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Il patto di collaborazione strategica tra Stati Uniti e Afghanistan è ‘parte di un programma globale di militarizzazione del mondo’?

20 martedì Dic 2011

Posted by Redazione in Afghanistan, Noam Chomsky, Usa

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Tag

Afghanistan, militarizzazione, Stati Uniti

 

Il patto di collaborazione   strategica tra Stati Uniti e Afghanistan è “parte di un programma globale di militarizzazione del mondo”.

 

Di Noam Chomsky e

dei Giovani Volontari Afgani per la pace

19 dicembre 2011

[Nota del redattore: questa è la trascrizione tra i membri dei Giovani Volontari Afgani per la pace e Noam Chomsky, che si è tenuta il 21 settembre 2011. Ogni domanda è stata fatta in lingua Dari ed è stata tradotta da Hakim.]

 

Hakim: Parliamo dall’altopiano di Bamyan, nell’Afghanistan Centrale e volevamo iniziare ringraziandola sinceramente per la guida e la saggezza che lei ha dato alle persone con i suoi insegnamenti e i suoi discorsi in molti luoghi della terra. Cominciamo con un a domanda di Faiz.

FaizI: in un articolo di Ahmed Rashid pubblicato di recente sul New York Times, l’autore diceva che “dopo 10 anni, dovrebbe essere chiaro che la guerra in questa zona non può essere vinta soltanto con la forza militare…..I Pakistani hanno un bisogno disperato di discorsi nuovi….ma dove è la dirigenza che racconti questa storia nel modo giusto? I militari se la cavano con il loro modo di pensare antiquato perché nessuno offre un’alternativa, e senza un’alternativa nulla progredirà per molto tempo ancora.” Lei pensa che attualmente nel mondo ci siano dei dirigenti in grado di proporre una soluzione alternativa  non militare per l’Afghanistan e se non ci sono da dove o da chi dovrebbe arrivare questa guida per una soluzione di questo tipo?

Noam Chomsky: Penso che sia capito bene dai capi  militari e anche dai dirigenti politici degli Stati Uniti e dei loro alleati che non possono raggiungere una soluzione militare del tipo che vogliono. Questo vuol dire mettere da parte il problema: quello scopo è stato mai giustificato? Adesso mettiamolo da parte. Sanno perfettamente che non possono raggiungere una soluzione militare in base ai loro termini.

C’è una forza politica alternativa che potrebbe operare verso un tipo di accordo politico? Sapete, che in realtà la forza più importante che potrebbe servire a realizzare quello scopo, è l’opinione pubblica. La gente è già fortemente contraria alla guerra lo è stata da molto tempo, ma questo atteggiamento non si è tradotto in un movimento popolare attivo, impegnato, convinto che cerchi di cambiare politica. E questa è la cosa  che deve essere fatto in questo paese.

La mia sensazione personale è che la conseguenza più importante degli sforzi di pace molto significativi che sono in corso in Afghanistan potrebbero certo stimolare i movimenti in occidente tramite contatti    soltanto tra persona e persona: questo contribuirebbe a imporre una pressione sugli Stati Uniti e in particolare sulla Gran Bretagna per porre fine alla fase militare di questo conflitto e a andare verso quello che dovrebbe essere fatto: un accordo  pacifico e uno sviluppo economico onesto e realistico.

Abdulai: Il dottor Ramazon Bashardost ha detto una volta ai Giovani Volontari Afgani per la pace che il popolo afgano non ha scelta perché tutte le opzioni disponibili in Afghanistan non sono buone. Gli Afgani, quindi, non hanno scelta tranne quella di scegliere la meno brutta delle opzioni brutte. In questa situazione, degli Afgani, e in particolare molti che vivono a Kabul, ritengono che l’opzione meno brutta sia quella che le forze statunitensi della coalizione restino in Afghanistan. Lei pensa che la presenza costante  delle forse statunitensi nel nostro paese sia l’opzione meno cattiva? Altrimenti, quali sono le possibili opzioni buone per gli Afgani comuni?

