’utilizzo delle fognature e ad altri servizi fondamentali.  Ai governi viene detto che le economie possono essere gestite in modo più efficiente smantellando i programmi pubblici e svendendone il patrimonio.

Il divario tra lo scopo ostentato e l’effetto reale non è mai stato più ipocrita.  Rendere i pagamenti di interessi (e anche gli utili di capitale) esenti da imposte priva i governi delle entrate dalle tariffe degli utenti cui rinunciano, aumentando così i loro deficit di bilancio.  E invece di promuovere la stabilità dei prezzi (l’apparente priorità della BCE) la privatizzazione aumenta i prezzi delle infrastrutture, degli alloggi e di altri costi del vivere e fa affari con l’addebito di interessi e di altre spese finanziarie generali, e assicura remunerazioni molto più elevate alla dirigenza.  E’ dunque soltanto un’affermazione ideologica automatica che questa politica sia più efficiente semplicemente perché a indebitarsi sono i privatizzatori e non il governo.

Non c’è alcuna necessità tecnica o economica che la dirigenza finanziaria europea imponga la depressione a gran parte della popolazione.  Ma c’è una grande occasione di profitto per le banche che hanno ottenuto il controllo della politica economica della BCE.  A partire dagli anni ’60, la crisi della bilancia dei pagamenti ha offerto ai banchieri e agli investitori liquidi di prendere il controllo della politica fiscale, di trasferire l’onere fiscale sul lavoro e di smantellare la spesa sociale a favore delle sovvenzioni a investitori stranieri e al settore finanziario.  Essi guadagnano dalle politiche d’austerità che riducono la qualità della vita e la spesa sociale.  Una crisi del debito consente all’élite finanziaria nazionale e ai banchieri stranieri di indebitare il resto della società, utilizzando i propri privilegi creditizi (o i risparmi derivanti da politiche fiscali meno progressive) come leva per impossessarsi di beni e per ridurre le popolazioni in uno stato di dipendenza dal debito.

Il tipo di guerra che oggi divora l’Europa è dunque più che economica nella sua portata.  Minaccia di diventare una linea di divisione storica  tra l’epoca dello scorso mezzo secolo di speranza e di potenziale tecnologico e una nuova era di polarizzazione con l’oligarchia finanziaria che prende il posto dei governi democratici e riduce le popolazioni in uno stato di schiavitù del debito.

Perché un’appropriazione del patrimonio e del potere così sfacciata possa riuscire, è necessario che una crisi sospenda i normali processi legislativi politici e democratici che vi si opporrebbero. Il panico e l’anarchia politici creano un vuoto in cui gli arraffoni possono muoversi velocemente, usando la retorica dell’inganno finanziario e di un’economia d’accatto per razionalizzare soluzioni egoistiche attraverso una visione falsa della storia economica e, nel caso dell’odierna BCE, della storia tedesca in particolare.

* * *

I governi non hanno bisogno di indebitarsi presso banchieri commerciali o altri finanziatori. Sin da quando è stata fondata la Banca d’Inghilterra, nel 1694, le banche centrali hanno stampato denaro per finanziare la spesa pubblica. Anche i banchieri creano liberamente denaro quando fanno un prestito e accreditano il conto del cliente in cambio di un pagherò gravato da interessi. Oggi queste banche possono prendere a prestito riserve dalle banche centrali governative a un basso tasso d’interesse (0,25% negli Stati Uniti) e prestare quel denaro a tassi più elevati.  Cosicché le banche sono ben liete di vedere le banche centrali governative creare credito da prestar loro.  Ma quando si tratta di governi che creino  moneta per finanziare i propri deficit di bilancio da spendere nel resto dell’economia, le banche preferirebbero avere questo mercato e i relativi interessi solo per sé.

Le banche commerciali europee sono particolarmente categoriche riguardo al fatto che la Banca Centrale Europea non dovrebbe finanziare i deficit governativi.  Ma la creazione privata di credito non è necessariamente meno inflattiva della monetizzazione governativa dei propri deficit (semplicemente stampando il denaro necessario). La maggior parte dei prestiti delle banche commerciali sono concessi con garanzie su immobili, azioni e obbligazioni, fornendo credito che viene utilizzato per rilanciare i prezzi degli alloggi e dei titoli finanziari (come nel caso delle acquisizioni a debito).

E’ principalmente il governo che spende il credito nell’economia “reale”, nella misura in cui i deficit del bilancio pubblico impiegano lavoro o sono spesi in beni e servizi.  I governi evitano di pagare interessi facendo stampare denaro alle proprie banche centrali sulle proprie tastiere dei computer anziché prendere a prestito da banche che fanno la stessa cosa sulle loro tastiere.  (Abraham Lincoln non fece altro che stampare moneta quando finanziò la Guerra Civile statunitense con il “biglietti verdi”).

Alle banche piacerebbe utilizzare il proprio privilegio di creare credito per ricavare interessi da prestiti ai governi per finanziare i deficit dei bilanci pubblici.  Esse hanno dunque un interesse egoistico a limitare l’ “opzione pubblica” di monetizzare i propri deficit di bilancio.  Per garantirsi il monopolio del proprio privilegio di creare credito, le banche hanno montato una vasta campagna di denigrazione dell’avversario riguardo alla spesa governativa e, in realtà, contro l’autorità governativa in generale, che risulta essere l’unica autorità con un potere sufficiente a controllare il loro potere o a offrire opzioni finanziarie alternative, come fanno le banche del risparmio postale in Giappone, in Russia e in altri paesi.  Questa concorrenza tra banche e governo spiega le false accuse mosse alla creazione di credito da parte del governo in quanto dichiarata più inflazionistica di quella della banche commerciali.

La realtà è chiarita dal confronto tra il modo in cui gli Stati Uniti, l’Inghilterra e l’Europa gestiscono le proprie finanze pubbliche.  Il Tesoro statunitense è di gran lunga il maggior debitore e le sue banche maggiori sembrano avere un capitale negativo, essendo debitrici nei confronti dei propri depositanti e di altre istituzioni finanziarie di somme molto superiori a quelle che possono essere pagate con il loro portafoglio di prestiti, investimenti e giochi finanziari assortiti.  Tuttavia, mentre i disordini finanziari globali si intensificano, gli investitori istituzionali investono il loro denaro in buoni del tesoro USA, in misura così vasta che questi titolo non rendono più dell’1%.  Per contro, un quarto del settore immobiliare USA ha un capitale negativo, gli stati e le amministrazioni cittadine statunitensi si trovano a confrontarsi con l’insolvenza e devono ridimensionare le spese.  Grandi imprese finiscono in bancarotta, i piani pensione sono in arretrati sempre maggiori, e tuttavia l’economia USA resta una calamita per i risparmi globali.

Anche l’economia inglese sta vacillando, e tuttavia il governo paga solo il 2% di interessi. Ma i governi europei pagano più del 7%. Il motivo di tale disparità è che questi ultimi sono privi dell’ “opzione pubblica” di creare moneta. L’avere una Federal Reserve Bank o la Banca d’Inghilterra che possono stampare denaro per pagare interessi o rinnovare i debiti esistenti è ciò che rende gli Stati Uniti e l’Inghilterra diversi dall’Europa. Nessuno si aspetta che queste due nazioni siano costrette a svendere i terreni pubblici e altri beni per raccogliere i fondi per pagare (anche se possono farlo come scelta politica).  Dato che il Tesoro USA e la Federal Reserve possono creare nuova moneta, ne consegue che, fintanto che i debiti del governo sono denominati in dollari, possono firmare abbastanza cambiali sulle tastiere dei propri computer da far sì che l’unico rischio corso dai detentori di buoni del tesoro USA è quello del tasso di cambio del dollaro rispetto alle altre valute.

Per contro, l’Eurozona ha una banca centrale ma l’articolo 123 del Trattato di Lisbona vieta alla BCE di fare quello che le altre banche centrale sono state fondate per fare: creare il denaro per finanziare i deficit di bilancio governativi o per rinnovare prestiti in scadenza.  Gli storici del futuro senza dubbio troveranno notevole che ci sia realmente della razionalità a sostegno di tale politica, o almeno la pretesa di una storia di copertura.  E’ una cosa così inconsistente che qualsiasi studente di storia può capire quanto sia distorta. L’affermazione è che se una banca centrale crea credito, ciò minaccia la stabilità dei prezzi.  A essere considerata inflazionistica è solo la spesa governativa, non il credito privato!

L’amministrazione Clinton ha equilibrato il bilancio del governo USA alla fine degli anni ’90, e tuttavia stava esplodendo l’Economia delle Bolle.  D’altro canto il Tesoro e la Federal Reserve hanno inondato l’economia con 13 trilioni di dollari di crediti al sistema del credito bancario dopo il settembre 2008 e con ulteriori 800 miliardi di dollari l’estate scorsa attraverso il programma di Agevolazione Quantitativa della Federal Reserve (QE2).  E tuttavia i prezzi al consumo e delle materie prime non stanno salendo.  Nemmeno i prezzi degli immobili e del mercato azionario sono rilanciati.  Dunque l’idea che più denaro significhi prezzi più alti (MV=PT *) oggi non funziona.    [* Equazione degli Scambi (ES)di Fisher:MV = PT,  dove M = quantità  di moneta, V = velocità di circolazione della moneta, T = numero di transazioni, P = livello generale dei prezzi – n.d.t.].

Le banche commerciali creano debito. E’ il loro prodotto. La leva su debito è stata utilizzata per più di un decennio per rilanciare i prezzi – rendendo più costoso per i cittadini statunitensi avere una casa o acquistare una polizza che garantisca un reddito pensionistico – ma l’economia odierna sta soffrendo di una deflazione da debito con i redditi personali, quelli da attività e le entrate fiscali che sono dirottati a rimborsare i debiti anziché a spendere in beni o a investire o ad assumere.

Molto più impressionante è la parodia della storia tedesca che viene ripetuta in continuazione, come se la ripetizione in qualche modo possa far smettere alla gente di ricordare quello che in realtà è accaduto nel ventesimo secolo.  A sentir raccontare la storia dai dirigenti della BCE, sembrerebbe avventato da parte di una banca centrale finanziare il governo, a motivo del rischio di super-inflazione. Vengono esibiti ricordi dell’inflazione di Weimar in Germania negli anni ’20.   Ma, esaminato, ciò risulta essere quello che gli psichiatri chiamano un ricordo artificiale: una condizione in cui un paziente è convinto di aver sofferto un trauma che sembra reale, ma che in realtà  non esiste.

Quel che è accaduto nel 1921 non è stato un caso di governi indebitatisi presso banche centrali per finanziare spese interne come programmi sociali, pensioni o assistenza sanitaria come oggi.  Piuttosto l’obbligo della Germania di pagare le riparazioni ha portato la Reichsbank a inondare i mercati delle valute estere di marchi tedeschi per ottenere la valuta necessaria per comprare sterline inglesi, franchi francesi e altre valute per pagare gli Alleati, che usavano quel denaro per rimborsare i debiti degli eserciti Inter-Alleati verso gli Stati Uniti.  L’iperinflazione della nazione ha avuto origine dal suo obbligo di pagare le sue obbligazioni in valuta estera.  Nessun importo di tassazione interna avrebbe raccolto la valuta straniera di cui era programmato il pagamento.

Arrivati agli anni ’30 questo fenomeno era ben noto, spiegato da Keynes e da altri che avevano analizzato i limiti strutturali della capacità di pagare il debito estero imposto indipendentemente dalla capacità di attingere ai bilanci valutari nazionali in essere.  Dal testo del 1931 di Salomon Flink ‘The Reichsbank and Economic Germany’ agli studi sulle iper-inflazioni cilena e di altri paesi del Terzo Mondo, gli economisti hanno scoperto all’opera una causa comune, basata sulla bilancia dei pagamenti. Per primo arriva un crollo dei rapporti di cambio. Ciò aumenta il prezzo delle importazioni e, in conseguenza, il livello nazionale dei prezzi.  Servono più soldi per effettuare acquisti a prezzi più alti.  La sequenza statistica e la catena causale portano dal deficit della bilancia dei pagamenti al deprezzamento della moneta aumentando i costi delle importazioni e da questo aumento dei prezzi alla immissioni di liquidità, non il contrario.

