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Archivi della categoria: Federico Fuentes

Vertice in Venezuela per la creazione della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC)

07 mercoledì Dic 2011

Posted by Redazione in America, Economia, Federico Fuentes

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Tag

ALBA, Alvaro Garcia, Alvaro Uribe, America Latina, America XXI, Banca del Sud, bolivia, canada, capitalismo, CELAC, Colombia, costi e prezzi equi, crisi globale, cuba, Ecuador, Eva Golinger, Grande Polo Patriottico, Guardia Nazionale Bolivarista, Hugo Chavez, Luis Bilbao, Manuel Santos, OAS, Parmalat, prezzi bloccati, Rafael Correa, socialismo, UE, UNASUR, usa, venezuela

di Federico Fuentes  – 06 dicembre  2011

Un vertice di enorme importanza si è tenuto in Venezuela il 2 e 3 dicembre. Duecento anni dopo che i combattenti per l’indipendenza dell’America Latina hanno lanciato per la prima volta il loro grido di battaglia per un’America Latina unita, 33 capi di stato della regione si sono riuniti per formare la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC).

Per l’America Latina il vertice ha rappresentato un ulteriore passo via dal suo tradizionale ruolo di cortile di casa degli Stati Uniti e il suo emergere come attore per suo proprio merito della politica internazionale.

Risorse

L’importanza di questa nuova istituzione nella politica mondiale non può essere sopravvalutata.  Il prodotto interno lordo complessivo dei paesi della CELAC la rende la terza maggiore potenza economica mondiale.

E’ anche sede delle più vaste riserve mondiali di petrolio ed è anche la prima e più grande produttrice mondiale di cibo e di energia, rispettivamente.

La CELAC, inoltre, cresce da esperimenti e organismi inter-regionali esistenti.

Essi includono l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), il Consiglio di Difesa dell’UNASUR, la Banca del Sud (che attende soltanto l’approvazione del parlamento uruguaiano per dare alla vita una banca che conterà su 20 miliardi di dollari di progetti di sviluppo) e la creazione di meccanismi di scambio tra alcuni paesi che sostituiscono il dollaro con monete locali e nuove monete regionali.

Un’altra importante iniziativa di integrazione è l’Alleanza Bolivarista dei Popolo della Nostra America (ALBA), un blocco anti-imperialista di nove nazioni inizialmente formato, nel 2004, dai governi socialisti di Cuba e del Venezuela.

La CELAC esclude esplicitamente gli Stati Uniti e il Canada.

Tuttavia Cuba, che è stata esclusa dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) per aver osato sfidare l’impero statunitense e attuare una rivoluzione, non è stata inclusa ed è stata scelta per ospitare il Vertice CELAC del 2013.  Il Cile è già stato scelto per ospitare quello dell’anno prossimo.

Alcuni stanno già sostenendo che la CELAC rappresenterà il chiodo finale sulla bara dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), tradizionalmente dominata dai potenti vicini del nord.

Il presidente ecuadoriano Rafael Correa ha dichiarato il 29 novembre: “Crediamo di aver bisogno di un profondo cambiamento del sistema inter-americano, fondamentalmente latinoamericano, perché è chiara la forza gravitazionale degli Stati Uniti [all’interno dell’OAS].”

“Abbiamo bisogno di un altro sistema […] in cui discutere i nostri problemi nella regione, non a Washington [quartier generale dell’OAS], in cui le istituzioni che sono separate dalla nostra visione, dalle nostre tradizioni e dai nostri valori e bisogni, non ci vengano imposte.”

Lo stesso giorno, il vicepresidente della Bolivia, Alvaro Garcia Linera, ha dichiarato che il vertice rappresenterà “un incontro di popoli, a difesa del nostro destino, senza tutele, senza patroni, in modo che insieme possiamo trovare una soluzione ai nostri problemi, senza la presenza degli Stati Uniti.”

Indebolimento dell’impero

Il passo ha luogo in un momento in cui la potenza economica e politica degli Stati Uniti è in declino e l’Unione Europea è sull’orlo del collasso.