 

Noam Chomsky: Sono d’accordo che non sembra esserci alcuna opzione valida e che quindi purtroppo dobbiamo tentare di cercare le opzioni la meno cattiva  delle opzioni cattive. Questo giudizio lo devono dare gli Afgani. Voi siete sulla scena degli avvenimenti. Voi siete le persone che vivranno con le conseguenze della scelta. Voi siete le persone che hanno il diritto e la responsabilità di fare queste scelte delicate e  spiacevoli. Io ho la mia opinione che però non ha nessun peso. Quello che importa sono le vostre opinioni.

La mia opinione è che fino a quando le forze armate saranno lì, esse aumenteranno probabilmente le tensioni e mineranno le possibilità di un patto a più lungo termine. Penso che questo sia  stata la situazione   degli ultimi 10 anni e questo è anche la situazione in altri posti, in  Iraq per esempio. La mia sensazione, quindi è che un ritiro in fasi successive  del tipo che di fatto è contemplato,  potrebbe certo essere la meno cattiva delle opzioni cattive, ma se viene  unita ad altri sforzi. Non basta soltanto ritirare le truppe. Ci devono essere delle alternative da stabilire. Una di queste, per esempio, che è stata ripetutamente raccomandata,  è la cooperazione  tra potenze  nella zona che comprenderebbero, naturalmente, il Pakistan, l’Iran, l’India, la nazioni al nord  e tutte queste  insieme con i rappresentanti afgani, potrebbero essere in grado di  elaborare  un programma di sviluppo che dovrebbe essere significativo,  e di collaborare per realizzarlo, spostando l’obiettivo delle attività dall’uccidere al ricostruire e al costruire. Il nocciolo dei problemi, però, deve essere trattato in Afghanistan.

 

Mohamed Hussein: Hanno annunciato che le forze straniere dovrebbero lasciare l’Afghanistan entro il 2014 e trasferire la responsabilità della sicurezza agli Afgani. Tuttavia, quella che abbiamo di fronte appare come una situazione molto disonesta e corrotta del governo statunitense che firma un patto di collaborazione strategica con il governo afgano per installare basi militari permanenti congiunte in Afghanistan oltre il 2014.  Sembra quindi ai Giovani Volontari Afgani per la pace, che il ritiro del 2014 sia quindi  illogico alla luce dei piani a più lunga scadenza che prevedono  di tenere i militari in Afghanistan. Potrebbe fare un commento su questi fatti?

Noam Chomsky: Sono molto sicuro che queste aspettative sono corrette. Ci sono pochi dubbi che il governo statunitense intenda mantenere un controllo militare effettivo sull’Afghanistan con diversi mezzi: sia come se fosse uno stato cliente con basi militari e di appoggio per quelle che chiameranno truppe afgane. Anche altrove c’è questo modello. Per esempio, dopo aver bombardato la Serbia nel 1999, gli Stati Uniti mantengono un’enorme base militare in Kosovo, e questa era lo scopo dei bombardamenti. In Iraq stanno ancora costruendo basi militari anche se si sta facendo molta retorica sul ritiro da quel paese. E presumo che faranno la stessa cosa anche  in Afghanistan, il che è considerata dagli Stati Uniti un’iniziativa di importanza strategica a lungo termine, all’interno dei piani di mantenimento del controllo soprattutto delle risorse energetiche e altre risorse di  quella zona, compresa l’Asia occidentale e centrale. Questo è uno dei piani  in corso che di fatto risalgono alla Seconda guerra mondiale.