Gli odierni sostenitori del “libero mercato” che scrivono nella tradizione monetarista di Chicago (fondamentalmente quella di David Ricardo) escludono dai loro calcoli le dimensioni del debito estero e di quello nazionale.  E’ come se il “denaro” e il “credito” fossero beni da barattare contro merci.  Ma un conto bancario o altre forme di credito si traduce in debito sull’altra colonna del bilancio. Il debito di una parte è il risparmio di un’altra parte e la maggior parte dei risparmi oggi viene prestata a interesse, assorbendo denaro dai settori non finanziari dell’economia.  Il dibattito è ridotto a un rapporto semplicistico tra la fornitura di denaro e il livello dei prezzi e, in realtà, solo il livello dei prezzi al consumo,  non dei prezzi del patrimonio. Nella loro ansia di opporsi alla spesa governativa – e in realtà di smantellare il governo e sostituirlo con pianificatori finanziari – i monetaristi neoliberali trascurano il carico del debito imposto oggi dalla Latvia all’Islanda all’Irlanda alla Grecia, Italia, Spagna e Portogallo.

Se l’euro andrà a pezzi sarà a motivo dell’obbligo dei governi di rimborsare i banchieri con soldi che devono essere presi a prestito invece che creati dalle banche centrali.  Diversamente dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra che possono creare credito da parte delle banche centrali sulle tastiere dei loro computer per evitare che l’economia avvizzisca o diventi insolvente, la costituzione tedesca e il Trattato di Lisbona impediscono alla banca centrale di fare altrettanto.

L’effetto è l’obbligo per i governi di indebitarsi a interesse presso le banche centrali.  Ciò dà ai banchieri la capacità di creare una crisi, minacciando di portare le economie fuori dall’Eurozona se non si sottomettono alle “condizioni” loro imposte in quella che sta rapidamente diventando una guerra di classe della finanza contro il mondo del lavoro.

Togliere alla banca centrale dell’Europa il diritto di privare i governi del potere di creare moneta

Una delle tre caratteristiche che definiscono uno stato-nazione è il potere di creare moneta. Una seconda caratteristica è il potere di riscuotere imposte. Entrambi questi poteri sono in corso di trasferimento dalle mani di rappresentanti democraticamente eletti a quelle del settore finanziario, come effetto dell’aver legato le mani al governo.

La terza caratteristica di uno stato-nazione è il potere di dichiarare guerra.  Quello che accade oggi è l’equivalente di una guerra, ma contro il potere del governo! E’, soprattutto, una modalità finanziaria di condurre la guerra e gli scopi di questa appropriazione finanziaria sono gli stessi di quelli di una conquista militare: primo, la terra e le ricchezze del sottosuolo su cui imporre rendite come tributo; poi le infrastrutture pubbliche per ricavare rendite dalle tariffe di accesso; e, terzo, ogni altra impresa o bene di demanio pubblico.

In questa nuova guerra finanziarizzata, i governi sono spinti ad agire da forze dell’ordine per conto dei conquistatori finanziari contro le loro stesse popolazioni nazionali.  Di certo questa non è una cosa nuova.  Abbiamo visto la Banca Mondiale e il FMI imporre l’austerità a dittature latinoamericane, a capitribù militari africani e ad altre oligarchie vassalle dagli anni ’60 fino agli anni ’80. L’Irlanda e la Grecia, la Spagna e il Portogallo devono ora essere assoggettate a un simile spogliamento mentre le decisioni politiche pubbliche sono trasferite a organismi finanziari sovra-governativi che agiscono per conto dei banchieri e, attraverso essi, per conto dell’1% della popolazione.

Quando i debiti non possono essere rimborsati o rinnovati arriva il tempo dei pignoramenti.  Per i governi ciò significa svendita di privatizzazioni per rimborsare i creditori. In aggiunta al fatto di essere un arraffamento della proprietà, la privatizzazione mira a sostituire la manodopera del settore pubblico con una forza lavoro non sindacalizzata che abbia minori diritti alla pensione, all’assistenza sanitaria o voce in capitolo sulle condizioni di lavoro.  La vecchia guerra di classe è così di nuovo all’opera, con una svolta finanziaria.  Facendo rattrappire l’economia, la deflazione da debito contribuisce a spezzare la capacità di resistenza del mondo del lavoro.

Inoltre dà ai creditori il controllo sulla politica fiscale.  In assenza di un parlamento pan-europeo con il potere di fissare le regole fiscali, la politica fiscale passa alla BCE.  Agendo per conto delle banche la BCE sembra favorire un’inversione della spinta del ventesimo secolo a una tassazione progressiva.  E, come ha chiarito un lobbista finanziario statunitense, la pretesa dei creditori è che i governi ridefiniscano gli obblighi sociali pubblici come “costi d’utenza”, da finanziare mediante trattenute sulle remunerazioni da passare alle banche perché le amministrino (o ne facciano cattiva amministrazione, a seconda dei casi).  Trasferire l’onere fiscale dalla proprietà immobiliare e dalla finanza al lavoro e all’economia “reale” minaccia così di diventare un arraffamento fiscale che va a sommarsi all’arraffamento delle privatizzazioni.

Questa è un’ottica di breve termine autodistruttiva.  L’ironia è che i deficit di bilancio dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) si sono originati in larga misura dal non aver tassato la proprietà e un’ulteriore svolta fiscale peggiorerà, anziché stabilizzarli, i bilanci governativi.  Ma i banchieri guardano solo a ciò che possono prendere nel breve periodo.  Sanno che qualsiasi imposta a carico dei patrimoni e delle imprese cui l’esattore rinunci è “disponibile” per gli acquirenti da impegnare presso le banche come interesse.  Così alla Grecia e ad  altre economie oligarchiche  viene detto di “pagarsi il biglietto” tagliando la spesa sociale governativa (ma non la spesa militare per l’acquisto di armi tedesche e francesi) e spostando le tasse sul lavoro e l’industria, e sui consumatori sotto forma di tariffe d’utenza più elevate per i servizi pubblici non ancora privatizzati.

In Inghilterra il primo ministro Cameron afferma che ridimensionare ulteriormente il governo sulla scia della Thatcher e di Blair renderà disponibili ancor più risorse e manodopera da assumere da parte del settore privato.  I tagli fiscali metteranno effettivamente sulla strada molti lavoratori, o almeno li costringeranno a trovare lavori pagati di meno e con meno diritti.  Ma tagliare la spesa pubblica farà avvizzire anche il settore imprenditoriale, peggiorando i problemi fiscali e debitori spingendo le economie ancor più profondamente nella recessione.

Se i governi tagliano la spesa per ridurre la dimensione dei loro deficit di bilancio – o se raccolgono imposte dall’economia in generale per generare un surplus – allora quei surplus risucchieranno denaro dall’economia, lasciando meno da spendere in beni e servizi.  La conseguenza può essere soltanto la disoccupazione, ulteriori insolvenze e fallimenti.  Possiamo considerare l’Islanda e la Latvia come i canarini nelle miniere di carbone finanziarie.  La loro esperienza recente dimostra che la deflazione debitoria porta all’emigrazione, a aspettative di vita minori, a tassi di nascite, di matrimoni e di formazione di famiglie inferiori, ma offre grandi occasioni ai fondi predatori per risucchiare ricchezza verso il vertice della piramide finanziaria.

La crisi economica attuale è una questione di scelta politica, non di necessità.  Secondo la battuta del segretario generale del presidente Obama, Rahm Emanuel: “Una crisi è un’occasione troppo buona per sprecarla.”  In tali casi la spiegazione più logica che debba beneficiarne qualche potere forte.  Le depressioni aumentano la disoccupazione, contribuendo a schiacciare il potere dei lavoratori sindacalizzati e non sindacalizzati. Gli Stati Uniti stanno assistendo a una stretta di bilancio a livello statale e locale (mentre cominciano a essere annunciate bancarotte) con i primi tagli che si verificano nella sfera delle insolvenze pensionistiche.  L’alta finanza viene rimborsata non rimborsando la popolazione che lavora dei risparmi e delle promesse fatte come parte di contratti di lavoro e dei piani privati di previdenza. I pesci grossi stanno mangiando i pesci piccoli.

Questa sembra essere l’idea che il settore finanziario ha di una buona pianificazione economica.  Ma è peggio di un piano a somma zero, in cui l’utile di una parte è la perdita dell’altra.  Si rattrappiranno le economie nel loro complesso e cambieranno forma polarizzandosi tra debitori e creditori.  La democrazia economica cederà il passo all’oligarchia finanziaria, invertendo la tendenza degli ultimi secoli.

L’Europa è pronta a compiere questo passo? Gli elettori riconoscono che spogliare il governo dell’opzione pubblica di creare denaro trasferirà tale privilegio alle banche sotto forma di monopolio? Quanti osservatori hanno identificato la quasi inevitabile conseguenza: il trasferimento della pianificazione economica all’allocazione creditizia bancaria?

Anche se i governi ricorressero all’ “opzione pubblica” creando il proprio denaro per finanziare i loro deficit di bilancio e fornendo all’economia credito produttivo per ricostruire le infrastrutture, rimane un grave problema: che fare del complesso del debito esistente che ora costituisce un peso morto per l’economia? I banchieri e i politici che essi sostengono si rifiutano di svalutare i debiti per riflettere la capacità di rimborso. I legislatori non hanno fornito alla società una procedura legale per le svalutazioni dei debiti, salvo la legge sulla cessione fraudolenta [Fraudulent Conveyance Law] dello Stato di New York che prescrive che i debiti siano annullati se i finanziatori hanno fatto credito senza assicurarsi della capacità di rimborso del debitore.

I banchieri non vogliono assumere la responsabilità dei cattivi prestiti.  Ciò pone il problema finanziario di ciò che i legislatori dovrebbero fare quando le banche sono state così irresponsabili nell’allocare il credito. Ma qualcuno deve subire la perdita.  Dovrebbe essere la società in generale o dovrebbero essere i banchieri?

Non è un problema che i banchieri sono preparati a risolvere. Loro vogliono trasferire il problema ai governi e definire il problema in termini di come i governi possono “rimetterli in sesto”.  Quella che definiscono una “soluzione” al problema dei cattivi debiti consiste nel fatto che governo dia loro titoli buoni in cambio di prestiti cattivi (“contanti in cambio di spazzatura”), da pagare in pieno da parte dei contribuenti.  Avendo organizzato un enorme aumento di ricchezza per sé stessi, i banchieri ora vogliono prendere i soldi e scappare, lasciando le economie tormentate dai debiti. Le entrate che non possono essere pagate dai debitori saranno ora distribuite, per il pagamento, all’intera economia, aumentando enormemente il costo della vista e del fare impresa per tutti.

Perché dovrebbero essere “rimessi in sesto” a spese del rattrappimento del resto dell’economia?  La risposta dei banchieri è che  i debiti vanno corrisposti ai piani pensionistici dei lavoratori, ai consumatori con depositi bancari e che l’intero sistema crollerà se i governi mancheranno di rimborsare un titolo.   Se messi sotto pressione, i banchieri ammettono di aver acceso assicurazioni sui rischi, di detenere obbligazioni con collaterale debitorio e altre coperture dei rischi.  Ma gli assicuratori sono in gran parte banche USA e il governo USA sta premendo sull’Europa affinché non diventi insolvente danneggiando così il sistema bancario statunitense.  Così il garbuglio del debito è diventato politicizzato a livello internazionale.

Dunque per i banchieri la linea di resistenza consiste nell’incoraggiare l’illusione che non ci sia necessità che essi accettino l’insolvenza degli alti debiti non rimborsabili che hanno incoraggiato.  I creditori insistono sempre sul fatto che il debito generale può essere mantenuto se soltanto i governi ridurranno altre spese, aumentando contemporaneamente le imposte a carico dei singole e delle imprese non finanziarie.

