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La guerra in Iraq è davvero finita?

18 domenica Dic 2011

Posted by Redazione in Danny Schechter, Iraq

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La guerra in Iraq è davvero finita?

 

Di Danny Schechter

16 dicembre 2011

 

La guerra in Iraq lanciata con tanta furia e fervore  come una  campagna, no, meglio dire come una crociata per salvare il mondo dalla armi di distruzione di massa inventate, ci dicono che si stia  calmando.  I soldati statunitensi  vengono messi alla porta  con la rivendicazione che l’unico vincitore è lo stesso Iraq.

In una fotografia ufficiale pubblicata sul New York Times, il presidente Obama, con la mano sul cuore, posa con il Primo  Ministro dell’Iraq Nouri al-Maliki alla cerimonia nazionale di Arlington e si vanta di un “risultato di straordinario”.

Dice: “Quello che c’è oggi è un Iraq che è in grado di auto governarsi, con la partecipazione concreta di tutti, e che  ha enormi potenzialità”.

Sono state deposte corone in un cimitero quando le restanti truppe statunitensi che  hanno attraversato  il deserto con tanto ardore nel 2003 adesso sono pronte a uscirne.

Nell’articolo non si parlava  dei negoziati inutili e della pressione di un governo statunitense disposto a restare in quel paese in tutti i modi possibili. Quando il sentimento patrio in Iraq ha reso impossibile questo desiderio, gli Stati Uniti hanno cominciato l’opera di trasformare il loro socio di minoranza in un nuovo cliente a cui vendere altri armamenti militare che comprendeno almeno altri 18 caccia F-16. Poiché in Iraq si è ricominciato a estrarre il petrolio, l’Iraq dovrà rimborsare questi costosi approvvigionamenti  e Washington diventerà il beneficiario di un flusso  di reddito in uscita che ora diventa “in entrata”.

Anche Maliki ha fatto il suo gioco, cercando di dimostrare che non è un cliente dell’America, rifiutando di aderire alle richieste di spodestare Bashar al-Assad in Siria e rifiutando un embargo del commercio favorito dall’Occidente. Questa affermazione di indipendenza non è apprezzata da coloro che sentono che “egli ci deve” e che dovrebbe chiederci “a che altezza” quando noi diciamo “saltare”, sebbene il presidente Obama dica che “rispetta” la decisione di Maliki.

Contemporaneamente, Maliki ha attinto al programma politico di  Saddam    schierando la sua personale polizia segreta e i militari per radunare centinaia di ex sostenitori Baathisti del regime di Saddam (ricordatevi che gli Iracheni in quel periodo non avevano altra scelta). Un gruppo di esperti statunitensi che documenta queste misure restrittive, dice che Maliki si preoccupa soprattutto della sua sopravvivenza. “Maliki è un Malichista”, dice uno di loro esperto. Queste citazioni si trovavano pochi anni fa quando si diceva che Saddam era un “Saddamista”.

Il potere fa queste cose. Anche Hussein, che ha iniziato a governare da dittatore con il sostegno degli Stati Uniti, era noto per  fare a meno dei suoi oppositori.

Maliki, tuttavia, fa lo stesso in nome di una “democrazia fragile”. Come Saddam, anche Maliki usa suo figlio Ahmad, per sfrattare le imprese statunitensi dalla Zona Verde di  Baghdad e per fargli  eseguire i suoi duri ordini. I gruppi che operano in difesa dei diritti umani lo criticano perché gestisce prigioni segrete dove mette i giornalisti e coloro che lo criticano, e ha licenziato 100 professori di un’università di Tikrit, la città natale di Saddam.

Sembra che gli Stati Uniti abbiano espresso “preoccupazione” per questo tipo di comportamento. Queste preoccupazioni, però, non sembra ostacolino gli accordi commerciali e il sostegno politico. Governare per decreto va bene  quando lo fanno i nostri amici.

 

La fatica dell’Iraq

 

Qui negli Stati Uniti è sopraggiunta la “fatica” dell’Iraq. Ormai circolano poche notizie di una guerra che molti Americani sono d’accordo a dichiarare sia stata un errore e che una volta appariva su ogni canale di informazione ventiquattro ore al giorno.

Questa guerra selvaggia è stata per lungo tempo considerata una cosa  imbarazzante,  tranne che dai contractor che hanno accumulato delle fortune e dai soldati che vengono ancora ringraziati per il loro “servizio” mentre stanno tornando casa dove affronteranno la realtà della disoccupazione sicura. A causa delle frequenti missioni di guerra, molti soldati si devono curare gravi ferite, devono  far fronte a  problemi di salute mentale e devono occuparsi delle loro famiglie rovinate. Sono anche vittime del conflitto, ma non in misura maggiore rispetto a milioni di Iracheni che sembrano essere stati dimenticati e ignorati.