Proprio adesso, gli Stati Uniti sono impegnati militarmente in modi diversi in quasi cento nazioni, con basi, operazioni di forze speciali, appoggio per le forze nazionali militari e di sicurezza. Questo è un programma globale di militarizzazione del mondo che fondamentalmente che va fatto risalire al quartier generale a Washington, e l’Afghanistan ne fa parte. Toccherà agli Afgani vedere se, prima di tutto, lo vogliono; secondo, se possono operare in modi che lo escludano. E’ quasi la stessa cosa che accade ora in Iraq. Ancora agli inizi del 2008, gli Stati Uniti insistevano ufficialmente che mantenevano basi militari e che erano in grado di eseguire operazioni di combattimento in Iraq e che il governo iracheno doveva privilegiare gli  statunitensi che investivano in petrolio e sistemi energetici. Bene, la resistenza irachena ha costretto gli Stati Uniti a recedere abbastanza da questo piano, di fatto in maniera considerevole. Gli sforzi, però continueranno ancora. Questi sono conflitti in corso basati su principi di vecchia data. Qualsiasi successo reale che vada verso la demilitarizzazione e la ricostruzione di relazioni, richiederà soprattutto l’impegno degli Afgani, ma anche lo sforzo congiunto di gruppi popolari delle potenze occidentali perché facciano pressione sui loro governi.

Faiz: Dopo tre decenni di guerra, e dato che siamo alla fine     dell’interferenza militare regionale e globale in Afghanistan, la gente si sente perduta e senza speranza. La gente sta perdendo anche la speranza e non hanno fiducia che le Nazioni Unite, che , in base al loro statuto, devono allontanare il flagello della guerra da tutte le generazioni,  siano in grado di offrire una soluzione alternativa. Abbiamo parlato con associazioni di pacifisti sulla possibilità che un gruppo individui di alta qualità che potrebbe comprendere anche dei Premi Nobel,   potrebbe pronunciarsi e fare una dichiarazione sulla spaventosa situazione umanitaria in Afghanistan e forse aprire un dibattito nel mondo sulle alternative da offrire ai cittadini afgani che stanno perdendo ogni speranza.  Lei pensa che ci sia una qualche possibilità che le Nazioni Unite intervengano per  offrire delle  idee diverse in questa situazione disperata? E c’è una possibilità  di un  gruppo indipendente di esperti costruttori  di pace che possano offrirci una via di uscita?

Noam Chomsky: Dobbiamo tenere presente che le Nazioni Unite non possono agire in modo indipendente. Possono agire soltanto nella misura in cui glielo permettono le grandi potenze, cioè in primo luogo gli Stati Uniti e anche la Gran Bretagna e la Francia, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza che pongono dei limiti a quello che possono fare le Nazioni Unite. Possono agire nell’ambito delle limitazioni che essi impongono loro; gli Stati Uniti hanno l’influenza maggiore.

Per darvi soltanto un’indicazione di questo, date un’occhiata al registri dei veti al Consiglio di Sicurezza. Nei primi tempi delle Nazioni Unite, che cominciato a operare alla fine degli anni ’40, il potere degli Stati Uniti era così ha schiacciante nel mondo, che l’ONU erano fondamentalmente uno strumento degli Stati Uniti. Quando le altre nazioni industriali si sono riprese dalla guerra ed è iniziata la colonizzazione, l’ONU in un certo modo ha rappresentato di più i popoli del mondo. E’ diventato meno controllato dagli Stati Uniti che hanno cominciato a porre il veto alle risoluzioni.  Gli Stati Uniti hanno posto il loro primo veto è nel 1965, e da allora, gli Stati Uniti sono di gran lunga al primo posto nel porre il veto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, il che blocca l’azione. Al momento il secondo paese è la Gran Bretagna e gli altri sono più lontani.  E questo andazzo continua ancora adesso. Probabilmente ci sarà un altro veto statunitense la settimana prossima. Questo è quello che avviene in generale. Se gli Stati Uniti rifiutano di permettere che si faccia una certa azione, l’ONU non può farci nulla. Altre grandi potenze hanno una certa influenza, ma minore. Il vero problema  quindi è: gli Stati Uniti e la Gran Bretagna saranno d’accordo a permettere azioni del tipo che sono delineate in questa domanda? E penso che  possa accadere,  a ancora una volta, torniamo a dove eravamo prima.