Il motivo per cui ciò non funzionerà è che cercare di incassare l’odierna dimensione del debito colpirà la sottostante economia “reale”, rendendola ancor meno in grado di pagare i propri debiti.  Quello che è iniziato come un problema finanziario (“cattivi debiti”) si trasformerà ora in un problema fiscale (“cattive imposte”). Le tasse sono un costo per le imprese allo stesso modo in cui è un costo rimborsare un debito. Entrambi i costi devono riflettersi sui prezzi dei prodotti.  Quando in contribuenti sono gravati di tasse e di debiti dispongono di meno entrate disponibili per i consumi.  Così i mercati avvizziscono, ponendo sotto ulteriore pressione la redditività delle imprese nazionali.  Tale combinazione rende qualsiasi paese che segua un politica simile un produttore ad alto costo e, in conseguenza, un paese meno competitivo sui mercati globali.

Questo tipo di pianificazione finanziaria – e la sua parallela svolta fiscale – porta alla deindustrializzazione.  Creando denaro a corso forzoso da parte della BCE o del FMI si lascia il debito al suo posto, mantenendo la ricchezza e il controllo dell’economia nelle mani del settore finanziario.  Le banche possono ricevere il pagamento dei debiti incorsi per proprietà eccessivamente gravate da mutui ipotecari solo se i debitori sono sollevati da qualche tassa sul patrimonio immobiliare.  Imprese industriali a corto di disponibilità a causa dei debiti possono rimborsarli solo ridimensionando gli impegni pensionistici, l’assistenza sanitaria e gli stipendi dei propri dipendenti, o riducendo i pagamenti di imposte e tasse al governo. In pratica “onorare i debiti” finisce per tradursi in una deflazione da  debito e in una stretta economica generale.

Questo è il piano economico dei finanzieri.  Ma lasciare la politica fiscale e la pianificazione centralizzata nelle mani dei banchieri finisce per essere l’opposto di ciò su cui verteva l’economia del libero mercato degli ultimi secoli.  L’obiettivo classico consisteva nel minimizzare il debito generale, nel tassare le rendite fondiarie e da risorse naturali e nel mantenere i prezzi monopolistici in linea con gli effettivi costi di produzione (“valori”).  I banchieri hanno prestato sempre più a valere sulle stesse entrate che gli economisti del libero mercato consideravano la base fiscale naturale.

Dunque qualcosa deve cedere.  Si tratterà degli ultimi secoli di filosofia economica liberale del libero mercato, con la cessione ai banchieri della pianificazione del surplus economico? O la società riaffermerà la filosofia economica classica e i principi dell’Era Progressista, e riaffermerà il modello sociale dei mercati finanziati intesi a promuovere la crescita a lungo termine con minimi costi per la vita e l’imprenditoria?

Almeno nei paesi più pesantemente indebitati, gli elettori europei si stanno risvegliando davanti a un colpo di stato oligarchico in cui la tassazione e la pianificazione e il controllo dei bilanci stanno passando nelle mani di dirigenti nominati dal cartello internazionale dei banchieri.  Questo risultato è l’opposto di tutto ciò su cui si è incentrata l’economia del libero mercato degli ultimi secoli.

 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sul Frankfurter Allgemeine Zeitung del 3 dicembre 2011 sotto il titolo “Der Krieg der Banken gegen das Volk” [La guerra delle banche contro il popolo].

 

MICHAEL HUDSON è un ex economista di Wall Street. Professore insigne di ricerca all’Università del Missouri a Kansas City (UMKC) è autore di numerosi libri tra cui  ‘Superimperialism: The Economic Strategy of American Empire’ [Il super-imperialismo: strategia economica dell’impero statunitense] (nuova edizione, Pluto Press, 2002). Ha contribuito a ‘Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion’ [Senza speranza: Barack Obama e la politica dell’illusione] in uscita presso AK Press.  Può essere raggiunto sul suo sito web a mh@michael-hudson.com

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/europe-s-deadly-transition-from-social-democracy-to-oligarchy-by-michael-hudson

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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I banchieri sono i dittatori dell’Occidente

15 giovedì Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, Robert Fisk

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Economia

I banchieri sono i dittatori dell’Occidente

 

Di Robert Fisk

11 dicembre 2011

Siccome scrivo da una zona del mondo che produce più luoghi comuni      per piede quadrato (30 cm circa)  di qualsiasi altra “storia –cioè il Medio Oriente – dovrei forse fermarmi un attimo prima di dire che non ho mai  letto tanta immondizia, tante assolute  stupidaggini  sulla crisi finanziaria mondiale.

Non tratterrò il mio impeto. Mi sembra che l’informazione sul crollo del capitalismo abbia  raggiunto un nuovo minimo che neanche il Medio Oriente può superare per pura e totale ubbidienza proprio nei riguardi delle istituzioni e degli “esperti” di Harvard che hanno aiutato a causare l’intero disastro criminale.

Diamo un calcio alla “Primavera Araba” – espressione che è  di per sé una grottesca  deformazione verbale del grande risveglio arabo/musulmano che sta scuotendo il Medio Oriente – e i paragoni scadenti con le proteste di tipo sociale avvenute nelle capitali occidentali. Siamo stati inondati di servizi giornalistici su come  i poveri o gli svantaggiati  in Occidente hanno “tolto una pagina” dal libro della “Primavera Araba”,  come i dimostranti in America, Canada, Gran Bretagna, Spagna e Grecia sono stati “ispirati” dalle enormi dimostrazioni che hanno fatto cadere in regimi in Egitto, Tunisia  e – fino a un certo punto – la Libia. Queste però sono sciocchezze.

Il vero paragone, è inutile dirlo, è stato evitato dai giornalisti occidentali, così  entusiasti  di esaltare le ribellioni degli Arabi contro la dittatura, così ansiosi di ignorare le proteste contro i governi occidentali “democratici”, così disperati da denigrare queste dimostrazioni, da far credere che sono soltanto un modo di  seguire l’ultima moda  nel mondo arabo. La verità è piuttosto diversa.

Quello che ha spinto gli Arabi a decine di migliaia e poi a milioni nelle strade delle capitali del Medio Oriente, è stata la richiesta di dignità e il rifiuto di accettare che i dittatori locali fossero i veri proprietari dei loro paesi. I Mubarak, i Ben Ali e i Gheddafi e i re e gli emiri del Golfo (e della Giordania) e gli Assad tutti credevano di avere diritto di proprietà su tutte quante le loro nazioni. L’Egitto apparteneva alla S.p.A. Mubarak, la Tunisia alla S.p.A.  Ben Ali (e alla famiglia Traboulsi), la Libia alla S.p.A. Gheddafi . E così via. I martiri arabi della lotta contro la dittatura sono morti per dimostrare che i loro paesi appartenevano alla loro gente.

Questo è il vero parallelo che si può tracciare in Occidente. Le proteste sono in effetti contro l’alta finanza – una causa che ha una perfetta giustificazione. Ciò che hanno veramente predetto, tuttavia, sebbene un po’ in ritardo, è che da decenni acquisiscono una partecipazione in una democrazia fraudolenta: votano doverosamente per i partiti politici che poi consegnano il loro mandato democratico e il potere del popolo alle banche e agli operatori di derivati e alle  agenzie di valutazione (del livello di affidabilità), tutti e tre appoggiati dalla sciatta e disonesta cricca di “esperti” delle migliori università americane e da gruppi di esperti che mantengono la finzione che questa è una crisi della globalizzazione piuttosto che un massiccio raggiro finanziario imposto agli elettori.

Le banche e le agenzie di  valutazione sono diventati i dittatori dell’Occidente. Come i Mubarak e i Ben Ali, le banche credevano – e ancora credono – di essere i proprietari delle loro nazioni. Le elezioni che danno loro il potere sono diventate, grazie alla mollezza e alla collusione dei governi, tanto false come le votazioni alle quali gli Arabi sono stati costretti, decennio dopo decennio, per ungere i proprietari della loro proprietà nazionale. La Goldman Sachs e la Banca Reale di Scozia sono diventate i Mubarak e i Ben Ali degli Stati Uniti e del Regno Unito e ognuno di loro ha inghiottito  la ricchezza della gente sotto forma di   indennità e premi di produzione fasulli per i loro capi  malvagi in una misura infinitamente più rapace di quella che i loro avidi  fratelli di dittatura Arabi potessero immaginare.

Non avevo bisogno che il film di Chrales Ferguson, Inside Job, sulla BBC2 questa settimana – anche se mi è servito –mi insegnasse che le agenzie di valutazione e le banche statunitensi sono intercambiabili, che il loro personale si sposta continuamente  tra l’agenzia, la banca e il governo degli Stati Uniti. I giovanotti  del rating (quasi sempre giovanotti, naturalmente), che in America hanno valutato i  mutui  e i derivativi con l’indice di affidabilità AAA adesso stanno dilaniando con la loro velenosa influenza sui mercati – i cittadini europei,minacciando di abbassare o ritirare proprio le stesse valutazioni di affidabilità dalle nazioni europee che avevano profuso sui criminali  prima del crollo finanziario degli Stati Uniti. Credo che gli eufemismi tendano ad avere la meglio nelle discussioni. Perdonatemi, però: chi sono queste creature le cui agenzie di valutazione ora fanno più paura ai Francesi di quanta ne facesse  Rommel nel 1940?

Perché i miei colleghi giornalisti di Wall Street non me lo dicono? Come mai la BBC e la CCN e  – oh, mio Dio, perfino al-Jazeera – trattano queste comunità criminali come inconfutabili  istituzioni del potere? Perché non si indaga –il film Inside Job si è messo su  quella strada – riguardo a questi scandalosi doppiogiochisti? Mi ricorda molto il modo parimenti codardo con cui molti inviati trattano gli avvenimenti del Medio Oriente, stranamente  evitando qualsiasi critica nei riguardi Israele,  accusati di correità da un esercito di lobbisti pro-Likud (Partito nazionalista liberale di Israele) di spiegare ai telespettatori  perché ci si può fidare del processo di pace americano per il conflitto israelo-palestinese, perché le brave persone sono “moderati” e quelle cattive “terroristi”.

Gli Arabi per lo meno hanno cominciato a non dare peso a queste stupidaggini. Quando però i dimostranti di Wall Street fanno la stessa cosa, diventano “anarchici”, i “terroristi” sociali delle strade americane che osano chiedere che i Bernanke e i Geithner dovrebbero subire lo stesso processo di Hosni Mubarak. Noi in Occidente – i nostri governi – hanno creato i nostri dittatori. Al contrario degli Arabi, però, non possiamo toccarli.

Il Taoiseach (capo del governo) irlandese, Enda Kenny, questa settimana  ha solennemente informato la sua gente che non sono responsabili della crisi in cui si trovano. Lo sapevano già, naturalmente. Non ha detto loro, però, chi sono i colpevoli. Non è ora che Kenny e i suoi amici primi ministri dell’Unione Europea ce lo dicano? E anche i nostri inviati?

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http.//www.znetitaly.org

http://www.zcommunications.org/bankers-are-the-dictators-of-the-west-by-robert-fisk

Fonte: The Indipendent

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNETItaly–Licenza Creative Commons   CC BY-NC-SA 3.0

 

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Vertice europeo: storie di unioni fiscali e di adulteri finanziari

14 mercoledì Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, Jerome E. Roos

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banche, crisi fianziaria, Inghilterra, UE

 

(Non) Salvate l'Euro!

 

di Jéròme E. Roos  -10 dicembre 2011

E’ da sempre un matrimonio difficile, nato da interessi economici e da pressioni familiari più che da amore reciproco.  Per 38 anni i coniugi hanno bisticciato per questioni di soldi – politica agricola comunitaria (CAP) di qua, sconto sui contributi di là – con il continente che di tanto in tanto accusava l’isola di tresche con lo Zio Sam e l’isola che rinfacciava al continente di intromettersi troppo nei suoi affari privati. Ma per molti anni i due sono rimasti insieme per via dei figli e per gli affari di famiglia. La cosa ora può cambiare.