“L’America Latina è un continente in movimento che si confronta con un mondo in crisi,” ha affermato Garcia Linera.  “L’America Latina è l’avanguardia del mondo quanto a idee, quanto a trasformazione, quanto a proposte al servizio del popolo e dell’umanità.”

Luis Bilbao, direttore della rivista America XXI, diffusa in tutta l’America Latina, in un articolo del 28 novembre ha affermato che la CELAC rappresenta “un’opportunità senza precedenti di fare della regione il punto di partenza di una nuova fase della storia dell’umanità.”

L’America Latina è in una posizione unica, considerato il contesto globale, contrassegnata da tre caratteristiche chiave: “Ha una dinamica di convergenza regionale mentre tutti gli altri [continenti] soffrono di violente forze centrifughe;  sino ad ora, in conseguenza della recessione dei centri imperialisti, ha sofferto di meno; [e] all’interno di  questo complesso eterogeneo convergente esiste un nucleo vitale che, di fronte al collasso del capitalismo […] ha alzato la bandiera del socialismo del ventunesimo secolo.”

Gli Stati Uniti hanno tentato tutto il possibile per bloccare la CELAC. L’ex presidente colombiano, Alvaro Uribe, una marionetta degli USA, ha fatto il tentativo più recente.

Un articolo del 28 novembre di Venezuelanalysis.com ha affermato che durante una visita per incontrare l’opposizione venezuelana di destra, Uribe ha sollecitato i suoi membri a diffondere una “dichiarazione pubblica” che denunciasse i crescenti rapporti tra Colombia e Venezuela.

Sotto Uribe le relazioni tra Venezuela e Colombia erano quasi degenerate in guerra. Uribe si è anche dato da fare per minare dall’interno i progressi dell’UNASUR.

Nonostante egli continui molta delle politica neoliberale e oppressiva di Uribe in patria, Venezuelanalysis.com afferma che il presidente colombiano Manuel Santos “ha adottato una posizione notevolmente diversa in politica estera, intesa a integrare la Colombia nelle organizzazioni regionali e a ristabilire relazioni bilaterali con altri paesi dell’America Latina.”

Questo non significa che il governo colombiano, o molti altri paesi latinoamericani, non seguano più i dettati USA in politica estera nella regione o che tutti concordino sul fatto che la CELAC dovrebbe automaticamente sostituire l’OAS.

Né significa che non ci siano differenze importanti su come affrontare la crisi economica globale e le guerre imperiali, come il recente attacco della NATO alla Libia.

Bilbao ha osservato che non ci si può attendere un’unica reazione unificata da parte della CELAC a queste enormi sfide, “tuttavia quel che è possibile è trovare un minimo comun denominatore”.

L’idea che il cortile di casa degli Stati Uniti crei il proprio vicinato per risolvere collettivamente i problemi, libero da interventi esterni, è un punto di partenza importante.

Il Venezuela fa strada

Che il vertice si sia tenuto in Venezuela ha rappresentato un doppio colpo per gli interessi statunitensi.  Avendo scatenato una campagna incessante per distruggere la rivoluzione bolivarista venezuelana, il fatto che esso sia stato scelto per ospitare il vertice smonta le bugie diffuse da Washington e dai media delle imprese riguardo al fatto che il Venezuela sarebbe isolato nella regione.

Inoltre la presenza di un presidente venezuelano Hugo Chavez completamente ripresosi, il cui attacco di cancro all’inizio dell’anno aveva costretto a dilazionare il vertice da luglio, ha cancellato le speranze che i problemi di salute riuscissero dove il colpi di stato e i piani di destabilizzazione appoggiati dagli Stati Uniti contro il governo Chavez avevano fallito.

Chavez, invece, ha annunciato di essere pronto a candidarsi alla rielezione alla elezioni presidenziali del 7 ottobre dell’anno prossimo.