Abdulai: A nome dei giovani afgani di Bamyan e anche di quelli che ci ascoltano da Kabul la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato.

Le auguriamo ogni bene e ottima salute.

Noam Chomsky: Vi ringrazio moltissimo per avermi dato l’opportunità di parlarvi brevemente. E’ un grande privilegio, e ammiro tanto il meraviglioso lavoro che state facendo.

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.znetitaly.org

http://www.zcommunications.org/the-u-s-afghanistan-strategic-partnership-agreement-is-part-of-a-global-program-of-world-militarization-by-noam-chomsky

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNETItaly– Licenza Creative Commons  CC BY-NC-SA  3.0

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Intervista a Chomsky 5: relazioni internazionali (parte 2)

10 sabato Dic 2011

Posted by Redazione in Mondo, Noam Chomsky

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Intervista a Chomsky 5: Relazioni internazionali (parte 2)

 

Di Noam Chomsky e

Michael Albert

6 dicembre 2011

 

Quali sono gli errori che pensi abbia fatto il movimento pacifista negli anni e le cose  che forse avremmo dovuto fare in modo diverso?

 

Penso che siano molte cose che si sarebbero potute fare meglio.  Da una parte dobbiamo fare una distinzione tra due tipi di tattica: la si può chiamare tattica del sentirsi bene, è quella che mi fa sentire bene con me stesso, e tattica del fare del bene, quella che ti fa fare qualche cosa per qualcun altro. Ebbene, il movimento pacifista si è sciolto in grande misura a causa tattiche  del sentirsi bene che erano dannose. Infatti i Vietnamiti si sono resi conto di questo. Ho parlato con loro. A essi piacevano le dimostrazioni tranquille, non violente, per esempio un gruppo di donne che stavano tranquillamente in piedi da qualche parte. Quello che non gradivano erano le azioni che si facevano. L’organizzazione Weathermen, per esempio.  (http://it.wikipedia.org/wiki/Weather_Underground). Queste sono tattiche che sono comprensibili dal punto di vista del popolo. Erano frustrati, erano amareggiati, nulla funzionava, e allora pensavano:  OK, usciamo e andiamo a sfasciare delle vetrine. Oppure usciamo e andiamo ad azzuffarci  in un bar delle Terza Avenue per far vedere alla gente che siamo persone autentiche, ecc.

Ebbene, questi sono proprio dei regali per gli ultra-falchi. Hanno aiutato a costruire il sostegno per la guerra, ed era ovvio che avrebbero avuto quell’effetto, specialmente perché si è più o meno suddiviso in vari gruppi, come è successo dopo il ’68.  Molto è quindi stato auto-distruttivo.

L’altro grande errore è stato fermarsi. Cioè, nel 1975, alla  fine della guerra (del Vietnam), circa il 70% della popolazione condannava la guerra come fondamentalmente sbagliata e immorale, non come un errore. Queste sono il  genere di cifre incredibili, perché ha mai detto una cosa del genere. Sai da dove  hanno preso questa cifra? Che cosa volevano dire? Chi lo sa? Nessuno ha controllato. E questo significava che c’era un enorme serbatoio di possibile sostegno per l’attività pacifista. Si è dissolto,è finito.  Tutti se ne sono andati. Si sono cominciati  a condannare gli Khmer Rossi o a fare qualche altra cosa. Poi arrivano i massacri in America Centrale e avanti così.

Ci sono altre cose riguardo alle quali quasi nessuno è d’accordo con me. Ho molti  amici di sinistra: molti di loro non capiscono neanche il mio punto di vista, che risale al 1970 circa, che gli Stati Uniti hanno vinto la guerra. Il mondo degli affari lo ha riconosciuto e questa loro opinione  si può leggere nella Rivista Economica dell’Estremo Oriente. La sinistra, invece è devota alla dottrina secondo la quale abbiamo vinto. Sai, abbiamo smesso di fare la guerra, i Vietnamiti hanno vinto, il popolo si è unito e tutto il resto. Non è quello che è accaduto. Abbiamo una ricca documentazione di che è molto  istruttiva.  Dovremmo pensarci. Essere onesti dal punto di vista intellettuale su questo. Gli Stati Uniti non sono entrati in guerra per conquistare il Vietnam, e in effetti non gli importava se il Vietnam  scompariva dal pianeta. Sono invece entrati in guerra per delle buone  ragioni.