Venerdì mattina un vertice cruciale della UE – pubblicizzato come l’ultima occasione per salvare l’euro dal collasso – è terminato con una drammatica divisione tra il Regno Unito e il resto dell’Europa.  Come ha scritto Michael White per il Guardian “sembra che sia arrivato il Botto Grosso, il momento in cui un governo londinese ha esercitato il famoso diritto britannico di veto su una questione importante della UE e si ritira ai margine dell’Unione Europea, ponendo fine a 50 anni di una politica più o meno coerente.”

La rottura segna  un ulteriore terremoto nella storia europea. Ma rivela anche la misura in cui interessi finanziari  hanno corrotto le menti dei nostri leader e avvelenato i reciproci rapporti.  Gli affari extraconiugali delle nostre élite politiche con le banche ora minacciano la stessa sopravvivenza della famiglia europea.  Sembra che tutti siano disponibili a sacrificare non solo gli affari di famiglia, ma anche gli stessi figli. Nessun prezzo è troppo alto per l’amore dell’oro.

Come sempre, il dolore più grande è sopportato in silenzio dai figli: i cittadini che non sono stati consultati dai propri leader. Le illusioni dell’infanzia riguardo alla solidarietà europea sono state brutalmente sradicate.  Ma, quasi per reprimere la parte del dramma più dura, nessuno sembra parlare dei disgraziati rapporti extraconiugali che sono alla base di tutto quel che accade.  La verità è che sia l’Inghilterra sia l’Europa si sono dedicati ad adulteri finanziari per decenni.

Presentazione degli amanti: Francoforte e La Défense contro la City

Non è mai stato uno scontro tra interessi europei e interessi britannici, come amano descriverlo sia i cosmopoliti continentali sia gli euroscettici inglesi. Dietro il velo dell’ideologia si aggirano potenti interessi finanziari che dettano le scelte delle nostre élite doppiogiochiste.  Come ha riferito il Guardian “Cameron ha esercitato il diritto di veto inglese nelle prime ore della mattina in cui la Francia era riuscita a bloccare una serie di richieste di salvaguardia avanzate dall’Inghilterra per proteggere la City di Londra.”

Più specificamente Cameron aveva richiesto che: (1) “qualsiasi trasferimento di poteri da un’autorità nazione a un’autorità europea sia assoggettabile a veto”; (2) “l’Autorità Bancaria Europea rimanga a Londra”; (3) “alle banche siano richiesti maggiori livelli di capitale” e (4) “alla Banca Centrale Europea siano impediti di tentativi di stabilire che le transazioni denominate in euro abbiano luogo nell’eurozona”.  Sarkozy ha respinto categoricamente le richieste di Cameron.

I motivi di ciò sono davvero molto semplici: (1) Sarkozy non vuole che le banche con sede in Inghilterra ricavino un vantaggio competitivo schivando la tassa sulle transazioni finanziarie da applicare a livello europeo; (2) vuole che l’Autorità Bancaria Europea si trasferisca a Parigi; (3) sa che le banche francesi sono in una posizione molto più debole rispetto a quelle inglesi; e (4) vuole che le transazioni denominate in euro abbiano luogo all’interno dell’eurozona in modo che possano essere canalizzate attraverso  La Défense anziché attraverso la City.

Tirando le somme si ottiene che questa è una battaglia tra banche; uno scontro di capitali. Non ha nulla a che vedere con gli interessi generali europei o inglesi. Se l’eurozona dovesse infrangersi, molte banche tedesche e francesi collasserebbero, di qui la pressione franco-tedesca per l’unione fiscale.  Tuttavia tale unione fiscale imporrebbe regole di stile continentale alla City di Londra, aperta a tutti.  Temendo di perdere la sua posizione competitiva nei confronti di New York, l’Inghilterra si è perciò opposta con forza alla partecipazione.

In vendita: unione d’austerità con paradiso fiscale estero

E’ del tutto chiaro che nel dividersi, Cameron e Merkozy stanno semplicemente schierandosi dalla parte dei loro amanti nell’industria finanziaria.  Il risultato, anziché salvare l’euro e riportare una di quella stabilità di cui c’è tanto bisogno, in realtà rappresenta il peggiore dei mondi possibili.  La Germania, ora l’indiscutibile egemone dell’Europa, userà l’unione fiscale per ottenere i massimi rimborsi per le proprie banche, mentre Londra potrà liberamente assumere il ruolo di paradiso bancario estero.

Wolfgang Munchau ha giustamente evidenziato che “contrariamente a quello che viene riferito, la signora Merkel non sta proponendo una unione fiscale.  Sta proponendo un club dell’austerità, un patto di stabilità sotto steroidi.  L’obiettivo consiste nell’imporre un’austerità a vita, con norme di equilibrio di bilancio incorporate in ogni costituzione nazionale.”  Marti Wolf è analogamente critico e dimostra perché  la Merkel percepisce scorrettamente la crisi come un problema di bilancio, anziché un problema strutturale.”

Come ha appena scritto l’economista premio Nobel, Joseph Stiglitz, molti paesi periferici sono stati in realtà fiscalmente molto più responsabili della stessa Germania: “In Spagna, ad esempio, il denaro è affluito nel settore privato provenendo da banche private.  Dovrebbe tale esuberanza innaturale costringere il governo, volente o nolente, a tagliare gli investimenti pubblici?” Istituzionalizzando la ‘disciplina di bilancio’, l’unione dell’austerità della Merkel rischia rinchiudere la periferia in una depressione permanente.

Questo approccio si dimostrerà doppiamente disastroso.  A parte il fatto che condannerà milioni di europei a decenni di povertà, minerà anche il tentativo di salvare l’euro.  Non è stata la sregolatezza fiscale a causare questa crisi.  Essa è il risultato di squilibri strutturali tra un centro altamente produttivo, che ha beneficiato di un tasso di cambio permanente sottovalutato, e una periferia stagnante che soffre esattamente per il motivo opposto.  I piani della Merkel non fanno nulla per risolvere ciò.

Come le banche, di nuovo, la fanno franca dopo l’omicidio

Quello che è ancora peggio è che il suo piano ignora completamente la situazione spaventosa delle banche europee.  La vera sregolatezza non mai stata nella spesa pubblica dei paesi della periferia, bensì nei finanziamenti privati delle banche principali. Con centinaia di miliardi di euro di liquidità in eccesso che si riversavano nel sistema, le banche francesi e tedesche hanno avidamente acquistato titoli greci, portoghesi e spagnoli e hanno pompato vagoni di capitale straniero nei mercati immobiliari irlandese e spagnolo.

Nel 2009, con gli intermediari che ritiravano i loro soldi dalle azioni e dal settore immobiliare nel corso della crisi creditizia, il settore dei debiti sovrani era diventato “uno dei principali motori del profitto per le grandi banche europee.”  Mentre milioni di persone perdevano il lavoro e la casa, i maggiori operatori in titoli potevano agevolmente portare a casa tra i 7,5 e i 15 milioni di dollari all’anno di soli premi [bonus].  La natura perversa di questo sistema incentivava i banchieri a ignorare i rischi e a spingere ancor più nel debito la periferia.

La conseguenza è stata non soltanto una periferia iper-indebitata ma anche un settore bancario con una leva eccessiva.  Ne è seguito che i prestiti interbancari non hanno fatto che congelarsi, mentre una corsa istituzionale alle banche mette le loro azioni sotto estrema pressione.  Il giorno del vertice, una verifica di resistenza [stress test] ha rivelato che le banche europee stanno soffrendo di un deficit di 115 miliardi di euro.  Moody’s ha appena declassato tre banche francesi e dilagano voci che la Germania potrà dover nazionalizzare la gigantesca Commerzbank.

Le banche reagiscono utilizzando strumenti complessi per sostenere il capitale, ma – proprio come la mal concepita unione d’austerità della Merkel – questi trucchi contabili si limiteranno a ritardare il giorno inevitabile della resa dei conti.  Tuttavia i nostri leader continuano a intestardirsi considerevolmente nei giochi pericolosi che stanno giocando. “Ho sempre detto che i 17 stati dell’eurozona devono riconquistare la credibilità,” ha detto la Merkel. “ E penso che ciò possa avvenire e che avverrà con le decisioni di oggi.”

I bambini non stanno bene, signora Merkel!

Ma i bambini non stanno bene e l’impresa di famiglia si sta sgretolando.  Se questo doloroso divorzio UE-Inghilterra ci dice qualcosa,  è che i nostri leader vanno a letto con potenti interessi finanziari e non può più essere affidato loro il destino del continente.  Prostituire i popoli d’Europa al settore bancario non è una soluzione sostenibile, né è una cosa molto umana da fare da un punto di vista etico.  I buoni europei dovrebbero opporsi con fermezza a questa disastrosa unione fiscale.

Così, ogni volta che vi viene detto “non c’è alternativa”, non credeteci, è una bugia.  Come un funzionario della Banca Centrale Europea ha detto recentemente alla Reuters, “quello che penso sia importante al momento  è non mostrare ai politici che potrebbe esserci un’alternativa, perché nella loro testa ciò potrebbe essere meno costoso delle opzioni di cui dispongono.”  Il tentativo di rendere naturale, e depoliticizzare, questa crisi è una cortina fumogena ideologica intesa a mantenerci strettamente in uno stato di prostituzione finanziaria.

Noi sappiamo che esistono alternative, perché le abbiamo viste funzionare in pratica.  Come ha appena  evidenziato il TIME Magazine, “dall’inizio del movimento la struttura priva di leader sembra funzionare.” Nella misura in cui non funzioni per le grandi istituzioni gerarchiche – come le potenti banche d’investimento e gli irresponsabili governi nazionali – quelle gerarchie devono essere demolite, smontate e ristrutturate dalle fondamenta.

Tornando nel mondo reale, l’Argentina ha già dimostrato che i paesi debitori possono sfidare i creditori stranieri e prosperare, mentre le piccole cooperative di credito hanno resistito alla tempesta finanziaria globale molto meglio delle grandi banche di proprietà privata. In un rapporto del 2009, l’ONU ha osservato che “nemmeno una cooperativa di credito in tutto il mondo ha ricevuto una ricapitalizzazione governativa come conseguenza della crisi finanziaria; esse rimangono ben capitalizzate.”

E dunque i ragazzi non stanno bene, ma c’è un’alternativa. Il nostro compito consiste nel diffondere la verità e organizzarci. Un’altra Europa è possibile!  

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/eu-summit-tales-of-fiscal-union-and-financial-adultery-by-j-r-me-e-roos

Originale: Roarmag.org

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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Depressione economica e democrazia

13 martedì Dic 2011

Posted by Redazione in Economia, Europa, Paul Krugman

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crisi economica, democrazia, ungheria, Unione Europea

di Paul Krugman -11 dicembre 2011

E’ ora di cominciare a chiamare la situazione attuale con il suo nome: depressione.  E’ vero: non è una replica esatta della Grande Depressione, ma questa è una magra consolazione.  La disoccupazione, sia negli Stati Uniti sia in Europa, resta disastrosamente elevata.  I leader e le istituzioni sono sempre più screditati. E i valori democratici sono sotto assedio.

Su quest’ultimo punto non sto abbandonandomi all’allarmismo. Sia sul fronte politico sia su quello economico è importante non cadere nella trappola del “si è visto di peggio”. L’elevata disoccupazione non diventa accettabile solo perché non ha toccato i livelli del 1933; tendenze politiche inquietanti non dovrebbero essere minimizzate solo perché non c’è un Hitler in vista.

Parliamo un po’, in particolare, di quel che succede in Europa; non perché negli Stati Uniti tutto vada bene, bensì perché la gravità degli sviluppi politici in Europa è diffusamente poco compresa.

Innanzitutto la crisi dell’euro sta uccidendo il sogno europeo. La moneta condivisa, che era stata sostenuta per unire le nazioni, ha invece creato un’atmosfera di pesante acrimonia.