Forse ci vorrà un po’ prima che gli ufficiali ammettano che gli Stati Uniti hanno perso una guerra che non si sarebbe mai dovuta cominciare, ma arriverà il momento anche di questo.

Noi abbiamo effettivamente liberato i giacimenti petroliferi perché altre nazioni li rivendichino mentre i politici addestrati in Iran hanno conquistato molte posizioni di potere. Teheran forse è  felice che gli Stati Uniti abbiano deposto Saddam Hussein dopo che lo hanno appoggiato nella guerra contro l’Iran che  gli è costata  almeno mezzo milione di vittime.

Il gigantesco movimento di protesta    dalla guerra, mentre è ora incentrato sull’Afghanistan, è ancora attivo. La coalizione “Fermiamo la Guerra” sta

appoggiando una  protesta a Londra presso l’ambasciata degli Stati Uniti che in aiuto dei “Democratici iracheni contro l’occupazione”. Hanno chiesto di far un picchetto davanti all’ambasciata americana a Grosvenor Square per  festeggiare il ritiro delle forze di occupazione fissato per la fine di questo mese. I dimostranti chiederanno l’espulsione di tutti i mercenari americani, dei consiglieri e degli istruttori militari e di ridurre le dimensioni dell’ambasciata americana di Baghdad.

L’opposizione irachena considera il ruolo degli Stati Uniti e i politici che hanno messo al potere per mezzo di elezioni come occupanti di integrità discutibile. Questo fa capire che non abbiamo finito di sentire la fine di un movimento di resistenza in Iraq il che significa che la violenza e l’instabilità sono ancora una minaccia. Potrebbe, tuttavia essere difficile per gli Stati Uniti e per le fonti americane di informazione dare tutta la colpa alle critiche contro i terroristi di al-Qaida in futuro.

Dato che Maliki sta ora terrorizzando i suoi nemici, spesso in nome di      discutibili “complotti” per destituirlo, l’Iraq rimarrà instabile. Tenete bene a mente che dopo tutti questi anni gli Iracheni hanno ancora di un sistema elettrico discontinuo e anche di gravi carenze di cibo e di medicinali.

La nazione ha molta strada da percorrere per riprendersi da una guerra che non è ancora finita. Gli Stati Uniti, nel frattempo, se ne stanno andando, almeno pubblicamente. I neo-conservatori che hanno appoggiato la guerra ora considerano l’Iraq come un “surrogato” che rimarrà dipendente , o, almeno, è quello che sperano. Per parafrasare uno slogan: La guerra che è iniziata con l’esplosione di  “colpisci e sgomenta”  è finita con il gemito del ritiro e con pochi problemi risolti. Molti Americani dicono “bene”, mentre la maggior parte degli Iracheni dicono: finalmente!

 

Danny Schechter, soprannominato “Sezionatore di notizie” ha girato il documentario Plunder , ( saccheggio) sui crimini perpetrati da  Wall Street.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.znetitaly.org

http://www.zcommunications.org/is-the-iraq-war-actually-over-by-danny-schechter

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNETItaly- Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

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E se Occupy Wall Street perdesse il suo parco?

08 martedì Nov 2011

Posted by Redazione in America, Danny Schechter

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Tag

Bloomberg, Chomsky, Esercito Continentale, Gramsci, Liberty Plaza, New York Times, occupywallstreet, rivoluzione, Valley Forge, Wilhelm von Steuben, Zuccotti Park

di Danny Schechter – 7 novembre 2011

Controllo microfono: Dici che vuoi una rivoluzione? …  [Dalla nota canzione ‘Revolution’ dei Beatles – n.d.t.]

La tela catramata sventola e le tende non offrono molto calore.

I rigidi venti dell’inverno frustano l’accampamento di Zuccotti Park o, come molti preferiscono chiamarlo, di Liberty Plaza [Piazza Libertà], il simbolo di un’aspirante rivoluzione contro lo status quo e i potenti dell’oligarchia statunitense.  [Ho rinunciato a cercar di rendere i neologismi ironici dell’autore: ‘status quote’ (lo ‘status quo’ delle citazioni, del ‘blah-blah’) , invece di ‘status quo’ e ‘powercrats’  (‘potentocrati) invece di ‘powerful’ – n.d.t.]

Le dure contraddizioni del mondo reale della vita urbana si sono abbattute contro le speranze idilliche degli occupanti mentre tutte le crisi urbane che la nostra società ha ignorato e trascurato vengono a galla in quel mezzo acro di speranza.