 

Pensi che la gente del movimento lo capirebbe?

 

Sai, è stato più o meno sempre molto chiaro. Abbiamo una ricca documentazione  fino dall’epoca dei documenti del Pentagono.(http://it.wikipewdia.org/wiki/Pentagonon_Papers.

Sono entrati in guerra per le solite ragioni. Il principio della Mafia che è il principio dominante nel mondo degli affari. Il Padrino non accetta la disobbedienza. E’ pericoloso. Se una nazione la fa franca dopo aver disobbedito,  anche in maniera non grave, la disobbedienza  per quanto piccola possa essere, sarà imitata da altri che disobbediranno  e molto presto l’intero sistema verrà eroso. Questo è uno dei principi dominanti nelle faccende mondiali.  E il Vietnam è stato un esempio di questo. Avevano paura che il nazionalismo vietnamita sarebbe stato vittorioso, che la loro economia si sarebbe sviluppata sarebbe stato, insomma, per usare le parole di Kissinger, un virus che avrebbe diffuso il contagio.  Si sarebbe diffuso in Thailandia, in Malesia, sarebbe arrivato in Indonesia e allora sarebbe stato un guaio. L’Indonesia ha delle risorse reali. Molto presto sarebbe arrivato forse anche in Giappone che lo storico dell’Asia John Dower chiamava il super domino. Il Giappone si sarebbe adattato – hanno usato questa parola – a un’Asia orientale e sud orientale indipendente, ne sarebbe diventato il centro tecnologico e militare e questo avrebbe significato che gli Stati Uniti avrebbero perso la fase del Pacifico della seconda guerra mondiale.

Nel 1950 non erano pronti a perdere la seconda guerra mondiale. C’è quindi un virus che  sparge il contagio e c’è la cura: distruggere il virus e     vaccinare le vittime potenziali. E’ stato fatto. Il Vietnam del sud era abbastanza distrutto anche nel 1965. E il resto dell’Indocina non molto tempo dopo. Non ci sarebbe mai stato un modello di sviluppo indipendente. I paesi circostanti sono stati vaccinati da dittature brutali. La più importante è stata l’Indonesia che era davvero ricca. Nel 1965  è avvenuto il colpo di stato di Suharto, salutato con totale euforia negli Stati Uniti, durante il quale forse un milione di persone sono state uccise, è stata distrutta l’unica organizzazione popolare di massa ha aperto il paese all’Occidente. Non più risoluzioni. Non più contagio.

Infatti Mr Bundy, che non è del tutto stupido- era consigliere nazionale della sicurezza per Kennedy e Johnson – ha detto: “Avremmo dovuto finire la guerra prima del 1965. Aveva ragione. Il Vietnam era già fondamentalmente distrutto, quindi non c’era più il virus. L’Indonesia, il primo premioo, era stata vaccinata. Hanno una dittatura militare brutale.  Il nostro tipo di uomo, lo chiamava Clinton. E quindi il Giappone è salvo, sarà dalla nostra parte, che motivo c’è allora di distruggere il resto? E’ una perdita di tempo.

Penso che il movimento pacifista dovrebbe capirlo perché è un modello che si segue ripetutamente. E’un principio dominante nelle faccende internazionali che viene talvolta deriso, come anche la teoria del domino: chi ci crede? ah, ah, che ridere!