Specificamente, le richieste di un’austerità sempre più severa, senza sforzi compensativi di promozione della crescita, hanno causato un doppio danno.  Sono state un fallimento come politica economica, peggiorando la disoccupazione senza ripristinare la fiducia; una recessione estesa a livello europeo sembra ora probabile anche se venisse contenuta la minaccia immediata costituita dalla crisi finanziaria. E le richieste di austerità hanno creato una rabbia immensa, con molti europei furiosi per quello che hanno percepito, correttamente o non correttamente (o in realtà, un po’ in un modo e un po’ nell’altro), come un esercizio di potere con la mano pesante da parte della Germania.

Nessuno che abbia familiarità con la storia europea può guardare a questo risorgere di ostilità senza provare un brivido.  E tuttavia può esserci ancor di peggio in arrivo.

I populisti di destra sono in ascesa dall’Austria, dove il Partito della Libertà (il cui leader era solito coltivare rapporti con i neonazisti) corre, nei  sondaggi, alla pari con i partiti consolidati, alla Finlandia, dove il Partito dei Veri Finlandesi ha avuto risultati elettorali considerevoli lo scorso aprile.  E questi sono paesi ricchi, le cui economie hanno tenuto piuttosto bene. La questione si fa ancor più inquietante nei paesi poveri dell’Europa centrale e orientale.

Il mese scorso la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha documentato una forte caduta del sostegno pubblico alla democrazia nei “nuovi paesi europei”, le nazioni che hanno aderito all’Unione Europea dopo la caduta del Muro di Berlino. Non sorprendentemente la perdita di fiducia nella democrazia è stata maggiore nei paesi che hanno sofferto i maggiori crolli economici.

E, mentre parliamo, in almeno una nazione, l’Ungheria, le istituzioni democratiche sono sotto attacco.

Uno dei maggiori partiti ungheresi, il Jobbik, è un incubo proveniente dagli anni ’30: e contro i rom (gli zingari), è antisemita ed ha avuto persino un braccio paramilitare.  Ma la minaccia immediata proviene dal Fidesz, il partito di governo di centrodestra.

Il Fidesz ha conquistato una maggioranza parlamentare schiacciante l’anno scorso, almeno in parte per motivi economici.  L’Ungheria non fa parte dell’eurozona, ma ha sofferto pesantemente a motivo del suo vasto indebitamento in valute straniere e anche, per essere franchi, per la cattiva amministrazione e la corruzione dei partiti liberali di sinistra allora al governo.  Ora il Fidesz, che è riuscito a imporre una nuova costituzione grazie a un voto ossequioso nei confronti della linea del partito, sembra deciso a consolidare una presa permanente sul potere.

I dettagli sono complessi. Kim Lane Scheppele, direttrice del programma per gli Affari Legali e Pubblici alla Princeton – e che ha seguito la situazione ungherese da vicino – mi dice che il Fidesz si sta affidando a una serie di misure sovrapposte per sopprimere l’opposizione.  Una proposta di legge elettorale crea distretti manipolati progettati per rendere quasi impossibile agli altri partiti la formazione di un governo; l’indipendenza della magistratura è stata compromessa e i tribunali sono stati riempiti di personaggi leali al partito; i media statali sono stati convertiti in organi di partito e c’è un giro di vite sui media indipendenti; infine, una proposta di integrazione alla costituzione criminalizzerebbe efficacemente il principale partito di sinistra.

Nel suo complesso, tutto ciò corrisponde a un ripristino di un governo autoritario, sotto una patina sottilissima di democrazia, nel cuore dell’Europa.  Ed è un esempio di quel che può accadere più diffusamente se questa depressione continua.

Non è chiaro cosa possa essere fatto per lo scivolamento dell’Ungheria verso l’autoritarismo.  Il Dipartimento di Stato USA, sia detto a suo merito, è stato particolarmente attento al caso, ma si tratta essenzialmente di una faccenda europea.  L’Unione Europea ha perso l’occasione di bloccare la presa del potere fin dall’inizio, in parte perché la nuova costituzione è stata imposta durante il turno ungherese di presidenza dell’Unione. Sarà molto difficile, ora, invertire quella direzione. E tuttavia i leader europei farebbero meglio a provarci; diversamente rischierebbero di perdere tutto ciò per cui sono schierati.

E dovrebbero anche ripensare le proprie politiche economiche fallimentari; se non lo faranno, ci sarà un ulteriore retrocessione della democrazia, e il crollo dell’euro potrebbe essere la minore delle loro preoccupazioni.

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/depression-and-democracy-by-paul-krugman

Originale: The New York Times

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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La “progenie” del MIT

10 sabato Dic 2011

Posted by Redazione in Europa, Nikos Raptis

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grecia, Occupy Wall Street, rivolte studentesche, successo, università, usa

 

 

di Nikos Raptis  -10 dicembre 2011

 

Quando nel 1861 Jacob Bigelow, un medico, “battezzò”  a Boston un nuovo istituto come il “Massachusetts Institute of Technology” [MIT – Istituto tecnologico del Massachusetts] intendeva, con tale nome, “indicare che lo studio della scienza al MIT, piuttosto che essere una forma di istruzione compita, sarebbe stato indirizzato a finalità pratiche.”

 

Se fosse vivo oggi, il dottor Bigelow sarebbe d’accordo sul fatto che tra le altre “finalità pratiche” del MIT possa esserci lo studio e la “creazione” di armamenti bellici, destinati, cioè, allo sterminio della vita umana? Chi lo può dire. E’ morto nel 1897.

 

Per essere giusti, tra le “finalità pratiche” del MIT ci sono discipline che sono di beneficio all’umanità. Prendete il mio settore, la “meccanica del suolo”, che si occupa di frane, terremoti, liquefazione del suolo, argini (Katrina), gallerie, ponti, ferrovie, ecc. che proteggono e migliorano la vita umana.

 

Tuttavia quel che Bigelow non poteva immaginare era che il MIT avrebbe “partorito” (o, meglio, “costruito”) un “esercito” di élite native in tutto il mondo controllate dagli Stati Uniti come “strumenti” per dominare il pianeta.

 

Dato che la Grecia è quasi quotidianamente nei titoli dei media, è interessante prendere in esame la “progenie” del MIT che è diventata élite dominante in Grecia, a vantaggio delle élite USA.

 

Nel mio precedente articolo su ZNet “Terremoti: appello ai turchi e ai greci” del 18 novembre 2011, citavo: “Così, parte della popolazione della Grecia settentrionale fu costretta a inondare Atene e a cominciare a costruire … decine di migliaia di ‘creazioni’ alla Le Corbusier”, cioè di immobili residenziali a più piani in cemento.

 

Tuttavia, oltre agli operai, che concretamente costruirono gli edifici, fu necessario che questi fossero progettati da ingegneri civili. Ciò fu fatto da una parte degli ingegneri greci della mia generazione, a partire dai primi anni ’50.

 

Fu fatto così:

 

Un giovane ingegnere di famiglia non benestante, appena finita la scuola e dopo i due anni di servizio militare obbligatorio, decide di mettersi in affari nel settore dell’edilizia residenziale ad Atene.

 

Egli avvicina una famiglia che vive in una casa vecchia. Propone di buttarla giù e di costruire un nuovo edificio residenziale di, diciamo, sette piani, con dieci appartamenti in totale. Alla famiglia andranno tre appartamenti e all’ingegnere i restanti sette. Questo è il primo stadio, particolarmente cruciale, dell’intera procedura.  E’ fondamentale che il giovane ingegnere si guadagni la fiducia della famiglia e ottenga un contratto firmato. Questo necessita di un “talento” posseduto soltanto da persone con certi “valori”.  Il giovane ingegnere è al verde, e tuttavia ha il talento di presentarsi (da commediante) come una persona seria, onesta, energica ecc. e di assicurarsi così il contratto.  Questo è il “talento”, nella storia umana, degli imprenditori spietati, freddi e calcolatori.

 

Al giovane ingegnere ci vogliono due giorni (in realtà un paio d’ore) per disegnare i piani architettonici dell’intero futuro edificio e per stendere i progetti (di aspetto ufficiale).

 

Questi progetti sono mostrati alla famiglia che è proprietaria della casa vecchia e a potenziali clienti che acquisteranno gli appartamenti finiti.

 

I clienti, all’epoca, erano greci benestanti in cerca di investire, numerosi greci che lavoravano sulle navi dei famosi magnati greci delle compagnie marittime, agricoltori che avevano venduto la propria terra per comprare un appartamento, greci della classe media che erano in grado di ottenere prestiti dalle banche, ecc.

 

Il giovane ingegnere, usando il suo “talento”, persuade uno o due dei clienti a pagare in anticipo il futuro appartamento, cosa che, all’epoca, molti greci facevano con entusiasmo.

 

Ora il giovane ingegnere ha soldi sufficienti per cominciare la costruzione dell’edificio a più piani, anche se è al verde.

 

Dopo aver pagato il costo di costruzione dell’edificio (tra il 20 e il 25% del valore finale dell’immobile) e aver consegnato gli appartamenti concordati alla famiglia, quello che resta al giovane ingegnere è circa il 40 – 45% del valore dell’edificio, senza averci messo un soldo di suo.

 

Ripete l’ “impresa” costruendo dozzine di immobili abitativi a più piani per una decina d’anni e ammasso una gran quantità di denaro (e di prestigio).

 

[Parentesi: nei successivi quattro decenni ogni genere di persona che avesse ‘talenti’ imprenditoriali simili a quelli descritti più sopra entrò in questo lucroso settore e diventò molto ricca. I più inclini furono macellai, ristoratori, avvocati, persino dottori e poliziotti. Tutto quel che dovevano fare era “comprare”, per una miseria, la firma di un ingegnere civile, appena uscito di scuola, e fare il resto a seconda delle opportunità. Anche eliminando gli elementi strutturali.]

 

Il passo successivo del nostro eroe, ora ben sistemato, consiste nell’ottenere commesse e spedizioni pubbliche (con visioni alla quasi Onassis). Egli comincia anche a “coltivare” relazioni con le élite politiche greche nei locali della buona società.

 

Tuttavia il nostro giovane ingegnere (dei primi anni ’50) non parla inglese, a causa delle sue origini piuttosto umili, e “utilizza” altri ingegneri greci istruiti negli USA per entrare nei lucrosi mercati dell’Arabia: l’Arabia Saudita, la Libia, il Kuwait ecc.

 

[Parentesi: con sua sorpresa il ricco imprenditore greco dell’ingegneria, “fattosi da sé”, scopre che i migliori ingegneri civili della regione araba sono palestinesi espatriati, trasformati in rifugiati dalla pia religiosità di Israele. Chiusa parentesi.]

 

Il non più così giovane ingegnere, che economicamente è molto potente, risolve il suo problema con la lingua inglese, per le future avventure economiche, inviando suo figlio al MIT.

 

La progenie del nostro eroe greco ritorna con una laurea (naturalmente) in ingegneria civile, come papà. Ovviamente il figliolo non utilizzerà mai sul campo le conoscenze acquisite al MIT.  Ci vogliono da cinque a dieci anni perché un giovane ingegnere senta di aver raggiunto un punto di maturazione che lo soddisfi come ingegnere.  La giovane “progenie” del MIT non ha tempo per simili frivolezze.

 

Papà ha già raggiunto una posizione “invidiabile”. Il potere economico gli ha aperto le porte a molte interessanti attività.  Grazie ai suoi amici dell’élite politica è entrato nel regno dei media, della stampa e di “altro” e (probabilmente) ha attirato l’interesse dell’ambasciata USA di Atene. In realtà ha raggiunto il vertice del successo “mondano”. E’ diventato un “incoronatore di re” nella società greca.

 

Così la “progenie” intellettuale del MIT e la “progenie” biologica del nostro eroe è diventato il principe della corona dell’”impero” di papà e (cosa molto più importante) è diventato un membro in vista dell’élite greca controllata dagli USA, che esibisce la sua laurea come “un’insegna di regalità (intellettuale)” e fare il suo dovere patriottico seguendo le offerte di persone come … Hillary!