In risposta all’appello di Chavez di formare un “Grande Polo Patriottico” di partiti e movimenti sociali in appoggio alla sua rielezione su una piattaforma di approfondimento della rivoluzione, più di 32.000 organizzazioni hanno sottoscritto la campagna nel corso del periodo di registrazione di quattro settimane iniziato a inizio ottobre.

I sondaggi indicano il sostegno a Chavez a più del 50%.  L’opposizione sostenuta dagli Stati Uniti resta incapace di raccogliere candidati in grado di sfidarlo seriamente.

In risposta, gli Stati Uniti stanno accelerando una grande campagna per cercare di evitare un nuovo mandato per le politiche anticapitaliste di Chavez.

La giornalista d’inchiesta Eva Golinger ha affermato, in un articolo dell’11 agosto su Chavezcode.com, che gli Stati Uniti hanno già stanziato 20 milioni di dollari per finanziare l’opposizione l’anno prossimo.

Un’altra tattica importante utilizzata consiste nell’accumulo e nella speculazione capitalista sui prezzi del cibo per provocare scarsità e peggiorare l’inflazione, che già viaggia sopra il 22% quest’anno.

Il mondo dei grandi affari ha usato questa tattica con successo per contribuire a sconfiggere il referendum del 2007 su una serie di riforme costituzionali proposte da Chavez, dando ai capitalisti la loro unica vittoria elettorale in 12 anni.

Il 27 novembre Chavez ha  affermato che nei giorni scorsi la Guardia Nazionale Bolivarista ha sequestrato 127.000 chili di riso, 132.000 chili di farina, 256.000 chili di latte in polvere, 85.000 litri di olio vegetale, 246.000 chili di zucchero e 10.500 chili di caffè, tutti illegalmente ammassati da società private.

Una società interessata, l’italiana Parmalat, ha pubblicato  una dichiarazione il 26 novembre su diversi giornali.  Ha affermato essere  “strano” che il governo abbia sequestrato 210.000 chili di latte in polvere dai suoi magazzini, visto che quel latte si presumeva destinato alla società di distribuzione statale, CASA, in base a un contratto firmato.

Chavez ha risposto il giorno dopo: “Abbiamo scoperto che la Parmalat ammassava il latte questo è tipico della borghesia … pensano che siamo pazzi o idioti … Signori della Parmalat, noi non siamo stupidi.”

Egli ha ordinato  una indagine su vasta scala a carico della società e ricordò alla Parmalat che il suo governo ha il potere di espropriare la società, se continua a compiere azioni simili.

Nazionalizzazioni

Un articolo della Reuters del 14 ottobre ha citato dati forniti da Conindustria, una federazione industriale venezuelana, che mostrano che quest’anno sono state nazionalizzate 459 società. Da quando Chavez ha assunto il potere le imprese nazionalizzate sono stimate in 1.045.

Ciò ha assicurato che lo stato svolge un ruolo dominante in settori strategici quali il petrolio, l’elettricità, il cemento, l’acciaio, le telecomunicazioni e la produzione e distribuzione alimentare.

Il giorno dopo la reazione di Chavez la Parmalat ha pubblicato un’altra lettera aperta offrendo le sue “scuse più sincere” per aver mancato di “comunicare adeguatamente quel che è emerso” riguardo al latte in polvere.

Essa si è impegnata ad appoggiare il governo nel garantire che i bisogni del popolo siano soddisfatti.

La Parmalat non è l’unica società che Chavez ha ordinato di controllare. Egli ha indicato la Colgate Palmolive, la Pepsi Cola, la Heinz, la Nestlé, la Coca Cola, l’Unilever, la Glaxo Smith Kline  e la Polar, la più grande impresa alimentare venezuelana.

Esse sono tra le società colpite dai controlli sui prezzi di 18 articoli alimentari, igienici e per la casa, in effetto dal 22 novembre.

Dal 2003 il governo ha imposto controlli sui prezzi di vari beni alimentari essenziali.