Ci sono uomini/donne che istruiscono e che accolgono, che si danno da fare e che si fanno le canne, appassionati di orge e persino stupratori e così tanti altri poveri con nessun altro posto dove andare.  Ci sono poliziotti all’esterno (e molti all’interno) che pianificano e si augurano il peggio.

La lotta non è soltanto del 99% contro l’1% perché, diciamo la verità, questo movimento ha sin qui soltanto motivato una minoranza dei consapevoli e deve ancora raggiungere la maggioranza dei bersagliati e oppressi.

Quando sabato scorso ho partecipato a una marcia, uno degli occupanti è sembrato riconoscere questa realtà con un cartello fatto in casa che diceva: “Faccio parte dell’1% del 99% che protesta. Dove stanno gli altri di noi?”

I sondaggi che dimostrano un vasto sostegno del pubblico non sono sufficienti.  L’opinione pubblica può essere mutevole e facilmente manipolata.

Vero, alcuni sindacati si stanno unendo al movimento Occupy, ma sono al loro livello più basso del secolo. Lottano per sopravvivere.

JA Myerson scrive sul suo nuovo sito, un ‘must’ da leggere, OWSNews.org, che molti si stanno preparando a evacuare il parco in questo inverno di crescente scontento mentre gli schieramenti tra chi vuol cambiare e chi non vuole, si fanno meno chiari.

“Nell’ultima settimana, o giù di lì, i media di proprietà dell’1% hanno fatto tutto il possibile per offrire al loro compare dell’1% e buon amico, il sindaco Bloomberg, la copertura politica necessaria per impossessarsi di Zuccotti Park. Hanno citato l’esempio di un ristorante i cui affari soffrono a causa delle barricate. Ma chi ha eretto le barricate?  Hanno citato l’esempio delle condizioni antigieniche che si stanno determinando in una comunità priva di servizi. Ma chi la priva di servizi? Hanno citato l’esempio di senzatetto e drogati che popolano il parco. Ma chi ha negato loro un posto migliore dove andare? E ora che hanno coltivato l’immagine di un progetto fallito (dopo aver essi stessi eretto le barriere contro il suo successo) sembrano accelerare verso la sua demolizione.”

Il New York Times ritiene (e forse spera) che l’occupazione si stia spegnendo, scrivendo: “La protesta di Occupy Wall Street è arrivata a un bivio.”

Potrebbe essere così, perché le rivoluzioni non si sviluppano su linee diritte e nemmeno avvengono soltanto quando quelli più consapevoli tra noi le vogliono.  Gli occupanti godono di simpatia, ma una società chiamata Brookfield è proprietaria del luogo in una società in cui i diritti di proprietà l’hanno vinta sui diritti umani.

Ci sono voci che si stia valutando una nuova località.

Le rivoluzioni hanno luogo quando le condizioni economiche e sociali assicurano che siano inarrestabili, quando le crisi fanno comprendere a milioni di persone non solo la loro inevitabilità bensì la loro desiderabilità, e quando molte forze convergono e non si vedono alternative.

Una cosa è proclamare uno sciopero generale, ma organizzarne uno richiede più che mettere in scena una protesta di massa in una città per un giorno, dopo meno di una settimana di mobilitazione. Sì, la partecipazione a Oakland è stata impressionante ma potrebbe non essere mantenuta.

Come Noam Chomsky ha consigliato prima che accadesse: “Dovete istruire, istruire voi stessi e gli altri, prima di attaccare.” La violenza di pochi è stata utilizzata per screditare gli sforzi dei molti, suscitando tante critiche dall’esterno quante all’interno.

Perché un pugno di macho sente sempre la necessità di dimostrare quanto riesce a essere militante?

Non ci sono scorciatoie alla costruzione di un movimento più profondo e più vasto. Organizzarsi non è facile ma è sempre essenziale.  Essere nel giusto non è mai sufficiente!

Il teorico italiano Gramsci consigliava un secolo fa i rivoluzionari di fondere “il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà”. Aveva ragione su questo allora, e ce l’ha oggi.

Un gruppo di Democratici di Lower Manhattan ha cercato alcune lezioni nella storia, avvertendo:

“Le pretese rivoluzionarie possono essere pericolose.  Minacciano lo status quo, suggeriscono instabilità, e spesso minacciano e provocano una violenza reale.  Gli Stati Uniti, piaccia o meno, hanno un sistema di governo stabile e venerabile che produce incessanti trasferimenti di potere ed è nei fatti concreti ben rispondente ai sentimenti degli elettori, nonostante le critiche di maggior buonsenso mosse ai problemi dell’inazione e della corruzione. A parte incidenti e ingiustizie isolate, i nostri dipendenti pubblici sono professionali e disciplinati.”