 

Questo è andato avanti per più di mezzo secolo, non solo in Grecia ma anche in India, in Pakistan, in Turchia e persino in Italia, in Francia, in Germania, e via dicendo.  E non solo passando per il MIT, ma anche per Harvard.

 

E che dire del Seminario Internazionale Harvardiano di Kissy (alias Heinz Alfred Kissinger, o Henry Kissinger) che, per esempio, ha offerto al popolo francese Valery Giscard d’Estaign come presidente della “repubblica” francese?

 

Ora, non tutti i giovani che frequentano il MIT o Harvard finiscono come “principi della corona” dei loro papà di “successo” e  “occupati” presso i “benevoli” Stati Uniti.  C’è un intero “spettro” di essere umani che giunge al vertice educativo offerto da queste istituzioni.

 

A un’estremità dello spettro si trova semplicemente un gruppo di giovani molto intelligenti, di tutte le nazioni, che contribuiscono all’avanzamento del sapere nel fertile terreno del MIT.  Sfortunatamente la maggior parte di essi, con l’età, si “nasconde” nell’accademia e non segue l’esempio di Noam Chomssky che, oltre a contribuire al sapere umano, contribuisce principalmente ad alleviare l’umana sofferenza.

 

La parte centrale dello spettro è affollata da giovani che o sono di origini umili o sono figli di genitori piuttosto benestanti. La maggior parte di essi, che resti negli Stati Uniti o ritorni in patria, vive dignitosamente e onestamente.  Tuttavia alcuni di loro soccombono alla barbarie dell’élite economica USA e tornano nella terra natia come strumenti delegati di quell’élite, in paesi come la Grecia. Ad esempio, la maggior parte delle mattine abbiamo la fortuna di vedere in televisione un greco laureato al MIT che, con arroganza e un sorrisetto di autocompiacimento, pontifica sulla situazione economica della Grecia, mentre attorno a lui la sofferenza della gente comune ha raggiunto un punto estremo.

 

Infine, all’altra estremità dello spettro c’è un piccolo numero della progenie dell’élite di altri paesi controllata dagli USA, come per esempio l’eroe dell’ingegneria della storia appena raccontata, che ritorna dal MIT come erede del “titolo nobiliare” di papà, di nuovo come “strumento” della filantropia USA (una parola greca composta da ‘filo’ (amare) e ‘anthropos’ (gli umani)).

 

Ignorando la generalizzazione del dottor Bigelow sulle “finalità pratiche” del MIT, oggi è imperativo (e utopistico?) chiedere alla gente del MIT, come persone, di rifiutarsi di costruire droni per gli Obama. E anche ridicolizzare gli studenti stranieri che sono disponibili a diventare fattorini delle élite USA.

 

Come sempre, c’è speranza.  In questo caso, ad esempio, c’è, negli stessi Stati Uniti, la “Unione degli Scienziati Coinvolti”, che è nata come collaborazione tra studenti e membri della facoltà al MIT nel 1969.

 

 

 

P.S.

 

Collegato a quello narrato c’è il caso di Linda Katechi, rettore dell’Università della California a Davis, che è stata coinvolta nel famigerato avvenimento degli spray al peperoncino contro gli studenti.

 

La Katechi è nata ad Atene nel 1954 e si è laureata al Politecnico (o Università Tecnica Nazionale di Atene) nel 1977. Nel novembre 1973 partecipò alla rivolta degli studenti del Politecnico contro la dittatura militare istigata dagli USA del 1967-1974.

 

La rivolta al Politecnico durò tre giorni, dal mercoledì al venerdì.  La maggioranza degli studenti che protestavano, circa 4.000,  apparteneva alla sinistra.  Il gruppo dominante e più energico erano i comunisti; Maoisti (divisi in due o tre fazioni), filo-Sovietici (che partecipavano alla rivolta con riluttanza), anti-Sovietici,  (quasi socialisti) del centro politico e persino alcuni “progressisti” di destra.  Venerdì, il terzo giorno, agli studenti si unirono i lavoratori.

 

Di questi il gruppo più “interessante” era (ed è) la dirigenza studentesca del centro (quasi socialista) che fu  “utilizzata” dalla famiglia Papandreou per formare un governo greco che ha governato il paese per trent’anni, fino ad oggi ed al casino attuale.  Alcuni membri di quella dirigenza sono oggi milionari e il resto è costituito da ricchi proprietari di ville, ecc.  Oggi essi partecipano inoltre a un governo con i … neonazisti!

 

Tuttavia alcuni dei giovani rivoltosi del Politecnico, la maggior parte di sinistra, vivono da allora vite oneste e piuttosto tristi.  Uno di essi, ad esempio, un ex maoista che in realtà fu quello che ebbe un ruolo principale nel “forzare” il resto degli studenti ad appoggiare la rivolta mentre c’era una tendenza a lasciare il Politecnico, dopo essere passato attraverso la “normale” tortura nelle camere di torture supervisionate dagli USA ed avere formato una famiglia, ora deve lavorare tutto il giorno nella professione medica anche se soffre di una malattia peggiore del cancro.

 

[Il rettore Katechi probabilmente lo conosce perché lei era la Politecnico durante la rivolta e probabilmente era presente durante la decisione dell’assemblea generale].  Nikos Raptis (non mio parente), un giovane matematico, dopo essere anche lui passato per la normale tortura, è morto a 32 anni, non più di 8 anni dopo la rivolta. Alcuni degli studenti rivoltosi, dopo essere rimasti profondamente delusi da quel che accadeva attorno a loro nella Grecia post-“rivoluzionaria”, si sono suicidati.  

 

Dato che la maggioranza degli studenti in rivolta era di sinistra, è ragionevole supporre che la Katechi appartenesse anch’essa alla sinistra all’epoca.  Anche il fatto che sia cresciuta nell’isola di Salamis, una località della classe operaia, a volte chiamata “la discarica dei rifiuti” di Atene, autorizza tale ipotesi.

 

Una persona come la Katechi ha dunque potuto trattare gli studenti del “movimento Occupiamo” al campus di Davis dell’Università della California in modo così “diverso” dalla sua esperienza greca? Tale esperienza è adeguatamente descritta dal destino del giovane greco di Rodi che, in mia presenza, si è recato dal citato professionista della medicina che aveva “forzato” la rivolta del Politecnico, e che stava diventando cieco da entrambi gli occhi perché un porco (alias un poliziotto) di Rodi, nel corso di una dimostraizone, gli aveva sbattuto la testa contro un pilastro metallico provocandogli il distacco di entrambe le retine.  Ovviamente i poliziotti (alias i porci) di Davis hanno usato la tecnologia avanzata degli “spray al peperoncino” invece dei mezzi primitivi delle loro controparti greche.

 

La risposta è “sì”! La Katechi ha potuto farlo. La storia è piena di casi simili.

 

Vi è, infine, una punta di ironia qui: il termine “katechi” in greco significa “occupa” (terza persona singolare del verbo ‘occupare’). Inoltre il nome di battesimo della Katechi è “Pisti”, che significa la “donna fedele”. Fedele religiosamente, ideologicamente o cosa?

 

Questo è il mio secondo articolo su ZNet riguardante l’ “americanizzazione” di una persona e gli effetti di tale “mutazione”. Il primo, del 4 giugno 1999, trattava dell’ “americanizzazione” di Ernst Franz Hanstaengl ad Harvard e i suoi conseguenti tentativi di “americanizzazione” del suo amico Adolf H. il “terrorista”, secondo il libro del 1990 di Otto Gritschneder.

 

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

 

http://www.zcommunications.org/the-mit-offspring-by-nikos-raptis

 

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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Sovranità alimentare in Europa

05 lunedì Dic 2011

Posted by Redazione in Dan Iles, Economia, Europa

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agricoltura, Andrea Ferrante, Austria, Belgio, Blanca G. Ruibal, Bulgaria, cibo, etichette, Europa, Fiandre, filiera corta, GASAP, Giornata Internazionale della Lotta Contadina, grecia, Italia, Jenny Gkiougki, Krems, Mali, Nyeleni, sovranità alimentare, spagna, Valloni, Voedselteams

 

di Dan Iles  – 05 dicembre  2011

‘I sistemi alimentari sono stati ridotti a un modello di agricoltura industrializzata controllato da poche imprese alimentari transnazionali assieme a un piccolo gruppo di enormi catene di distribuzione al dettaglio. E’ un modello inteso a generare profitti e perciò manca del tutto di soddisfare i suoi obblighi.  Invece di essere dedicato alla produzione di cibo […] si concentra sempre più sulla produzione di materie prime, come biocombustibili, mangimi o piantagioni di derrate.  Da un lato ha causato l’enorme perdita di poderi agricoli e delle persone che ricavano da vivere da tali poderi, mentre dall’altro promuove una dieta che è dannosa per la salute e che contiene frutta, verdura e cereali in misura insufficiente.’

Questo afferma la dichiarazione finale del forum europeo Nyeleni per la sovranità alimentare, tenutosi ad agosto nella cittadina di Krems, in Austria, con la partecipazione di 400 delegati da 34 paesi.  Il forum è stato strutturato in modo da suddividere le delegazioni in gruppi con interessi specifici e poi agevolare il dibattito inclusivo e partecipativo in modo da creare la base per una dichiarazione che offrisse una direzione al movimento europeo per la sovranità alimentare.  Tuttavia, come nella maggior parte dei forum di questo tipo, l’elemento più importante è stato costituito dall’opportunità per i produttori, le organizzazioni dei consumatori, i lavoratori, gli attivisti e i promotori di incontrarsi, condividere le proprie storie e pianificare il futuro.

In una sfida diretta all’agenda della “sicurezza alimentare” imposta dall’alto, che accetta quel dominio del nostro sistema alimentare da parte delle grandi imprese che, tanto per cominciare, è parte del problema, la vera lotta contro la fame globale non ha luogo nei parlamenti, nelle istituzioni finanziarie o nei laboratori scientifici. Si tratta invece di agricoltori su piccola scala e di consumatori privati del loro potere che si riuniscono per costruire dal basso un sistema alimentare migliore.  In linea con questo approccio, il forum ha incluso una giornata di protesta presso i supermarket attorno a Krems e un mercato che ha combinato bancarelle dei contadini e informazioni politiche dirette agli abitanti della cittadina.  Questa combinazione si è dimostrato uno strumento potente di contatto.

Nyeleni Europe rappresenta i collettivi agricoli sostenuti dalle comunità, le unioni dei coltivatori organici, le cooperative alimentari locali, le organizzazioni di scambio delle semenze, gli attivisti alimentari, i mercati contadini e gli orti comunitari che formano la prima linea contro l’ondata della grande produzione.

Cosa significa il nome?

In Mali c’è un simbolo potente che potrebbe servire da simbolo della sovranità alimentare.  E’ una donna che ha lasciato il segno nella storia del Mali, come donna e come grande contadina. Quando citi il suo nome tutti sanno cosa quel nome rappresenta.  E’ la madre che porta il cibo, la madre che coltiva, che ha combattuto per essere riconosciuta, da donna, in un ambiente che non le era favorevole.  Questa donna è stata chiamata Nyeleni.  Se usiamo questo simbolo, tutti in Mali sapranno che si tratta di una lotta per il cibo, una lotta per la sovranità alimentare.

Ibrahim

Grecia

La situazione in Grecia è che nei pochi decenni più recenti gli agricoltori sono stati pagati per smettere di coltivare, per abbattere i vecchi alberi, sradicare le vecchie viti, ecc.  […] Così ora c’è una quantità di terra arabile non coltivata, lasciata inutilizzata e apparentemente abbandonata.  Con la crisi economica queste famiglie incassano di meno e ora tutti sono preoccupati perché abbiamo tutta questa terra ma non vi viene coltivano cibo.

Cercando un approccio proattivo alternativo, alcune famiglie stanno tornando a cercare di sostenere direttamente i propri contadini locali.  Si stanno riunendo per formare collettivi di consumo per acquistare i prodotti della terra e cercare di aggirare gli intermediari.  La gente sta anche cercando di creare monete alternative per mantenere locali le economie.