In base alla nuova Legge sui Costi e Prezzi Equi, il prezzi di 18 beni sono congelati sino a metà dicembre.  L’organismo di nuova creazione, la Sovrintendenza Nazionale sui Prezzi e Costi Equi, verifica le imprese che producono tali merci per stabilire quanto costi realizzare il prodotto, al fine di fissare un prezzo di vendita ragionevole.

Dal 15 dicembre tale prezzo dovrà essere stampato sul prodotto. A quelli che non rispetteranno il regolamento saranno comminate sanzioni.

Un seconda fase inizierà a gennaio e riguarderà i medicinali.

Il 7 novembre Chavez ha dichiarato al canale televisivo statale VTV: “Non possiamo concedere ai grandi proprietari di attività e alle grandi imprese la libertà di continuare a saccheggiare le tasche dei venezuelani.”

La nuova legge, ha dichiarato Chavez, “è stata necessaria e ha formato parte di una strategia di intervento statale nell’economia che, a sua volta, è parte della transizione dal capitalismo […] al socialismo.”

Senza dubbio la battaglia tra la democrazia socialista e la dittatura dei mercati continuerà a riscaldarsi con l’approssimarsi delle elezioni presidenziali.

Il risultato di questa battaglia avrà ramificazioni importanti non solo per il futuro del Venezuela, ma per quella della CELAC e del mondo.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/summit-in-venezuela-opens-new-phase-in-history-by-federico-fuentes

Fonte: New Left

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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La lotta per la giungla non è certo finita

24 giovedì Nov 2011

Posted by Redazione in America, Federico Fuentes

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La lotta per la giungla non è certo finita

 

Di Federico Fuentes

22 novembre 2011

 

Anche se il governo ha raggiunto un accordo con i dimostranti indigeni su tutte le 16 richieste avanzate durante la  marcia di 10 settimane verso la capitale La Paz, le differenze di base sono lontane da una risoluzione.

Il 24 ottobre, l’Assemblea Legislativa Plurinazionale ha approvato una nuova legge che proibisce la costruzione di qualsiasi grande strada attraverso il Parco Nazionale Isiboro Secure e il Territorio Indigeno (TIPNIS-Territorio Indigena y Parque Nacional Isiboro Secure ).

Molti gruppi erano a favore della grande strada (carretera) che avrebbe collegato i dipartimenti del fiume Beni e quello di Cochabamba e avrebbe fornito alle comunità rurali povere  un migliore accesso ai mercati e ai servizi di base.

Ha avuto, però, l’opposizione di 20 sulle 64 comunità indigene del TIPNIS. E’diventato il punto principale di convergenza della marcia guidata dalla Confederazione dei Popoli Indigeni dell’Oriente boliviano (CIDOB).

La marcia ha ottenuto molta simpatia, specialmente tra i settori della classe media cittadina, dopo che la polizia il 24 settembre ha represso in modo brutale  la dimostrazione di protesta.

Il presidente Evo Morales  si è  immediatamente rifiutato di dare ordini per reprimere la protesta. Scusandosi per il terribile avvenimento, Morales ha ordinato un’indagine completa sulle ragioni dell’attacco della polizia.

Nei giorni seguenti, tuttavia, si sono svolte importanti iniziative di  solidarietà con i dimostranti.

I sostenitori del governo hanno replicato scendendo nelle strade il 12 ottobre. Centinaia di migliaia di gente indigena, di campesinos (contadini), minatori e attivisti di El Alto, hanno invaso la capitale.

Dopo aver raggiunto La Paz, i capi della marcia hanno avuto colloqui con Morales e i ministri del governo per raggiungere un accordo riguardo alle loro richieste.

Queste richieste comprendevano l’opposizione alla strada, le riforme terriera e il diritto dei popoli indigeni di ricevere finanziamenti come compenso aver trasformato le foreste  situate sulle loro terre tradizionali in agenti neutralizzanti le emissioni di anidride carbonica.

Non c’è voluto molto perché la disputa si riaccendesse, questa volta sulla parola “intoccabile” che era stata inserita nella legge del TIPNIS  su richiesta dei promotori della marcia.