Anche se questo può essere stato vero una volta, quel sistema sta scricchiolando sotto il peso del cinismo, della polarizzazione e della corruzione.  I sondaggi mostrano che il Congresso gode di un minimo record di consenso pubblico. Lo stesso vale per il presidente Obama e, di fatto, per i suoi sfidanti Repubblicani.

Questo non significa che il paese sia pronto a fare a pezzi il sistema, ma è un segnale di crescente insoddisfazione. Mentre alcuni di noi sono diventati intensamente politicizzati, altri stanno ignorando i problemi, rifugiandosi nelle distrazioni del consumismo, degli spettacoli e dello sport.

Anche se l’industria finanziaria è il nemico principale, essa è alleata e finanziatrice di un’industria mediatica che è specializzata nell’oscurare i problemi e nel far propaganda a tempo pieno, 24 ore al giorno, sette giorni su sette. E’ maestra nel non diffondere informazioni importanti e nel ridicolizzare i dissidenti mentre pubblicizza la guerra e promuove la passività.

Dobbiamo andare al di là del nostro senso di superiorità e ascoltare i nostri critici, non solo tra i buffoni della destra che sono i più facili da contestare e scaricare.

Dobbiamo studiare la lunga storia dei tentativi falliti di trasformare il nostro paese e imparare da essa.  Dobbiamo anche riconoscere i nostri errori.  Questa generazione di attivisti non è la prima a prendersela con lo status quo.

Lo zelo rivoluzionario può guidare molti, ma può anche portarli alla delusione e alla disperazione in una società concentrata su rimedi istantanei, come l’Alka Seltzer.

Siamo una generazione che vuole tutto e lo vuole ORA!  Possiamo avere appuntamenti veloci ma non trasformazioni sociali e rivoluzioni politiche rapide.

Le occupazioni di oggi non sono neppure le prime. I Democratici cui ho fatto riferimento più sopra hanno guardato a un momento precedente della nostra storia rivoluzionaria: OccupyValleyForge.

E’ vero, quella è stata una guerra, non un movimento, ma i suoi metodi meritano di essere esaminati.

Come ho appena appreso “hanno fatto arrivare quello che era noto come il Seguito dell’Accampamento Reggimentale, donne e bambini, fondamentalmente, parenti e famiglie di uomini arruolati.  Hanno costruito strutture, eretto difese e hanno fatto due altre cose. Hanno elaborato un’alleanza con la Francia e hanno sostanzialmente creato l’Esercito Continentale con i propri soldati di Valley Forge. Lo hanno fatto con l’aiuto del barone Friedrich Wilhelm von Steuben, che è stato, oso dire, un tipo di organizzatore comunitario della ‘comunità’ militare prussiana.

L’Esercito Continentale è stato costruito con sofferenze e lotte condivise, con scavi e addestramenti estenuanti, e gli stato assicurato un vasto conforto morale tramite il Seguito dell’Accampamento Reggimentale.”

La storia non si ripete mai. L’oracolo barbuto ha detto un tempo che, quando accade, la seconda volta è una farsa.

Dobbiamo prepararci alla possibilità che Occupy Wall Street assuma nuove forme e possa doversi distribuire e decentralizzare come sta già accadendo con le riunioni negli atrii pubblici e nei sagrati delle chiese.

E’ già cresciuto oltre un parco e si è diffuso in tutto il mondo.  Ha, a proprio merito, portato nel dibattito nazionale problemi come quelli della diseguaglianza economica e dei crimini di Wall Street. Sinora ha avuto un successo superiore alle migliori aspettative.

E’ rivoluzionario nel suo piccolo essere democratico (‘d’ minuscola [con la ‘D’ maiuscola l’aggettivo si riferisce normalmente al partito – n.d.t.]) e senza capi ma non ha ancora fatto la rivoluzione.  Non c’è di che meravigliarsi!  C’è parecchia strada da fare.  La battaglia contro l’oligarchia, simboleggiata dai suoi più avidi e fraudolenti esemplari a Wall Street, continuerà, con o senza un Parco, come forma di guerra di classe in stile di guerriglia nonviolenta, sempre tenendo presente che la forza morale può sconfiggere la forza fisica quando è creativa, coraggiosa, nonviolenta e dedita nel lungo termine.

L’analista giornalistico Danny Schechter copre quotidianamente questi temi per newsdissector.com. Ha diretto ‘Plunder the Crime of Our Time’ [Il saccheggio, crimine del nostro tempo], un DVD sulla crisi finanziaria narrata come un romanzo giallo. (Plunderthecrimeofourtime.com). Commenti a dissector@mediachannel.org

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/mic-check-you-say-you-want-a-revolution-by-danny-schechter

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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