Jenny Gkiougki collabora con gli ‘indignados’ greci.

Belgio

In Belgio vi è una carenza di coesione tra i gruppi agricoli a motivo della barriera linguistica e di tutta la politica che vi si accompagna. In conseguenza vi è scarsissima collaborazione tra i movimenti di base tra le aree dei Valloni e delle Fiandre del Belgio.  Tuttavia alcuni recenti sviluppi nei movimenti alimentari nella parte settentrionale e in quella meridionale del paese sono simili.

Sta crescendo una forte rete alimentare locale nella parte Vallese, il GASAP (Groupe d’Achat Solidaire del l’Agriculture Paysanne) con sede a Bruxelles e il Voedselteams nelle Fiandre. Quest’ultimo ha un’organizzazione migliore con 5 dipendenti a tempo parziale, più di 120 gruppi locali e 80 agricoltori impegnati nel progetto.  Tutti i gruppi hanno un approccio simile in quanto si concentrano sulla prossimità dei produttori alimentari rispetto ai consumatori.  Hanno sviluppato il proprio sistema di selezione per gli agricoltori in quanto le principali etichette organiche non tengono conto della distanza e della dimensione delle coltivazioni come criterio di etichettatura.

Nelle Fiandre sta comparendo un fenomeno nuovissimo  di fattorie di ‘agricoltura sostenuta dalla comunità’  che ha un approccio all’auto-raccolto.  Ce ne sono circa sette al momento e operano in prossimità di città quali Leuven, Gent e Anversa.  I mercati contadini sono anch’essi aumentati in anni recenti e sono stati adottati dalle autorità locali.

L’anno scorso un gruppo di sei progetti di fornitura alimentare a filiera corta ha fatto appello al parlamento fiammingo per un piano di azione strategica sull’agricoltura a filiera corta.  Ciò implicherà il riconoscimento delle filiere corte come innovazione che aumenta il contatto tra produttori di cibo e consumatori, consente ai produttori di fissare i propri prezzi per i propri prodotti e produce cibo per i mercati e le comunità locali.

Wim Merckx, delegato belga dalle Fiandre

Spagna

Come in tutta Europa, i contadini e i piccoli agricoltori stanno scomparendo in Spagna. Le statistiche mostrano che negli ultimi 20 anni ogni ora hanno chiuso tre aziende agricole. C’è una quantità di problemi diversi causati dall’abbandono dell’attività agricola.  Tra essi, a causa del nostro clima arido, c’è l’erosione del suolo e la minaccia di desertificazione. I problemi sociali sono anche peggiori; lo spopolamento dell’ambiente agricolo causa uno squilibrio territoriale e una profonda sconnessione tra città e paesi.

C’è tuttavia un movimento in crescita che offre soluzioni e alternative pratiche al sistema dominante. Per più di dieci anni, ormai, gli agricoltori, i consumatori cittadini, gli attivisti ambientalisti e altri hanno collaborato per la sovranità alimentare, opponendosi alle regole attuali, avvicinando ancor più consumatori e agricoltori e sviluppando modi nuovi e innovativi di combattere la commercializzazione, i cibi OGM e via dicendo.  Vogliamo, e abbiamo necessità, che i contadini producano cibo locale e sano che sia rispetti l’ambiente sia mantenga i vivi i paesi.  E’ bello condividere problemi ed esperienze con gente di tutta Europa e vedere che c’è un forte movimento europeo che lotta per la sovranità alimentare.

Blanca G. Ruibal, Amica della Terra, Spagna

Bulgaria

In Bulgaria, come altrove, è che ci sono numerosi supermercati potenti che non sono obbligati a vendere prodotti locali.  La popolazione è, in generale, poverissima, quindi le persone sono costrette a cercare le merci a prezzo più basso, che normalmente sono importate. Questo uccide i produttori bulgari.

Gruppi locali hanno creato progetti internet per i consumatori che si organizzano insieme per creare una cooperativa alimentare virtuale.  Ciò viene fatto principalmente attraverso gruppi Google, con la gente che ordina in rete quello che le serve e poi invia un ordine collettivo agli agricoltori locali.  Ciò consente agli agricoltori di sapere quanto, di un particolare prodotto, è necessario e su cosa concentrarsi.  Dà loro anche una sicurezza finanziaria considerevolmente migliore.

Un organizzatore alimentare di comunità bulgaro.

Italia

In Italia il principale problema ora è che stiamo trattando il cibo come una qualsiasi merce, e la finanziarizzazione dell’agricoltura è uno dei maggiori esempi di ciò.  La terra è stata abbandonata in tutto il paese, non perché fosse impossibile coltivarla, ma perché il sistema di agricoltura industrializzata ha ritenuto che il mercato locale non fosse più importante.  Ciò ha portato a un’enorme perdita di biodiversità perché abbiamo pensato che le verdure dovessero essere prodotte soltanto in due o tre regioni del sud.

Tuttavia ci sono in Italia più esempi che mai di progetti di sovranità alimentare.  Essi includono mercati contadini che danno ai produttori accesso diretto ai consumatori, che non sono più semplicemente consumatori perché propongono richieste riguardo alla produzione e diventano parte del processo.  In Italia abbiamo ora un milione di pasti al giorno preparati con prodotti biologici, quasi tutti italiani. Questo flusso locale di  denaro sta generando un notevole sviluppo locale per gli agricoltori biologici.

Andrea Ferrante, presidente dell’associazione italiana per l’agricoltura biologica.

 

Il sito Nyeleni Europe viene sviluppato come risorsa del movimento per la sovranità alimentare. Il forum ha concordato azioni a livello europeo, comprese occupazioni di supermercati, marce e altre forme di azione diretta nella “Giornata Internazionale della Lotta Contadina”, il 17 aprile 2012.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/food-for-thought-food-sovereignty-in-europe-by-dan-iles

Fonte: Redpepper Magazine

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Milioni di lavoratori del pubblico impiego scendono nelle strade per uno sciopero generale storico

04 domenica Dic 2011

Posted by Redazione in Autori, Economia, Europa, Richard Seymour

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Milioni di lavoratori del  pubblico impiego scendono nelle strade per uno sciopero generale storico

 

Di Richard Seymour

1° dicembre  2011

 

AMY GOODMAN: Sono Amy Goodman con Nemmen Shaikh di Democracy Now!

 

NERMEEN SHAIKH: Molte grazie, Amy, e benvenuti ai nostri ascoltatori e spettatori nel nostro paese e in tutto il mondo. In Gran Bretagna, oggi 2 milioni di lavoratori sono scesi nelle strade per partecipare nella più imponente protesta di massa mai svoltasi da circa 30 anni.  Insegnanti, personale ospedaliero, operatori ecologici, vigili del fuoco, e guardie di confine partecipano allo sciopero di 24 ore. Una  coalizione di 30 sindacati ha organizzato circa 1000 dimostrazioni e proteste in tutto il paese.  Si annunciano picchetti che si formeranno vicino a edifici pubblici e ospedali nel corso della giornata. Lunedì le linee aeree hanno comunicato che avrebbero ridotto i voli all’aeroporto londinese di Heathrow, che ha il maggior traffico aereo in Europa, per paura di ritardi e di sovraffollamento dovuti allo sciopero. I dipendenti dell’aeroporto fanno parte dei circa 2 milioni di lavoratori del settore pubblico contrari alle riforme che i sindacati dicono li costringeranno a pagare di più per le loro pensioni e a lavorare più a lungo prima di andare in pensione. Paul Cottrell, del sindacato dell’Università e dei College ci ha spiegato perché sostiene questo sciopero.

PAUL COTTRELL: Bene, il fatto è che i lavoratori del settore pubblico hanno già dato un grosso contributo. Per esempio, attualmente, la maggior parte di loro ha già avuto un congelamento dello stipendio da diversi anni, mentre il costo della vita è cresciuto. Pensiamo, quindi, che se c’è una qualsiasi discussione sul fatto che  il settore pubblico dia un qualsiasi contributo, come esiste per il settore privato e i ricchi della nostra società, pensiamo che i nostri membri hanno fatto la loro parte e il troppo è troppo.

AMY GOODMAN: nel frattempo, il Primo ministro David Cameron ha condannato lo sciopero definendolo un’iniziativa irresponsabile e ha esortato i sindacati a continuare gli incontri dato che le trattative sulle pensioni andranno avanti fino alla fine dell’anno. Anche il governo guidato dalla coalizione dei Conservatori, ha detto che la riforma è necessaria poiché la gente vive più a lungo e le pensioni del servizio pubblico non sono alla portata di tutti. Ieri il governo britannico ha annunciato un’altra dose di austerità. Il ministro delle Finanze George Osborne, ha detto che gli aumenti delle retribuzioni per i lavoratori del settore pubblico, già congelati da due anni, avrebbero avuto il limite massimo  dell’1% dal 2013, mentre la perdita di posti di lavoro sarebbe schizzata a 710.000 da una stima iniziale di 400.000. Per saperne di più ci colleghiamo adesso con Londra per parlare con Richard Seymour, uno dei blogger più conosciuti in Gran Bretagna. Il suo blog si chiama Lenin’s Tomb (La tomba di Lenin). Richard, benvenuto a Democracy Now! Questa è la protesta di massa più imponente da qualche decennio. Parlaci della sua  importanza.

 

RICHARD SEYMOUR: Prima di tutto, la cosa importante da riconoscere è che la Gran Bretagna non è come il Continente. Qui da noi questo tipo di scioperi non si svolge con regolarità. Succede in Francia, in Grecia, ma non in Gran Bretagna. Questo è lo sciopero più imponente della storia della Gran Bretagna dal 1926, che era stato uno sciopero generale. E’ questo quindi il suo significato e vuol dire che avrà un impatto politico molto maggiore nel Regno Unito di quanto avrebbe avuto in un paese del continente. L’altra cosa è, che, un anno fa, la situazione  sembrava molto diversa. Se torniamo all’estate del 2010, vediamo che tra i sindacalisti l’umore era molto cupo.  C’era stato perfino un invito per David Cameron di parlare al Congresso dei Sindacati. Non si diceva che ci sarebbero stati scioperi di massa. L’accordo  però,  per cui  David Cameron andava a parlare al Congresso è stato fatto naufragare a causa della rabbia dei sindacalisti della base. Successivamente, il Congresso stesso è stato un evento pieno di rabbia nel quale i capi del sindacato si sono sentiti costretti ad organizzare un qualche tipo di replica ai tagli. In ottobre, mi sembra, hanno trovato questa idea di organizzare una grande marcia dei sindacati per il 26 marzo. Allora è stata considerata un’iniziativa troppo piccola e troppo tardiva. Nel frattempo, però, fatto molto importante, è venuto fuori dal nulla il movimento degli studenti. E’ volato in alto come un razzo, e fondamentalmente ha cambiato moltissimo le cose per quanto riguarda gli argomenti che si trattavano nel movimento sindacale, perché ha tentato di eliminare un po’ del pessimismo e della disperazione che la gente comune sentiva per non potere affrontare quei tagli. Quando c’è stata la vera dimostrazione, quindi, è stata una delle dimostrazioni sindacali più imponenti nella storia della Gran Bretagna. C’erano 500.000 persone che rappresentavano ogni settore del movimento britannico dei lavoratori. E quando i membri e i capi del sindacato, come Mark Srwotka del Sindacto    si sono alzati e hanno detto se possiamo marciare insieme, possiamo scioperare insieme, la gente ha ascoltato e applaudito. Credo che questo discorso sia  stato uno dei più popolari di quella giornata. Questo è stato  il alla base della capacità di pressione che hanno questo tipo di sciopero.