Secondo il governo il termine “intoccabile” implicava l’immediata espulsione di tutte le società di taglio e trasporto di tronchi d’albero   e di quelle turistiche che operavano all’interno del TIPNIS, in alcuni casi illegalmente.

I promotori della marcia contrari alla strada difendevano tuttavia il taglio degli alberi su scala industriale  all’interno del TIPNIS:  due compagnie   che tagliano e trasportano gli alberi  operano nel parco nazionale su più di 70.000 ettari e hanno firmato contratti per 20 anni con le comunità locali.

Il governo ha denunciato la presenza di un villaggio turistico all’interno del TIPNIS, fornito di due piste private di atterraggio di aerei per trasportare stranieri disposti a pagare 7.600 dollari per visitare il parco.

Di questa somma, soltanto 200 dollari vanno alle comunità locali che hanno fatto il contratto con la compagnia straniera.

Invece di difendere una specie di “comunitarianismo” romantico, gran parte della motivazione della marcia consisteva nel tentativo da parte dei capi della comunità di difendere il loro controllo sulle risorse naturali come mezzo di accesso alla ricchezza.

La stessa cos si può dire di molti gruppi che hanno richiesto che la legge venga capovolta?? E che il progetto della strada vada avanti. I contadini e i coltivatori di coca considerano la strada un’occasione per guadagnare l’accesso alla coltivazione della terra.

Queste differenze   rafforzano  le opinioni divergenti sul fatto che la nuova legge venga proposta dai gruppi di campesinos, ma che sia ostacolata da gruppi come il CIDOB  (Confederación Indigena del Oriente Boliviano)

Il CIDOB sostiene che grandi estensioni di terra debbano essere cedute alle comunità indigene come aree protette.  I gruppi di campesinos chiedono che altra terra venga distribuita alle famiglie contadine.

Queste differenze hanno portato a una spaccatura nel Patto di Unione che riuniva le cinque principali organizzazioni indigene e di campesinos mal grado  differenze di vecchia data.

Questa è forse la più importante divisione che si è verificata all’interno della base dei sostenitori del governo di Evo  Morales e non certo l’unica.

La marcia del TIPNIS è servita come pretesto per i partiti di opposizione che si basano sulle  classi medie nelle città per abbattere il sostegno governativo in questi settori.

Il 16 ottobre, i Boliviani hanno preso parte a una votazione storica per eleggere o giudici del Tribunale Costituzionale, del Tribunale Agro-ambientale e del Consiglio dei Magistrati.

I media finanziati dalle grosse imprese commerciali hanno usato le cifre degli exit poll per annunciare che la maggior parte degli elettori aveva annullato i voti quando lo avevano richiesto i partiti di opposizione. I risultati finali hanno mostrato che i voti validi e nulli erano entrambi il 42%.

L’opposizione ha tentato di trasformare questo  voto in un  referendum su Morales.

Malgrado i tentativi di descrivere il voto nullo come protesta “progressista” contro Morales, i risultati mostravano chiaramente che l’opposizione all’elezione dei giudici era più forte nei dipartimenti della parte orientale del paese e nei settori delle classi medie e alte nelle città, controllati dalla destra.

Nelle zone rurali e in quelle povere delle città, come El Alto, i voti validi sono stati la maggioranza schiacciante.

I voti nulli venivano dagli stessi settori della classe media che erano scesi nelle strade a La Paz per sostenere la marcia degli indigeni, e che sputavano epitaffi razzisti contro Morales e i sostenitori indigeni del governo quando hanno marciato nella capitale.

Nel frattempo, i conflitti territoriali tra i vari dipartimenti e i consigli locali che  lottano per le risorse e l’accesso ai finanziamenti dati dal governo centrale, continuavano a far venire il mal di testa al governo.

Morale ha convocato un summit nazionale in dicembre per riunire i movimenti sociali del paese per trovare tutti insieme un nuovo “programma nazionale”.

La probabilità comunque, di raggiungere il consenso per un piano di sviluppo nazionale tra organizzazioni sociali in concorrenza tra di loro e tutte con i loro interessi settoriali, che hanno visto che è possibile costringere il governo a ottenere delle cose per mezzo delle proteste,  sarà senza dubbio un compito difficile.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Fonte Green Left

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 – ZNETItaly– Licenza Creative Commons  CC  BY-NC-SA  3.0

 

 

 

 

 

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Bolivia: il movimento della solidarietà deve appoggiare il processo

23 mercoledì Nov 2011

Posted by Redazione in America, Bolivia, Ecologia, Federico Fuentes, Usa

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Tag

Adolfo Chavez, CIDOB, evo morales, imperialismo, Kevin Young, REDD, TIPNIS, USAID

di Federico Fuentes – 23 novembre 2011

La recente marcia in Bolivia di alcune organizzazioni indigene contro l’autostrada proposta dal governo attraverso il Parco Nazionale Protetto e Territorio Indigeno di Isiboro (TIPNIS) ha stimolato parecchio dibattito tra gli attivisti della solidarietà internazionale.

Tali dibattiti hanno avuto luogo a partire dall’elezione del primo presidente indigeno della Bolivia, Evo Morales, nel 2005 sull’onda delle rivolte di massa.

Nella stragrande maggioranza gli attivisti della solidarietà hanno appoggiato la marcia contro l’autostrada. Molti hanno sostenuto che soltanto i movimenti sociali – non i governi – possono garantire il successo del processo di cambiamento.

Tuttavia tale punto di vista è non solo semplicistico; può mettere gli attivisti della solidarietà dalla parte sbagliata.

L’articolo di Kevin Young del 1 ottobre su ZNet “Dilemmi della Bolivia: agitazioni, trasformazione e solidarietà” cerca di cavarsela su questo tema affermando che “la nostra prima priorità [da attivisti della solidarietà] deve consistere nell’impedire ai nostri governi, alle nostre multinazionali e alle nostre banche di cercare di controllare il destino della Bolivia.”

Tuttavia, come nel caso della maggior parte degli articoli scritti da attivisti della solidarietà, Young sottovaluta il ruolo dell’imperialismo degli Stati Uniti e sostiene che il governo è stato insincero nel collegare ad esso i manifestanti.

Altri si sono spinti più in là, negando qualsiasi collegamento tra i manifestanti e l’imperialismo USA.

La Confederazione dei Popoli Indigeni dell’Est della Bolivia (CIDOB), la principale organizzazione dietro la marcia, non ha scrupoli simili.  Si è vantata sul proprio sito di star ricevendo programmi di addestramento dall’agenzia USAID del governo USA.

Sul sito il presidente del CIDOB, Adolfo Chavez, ringrazia per le “informazioni e l’addestramento acquisiti attraverso diversi programmi finanziati da collaboratori esterni, in questo caso l’USAID”.

Ignorare o negare la chiara prova del finanziamento USA a tali organizzazioni è problematico.

Attaccare il governo boliviano per aver denunciato questo, come alcuni hanno fatto, disarma gli attivisti della solidarietà nella loro lotta contro l’intervento imperialista.

Ma il fallimento più grande del movimento della solidarietà è stato il suo silenzio sulla responsabilità degli Stati Uniti e delle imprese nel conflitto.

La disputa riguardo al TIPNIS non è stata una specie di battaglia romantica alla Avatar tra difensori indigeni della Madre Terra e un governo affamato di soldi intento a distruggere l’ambiente.

Alla base del conflitto c’è la difficile questione di come la Bolivia possa superare secoli di colonialismo e sottosviluppo per fornire al suo popolo accesso a servizi fondamentali cercando nel contempo di rispettare l’ambiente.  I principali responsabili non sono i boliviani; sono i governi imperialisti e le loro imprese.

Dobbiamo chiedere che siano loro a pagare il loro debito ecologico e a trasferire la tecnologia necessaria a uno sviluppo sostenibile a paesi come la Bolivia (richieste che nessun attivista della solidarietà ha sollevato).  Fino a che ciò non si verifichi, gli attivisti delle nazioni ricche non avranno diritto di dire ai boliviani cosa possono e non possono fare per soddisfare i bisogni fondamentali del proprio popolo.