Il 30 giugno, c’è stato uno sciopero su vasta scala deciso da alcuni dei sindacati più piccoli e più militanti, non affiliati al Partito Laburista. Il successo di quello sciopero ha messo altra pressione sui dirigenti dei sindacati più importanti che di conseguenza sono stati ancora più riluttanti a indire un’azione di sciopero. Ed è per questo che siamo arrivati al punto dove ci troviamo oggi e questa è l’importanza di questo sciopero. L’altra cosa, naturalmente, è il fatto che il governo in realtà non ha trattato. Sembra, infatti, che non si sia molto preoccupato delle possibilità di provocare un’opposizione. Nella tua introduzione hai parlato dell’intensificarsi della misure di austerità che stanno  proponendo. Oltre ai tagli dei salari, parlano di trasformare le contrattazioni rendendoli adeguati alle condizioni del mercato regionale dei salari. Questo significa, fondamentalmente, che se sei un lavoratore del settore pubblico a Manchester, probabilmente vedrai che il tuo salario è molto più basso rispetto ai salari di Londra. L’apparente  fondamento logico di questo è rendere le cose più facili per il settore privato, perché dicono  che al momento gli alti stipendi del settore pubblico escludono il settore privato. Questo è quindi una ristrutturazione abbastanza drastica , tutto sommato, dell’intera economia britannica. E devo essere onesto, l’ultima volta che una cosa del genere è stata fatta, è stata opera dell’amministrazione Thatcher, che era di gran lunga più consapevole  dei pericoli che c’erano se si provocavano i suoi oppositori. Quel governo è andato al potere e ha adottato la  strategia di del frazionamento dei propri oppositori. Ha iniziato affrontando i sindacati più deboli , facendo prima concessioni ai sindacati più grandi,  infliggendo molte sconfitte ai sindacati più deboli, e solo allora ha corteggiato i sindacati più forti, noti in come i grossi battaglioni del movimento dei lavoratori.  E soltanto allora hanno affrontato  i minatori e i tipografi e li hanno sconfitti. Questo governo, quindi sembra avviarsi alla lotta senza dare molti segni di preoccupazione. Ma forse è compiacimento.

NERMEEN SHAIKH: puoi dirci qualche cosa riguardo a come lo sciopero ha influenzato la posizione del Partito Laburista? Hai detto prima  come stanno rispondendo ai sindacati. Come sono cambiate le loro posizioni, se è accaduto, come replica allo sciopero?

RICHARD SEYMOUR: La prima cosa da dire è che il partito laburista non ha mai – almeno i suoi dirigenti- sostenuto gli scioperi. Se decidessero di sostenerlo, quindi, si allontanerebbero, dalle loro tradizioni,  fatto raro. Hanno tuttavia cambiato il loro tono, il che è una cosa notevole. Al congresso del Partito Laburista, dopo che Ed Miliband è stato eletto segretario, ha detto che la gente non avrebbe appoggiato questi scioperi,e  che neanche lui avrebbe voluto avere problemi con loro. Di recente le cose sono cambiate. Si sono cominciati a vedere personaggi importanti del partito laburista, come Alan Johnson che era stato ministro. E’ una figura molto eminente della destra del Partito laburista, per molti aspetti un simpatizzante di Blair. Ha però detto che i sindacati avevano tutti i diritti di scioperare per questi motivi. Se non potevano scioperare per un problema così importante come questo, allora per che cosa potevano scioperare?  Ed Balls, il Cancelliere ombra (dell’opposizione), si è sentito obbligato a esprimere la sua enorme simpatia per gli scioperanti in un’intervista concessa domenica al quotidiano The Indipendent. Ed Miliband, anche se ha adoperato un tono abbastanza essenziale dicendo come al solito che entrambe le parti  avrebbero dovuto  mettersi intorno a un tavolo e dire che gli scioperi sono un segno di fallimento e che quindi lui  non avrebbe potrebbe appoggiarne uno, tuttavia ha detto anche qualche cosa di diverso. Non se  l’è presa con gli scioperanti in quanto tali, se l’è presa con il governo. Ha dato la colpa soprattutto al governo.

Adesso il problema del Partito laburista è questo: sanno che se fossero al governo adotterebbero molte delle stesse politiche perché non hanno una strategia alternativa coerente di crescita rispetto al Partito dei Tories. Credono essenzialmente nelle stesse cose. Si deve ridurre il deficit per ricostruire la fiducia del settore finanziario. Si devono fare le privatizzazioni a un ritmo molto più rapido, e si devono tagliare gradualmente le spese pubbliche in modo molto sistematico e strutturale. E poiché pensano queste cose, è molto difficile che essi critichino i Tories su qualsiasi argomento di principio. Per questo motivo, l’ unica critica che hanno trovato possibile fare, è che i Tories non hanno trattato in modo adeguato. E il quello che sostengono è che se fossero al potere tratterebbero meglio e assicurerebbero un accordo e non vedremmo tutti questi scioperi. Fondamentalmente, invece, hanno trattato per imporre una versione di ciò che i Tories stanno in realtà proponendo. Quindi sono in una posizione di debolezza perché vuol dire che non possono trarre vantaggio dal  malcontento diffuso che c’è ora per il governo.

AMY GOODMAN : Ci puoi parlare per un minuto dei mezzi di informazione che si sono occupati di questi avvenimenti e anche dello  scandalo delle intercettazioni telefoniche, perché di recente non si è  parlato molto nei notiziari dell’impero di Murdoch. In Gran Bretagna,  naturalmente  è tutto finito. Le ultime notizie quelle apparse sul Guardian che scrive che la Polizia di Londra sta indagando per vedere se degli investigatori privati che  lavorano per la News Corporation, sono entrati nei computer dei  funzionari del governo responsabili per l’Irlanda del Nord, per danneggiarli. Lo studio asserisce che gli investigatori privati che lavorano per News International che è il ramo editoriale della News Corporation nel  Regno Unito, sono entrati e hanno danneggiato il  computer di Peter Hain, un ufficiale della polizia militare ed ex segretario dell’Irlanda del Nord,  e anche i  computer di  agenti dell’Irlanda del Nord che contenevano informazioni segrete delicate. Naturalmente ci sono altre rivelazioni su questa faccenda e anche su ciò che è emerso martedì da un’inchiesta parlamentare britannica. Paul McMullen, ex vice redattore delle rubriche  del giornale  News of The World, che ora è stato chiuso,*  ha ammesso che insieme ai suoi colleghi ha intercettato le conversazioni telefoniche  della gente, ha pagato ufficiali di polizia per avere delle soffiate,  ha anche detto che si è  nascosto in furgoni privi  parcheggiati davanti alle case, ha rubato documenti riservati, ha frugato nei cassonetti delle persone famose, ha mentito sulla sua identità,  alla ricerca di notizie di cui scrivere. Raccontaci le ultime notizie su questa faccenda.

 

RICHARD SEYMOUR: E’ proprio una bella lista quella che si sta accumulando. ‘’ La stampa di Murdoch rappresenta una frazione di rigido potere politico ed economico di destra nel Regno Unito. Potete vedere il modo in cui funziona. Non lo abbiamo mai visto prima   in questa misura. Si può però vedere in che modo funziona a livello culturale, nel modo  in cui essi intimoriscono, corrompono e blandiscono le persone famose; a livello politico come costruiscono rapporti con i ministri importanti del governo, ma allo stesso tempo trovano canali per mezzo dei quali possono ricattarli o in qualche modo minacciarli di denuncia.  Abbiamo visto che hanno costruito rapporti con la Polizia di Londra e perfino con membri della magistratura. Penso infatti che trovereste che Lord Levison, che è quello che conduce l’indagine, è stato egli stesso molto vicino al clan dei Murdoch. C’è quindi un una rete di potere di classe.  Ciò che vorrei dire a  proposito di questo è che è stato costruito.  Cioè, il potere ideologico di Rupert Murdoch, la sua abilità di proiettare l’immagine di questi scioperi come una cosa inutile, tipica degli attivisti, aggressiva e belligerante e così via, deriva dal suo potere economico che  si è creato in decenni nel Regno Unito. Ha iniziato comprando i giornali  popolari social democratici come The Sun,  per esempio –  era stato in precedenza un giornale sindacale che si chiamava Daily Harold – lo ha chiuso,  per un po’ lo ha tenuto come giornale che appoggiava il partito laburista. Quando poi lo ha fatto diventare un giornale popolare, lo ha anche trasformato in un giornale  pro Thatcher. Credo che scoprirete che ha adottato lo stesso modello di azione per l’acquisizione  dei suoi mezzi di informazione negli Stati Uniti.  Per esempio, la Fox. Ha iniziato diffondendo programmi di  contenuto popolare come The Simpsons, e una volta acquisito il mercato, ha cominciato molto decisamente a promuovere i suoi programmi per creare notiziari molto di destra. Così opera Murdoch. Ciò che in realtà sta accadendo adesso è che queste rivelazioni hanno assestato un colpo devastante al suo potere economico e commerciale e quindi, potenzialmente al suo potere ideologico nel Regno Unito.

NERMEEN SHAIKH

Forse quello che dici  è proprio vero, Richard, ma non sembra che non  siano stati intentati procedimenti giudiziari o imputazioni contro  Murdoch o contro qualsiasi altro dei personaggi importanti  implicati nello scandalo delle intercettazioni telefoniche.

RICHARD SEYMOUR: No, è vero. Ma penso che allora non fosse programmato o previsto. Questo  è  un po’più probabile che  sia accaduto sul nostro lato dell’Atlantico. La verità  è che le inchieste pubbliche hanno la funzione storica  di essere un tipo di terapia per la classe dirigente del Regno Unito. Serve a rallentare il passo delle rivelazioni e portarle a un  procedimento gestibile. Alla fine di questo proporranno delle raccomandazioni, raccomandazioni di metodo che possono essere accettate o non accettate dal governo. Ma è non un modo di azione che porta necessariamente a procedimenti giudiziari.  Naturalmente dipende tutto da che cosa verrà fuori, da come il clan Murdoch si difenderà.  Hai, però, certamente ragione, non ci sono segnali che per lo meno persone molto anziane, siano state messe in prigione.

AMY GOODMAN: E infine, queste recenti notizie dall’Iran, il governo britannico che ritira una parte del personale dell’ambasciata dopo che i dimostranti iraniani – non è chiaro chi  siano – hanno preso d’assalto l’ambasciata britannica a Tehran,   hanno invaso i suoi edifici, scandendo lo slogan: “Morte alla Gran Bretagna.” Richard Seymour?

 

RICHARD SEYMOUR: Penso che dobbiamo comprendere questo inserendolo  nel contesto della  geopolitica. Ci sono elementi nel governo britannico che davvero vogliono una guerra  con l’IranE’ venuto fuori di recente che c’erano  rapporti tra Liam Fox che era Ministro della difesa ed era personaggio di destra molto rigido, neoconservatore, atlantista, * filo israeliano, e un tizio che si chiama Adam Werritty, che era suo amico  e che agiva in coordinamento con  tutte queste organizzazioni atlantiste e filio-sioniste. Sembra che abbiamo esercitato pressioni molto forti, per far approvare un  attacco contro l’Iran e penso che ci siano elementi all’interno del governo che desidererebbero aggravare un certo tipo di situazione. L’applicazione costante di pressione – recentemente c’è stata la pubblicazione di sanzioni più rigide –  penso che sia intesa a provocare un certo tipi di segnali da parte dell’Iran. Non sono sicuro che questi tumulti non abbiano nulla a che fare con il governo iraniano, ma dico che il governo britannico ha voglia di menare le mani. Sembra davvero molto strano che sia questa la situazione, perché dopo l’Iraq sembrerebbe una scommessa  suicida.  Sembra però che stiano cercando di combattere con qualcuno e penso che l’Iran sia il candidato.

 

AMY GOODMAN:  Richard Seymour, voglio ringraziarti per essere stato co noi. Richard è uno dei bloggers più conosciuti, lavora a Londra, il suo blog si chiama Lenin’s Tomb (La tomba di Lenin). E’ autore di The Liberal Defense of Murder (La difesa liberale dell’omicidio) e di The Meaning of David Cameron (Il significato di David Cameron).

 

www.treccani.it/enciclopedia/atlantista_(Lingua-italiana)* www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=155718 **

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/millions-of-british-public-sector-workers-take-to-the-streets-in-historic-general-strike-by-richard-seymour

Fonte Democracy Now!

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNETItaly– Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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