Altrimenti, dire al popolo boliviano che non diritto a un’autostrada o a estrarre gas per finanziare programmi sociali (come hanno chiesto alcune ONG) significa dire ai boliviani che non hanno diritto di sviluppare la loro economia o di combattere la povertà.

L’imperialismo mira a tenere le nazioni del Terzo Mondo subordinate agli interessi delle nazioni ricche.  E’ questa una delle ragioni per cui le ONG straniere e lo USAID stanno cercando di minare il ruolo guida internazionale del governo Morales nell’opporsi a grossolane politiche anti-ambientaliste, quali il programma di Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado (REDD).

Il REDD utilizza le nazioni povere per compensare le emissioni inquinanti in modo che le società dei paesi ricchi possano continuare a inquinare.  Appoggiare il REDD è stata una delle richieste della marcia di protesta.

Young afferma che “la nostra solidarietà dovrebbe andare ai movimenti rivoluzionari di base, anti-imperialisti e difensori dei diritti umani, non ai governi o ai partiti.”

Ma, come dimostra il caso del TIPNIS, quando i governi cercano di riuscire a sollevare il proprio paese dal sottosviluppo, le richieste dei movimenti sociali con interessi settoriali contrastanti possono determinare uno scontro.

In effetti alcuni dei sostenitori più striduli dell’autostrada sono stati anche quegli stessi movimenti sociali che gli attivisti della solidarietà hanno appoggiato nella loro lotto contro i governi neoliberali durante lo scorso decennio.

In scenari simili si può soltanto scegliere tra appoggiare le domande di certi movimenti sociali scartando quelle legittime di altri, come molti hanno fatto nel caso TIPNIS.

Un cambiamento duraturo può essere realizzato soltanto quando i movimenti sociali cominciano a prendere il potere nelle proprie mani, quando i movimenti sociali diventano governi.

E’ questo l’obiettivo che i movimenti sociali boliviani si sono posto.  Essi hanno forgiato il proprio strumento politico mediante una lotta comunemente nota come Movimento Verso il Socialismo e hanno ottenuto un governo che considerano proprio.

Essendo passati da una posizione di “lotta dal basso” al rilevare il governo dalle élite tradizionali come strumento per conseguire il loro obiettivo di potere statale,  questi movimenti sociali hanno cominciato a conquistare il controllo sulla risorse naturali e hanno attuato una nuova costituzione.

Convertire gli ideali costituzionali in un nuovo potere statale resta un compito della rivoluzione boliviana.

Ma il suo successo dipende dalla capacità dei “rivoluzionari della base, anti-imperialisti e difensori dei diritti umani” di operare all’interno dello stato esistente per combattere in modo unito.

La nostra solidarietà deve essere basata sulla lotta rivoluzionaria esistente in Bolivia, non sua una rivoluzione romanticizzata che a noi piacerebbe di più.

Uno stato permanente di protesta può essere attraente per gli attivisti della solidarietà, ma alla fine può solo tradursi in un permanente stato di demoralizzazione a meno che i movimenti sociali non siano in grado di andare oltre l’opposizione ai governi capitalisti e di creare il proprio potere statale.

Rifiutarsi di appoggiare le lotte così come esistono è un esempio di mancanza di fiducia che le masse boliviane siano in grado di decidere del proprio destino.  Dimostra anche arroganza da parte di quelli che, avendo fallito nel trattenere i governi capitalisti a casa loro, ritengono di saperla più lunga dei boliviani su come essi debbano sviluppare il loro processo di cambiamento.

In ogni lotta si commettono errori.  Ma tali errori non dovrebbero essere utilizzati per cercare spingere una parte contro l’altra.  Dovremmo avere fiducia che questi conflitti interni possano essere risolti dagli stessi movimenti sociali.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/bolivia-solidarity-activists-need-to-support-process-by-federico-fuentes

Fonte:  Green Left

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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