Infatti è parte del motivo del terribile antagonismo verso l’Iran. Perché l’Iran? Cioè, è un governo terribile, ma ci sono tanti governi terribili: l’Arabia Saudita, per esempio, è molto peggiore. Ebbene, sono stati disobbedienti. Non gli permetteremo di farla franca. Infatti si dice: sì, sì, hanno preso gli ostaggi, come possiamo permettere che la facciano franca?  Disobbedienza. Cuba è un esempio straordinario. Per decenni la maggioranza della popolazione è stata favorevole a normalizzare le relazioni con Cuba. Va bene, non tenere conto della popolazione è normale. Il mondo degli affari è a suo favore e lo è stato da molto tempo. Grossi settori, energia,  affari in campo agricolo, prodotti farmaceutici, settori veramente potenti. Ma non possiamo farlo. Dobbiamo punirli. “Perché sono stati disobbedienti e non devono farla franca”.

 

Quando ti trovi a che fare con l’enorme entità dell’orrore che,  come rivela la discussione, ti capita con una incredibile regolarità, dell’orrore, come lo superi e come torni subito al lavoro?

In effetti, ricominciare a lavorare è una delle cure in questi casi. Se non c’è nulla che si pensa di poter fare, allora si può soltanto crollare. Si può forse decidere di rinunciare o semplicemente deprimersi profondamente. Se però si continua a lavorare, ci si curerà.

 

 

C’è un vantaggio, in quel caso. Non voglio dire soltanto il tempo, l’accesso e le risorse, intendo dire che sei in una posizione di sentirti  come quando scrivi, quando parli, anche se non ti fa un enorme effetto e non trasforma tutto immediatamente, è perfettamente plausibile, infatti dovresti essere un po’ folle  pensare che non avrebbe un effetto. Ci sono un sacco di altre persone che penserebbero che quello che faremo avrà un impatto nullo. E si sentono schiacciati.

 

Cioè, la verità è che, realisticamente, so che ha pochissimo impatto, ma è per me. Mi dà qualche cosa da fare, sento che sto facendo la cosa giusta. Se arriva a delle persone, OK.  E la stessa cosa si può dire di chiunque organizzi delle iniziative. Si organizza la gente nella comunità, per avere un semaforo in una strada che i bambini devono attraversare,  per esempio; questa azione ottiene un effetto. Dà alle persone il senso di avere ripreso il controllo del proprio agire  e così possono poi passare ad altre iniziative.

 

C’è una differenza tra una persona che lavora in una mensa per i poveri e può vedere subito il risultato; non cambia tutto il mondo, ma ha un effetto potente sulla vita umana di altre persone, spesso un effetto maggiore di quello che ottengono le persone di sinistra. E’ in fatti una domanda ragionevole. Perché qualcuno che vive negli Stati Uniti non dovrebbe dare tempo il proprio tempo e le proprie energie per lavorare nelle  mense per i poveri, per aiutare i poveri, per fare qualche cosa di quel tipo, invece che per tentare di creare un movimento che cambierà l’intero sistema.

 

Prendiamo il caso di una mensa per i poveri contrapposto a organizzare la comunità perché ottenga un semaforo.

 

Oppure per organizzare un movimento pacifista, qualche cosa su scala più vasta.  

Prendiamo un piccolo esempio, quello d organizzare la comunità per avere un semaforo. Ha solo un vantaggio: i bambini possono attraversare la strada. Però responsabilizza le persone, li può portare a capire: sì, sono in grado fare qualche cosa. Non è inutile. Posso continuare. Lavorare in  una mensa per poveri è meraviglioso, ma non ha  lo stesso effetto.

 

Sono d’accordo.  Si può  capire, però come la scelta tra l’assistenza sociale, il lavoro e l’azione pacifista, e l’azione contro il capitalismo, diventi una scelta difficile per la gente. Credo che la sinistra sia molto sprezzante e troppo svelta a escludere le persone che fanno una scelta diversa dalla loro.

Sì, è vero, Cioè, io certamente non disdegno le persone che lavorano nelle mense per i poveri. Per esempio, una delle mie figlie lavora per la Oxfam.  ( http://it.wikipedia.org/wiki/Oxfam). E’ quello che è.  A proposito, i progetti della Oxfam ai quali lavora, sono un’attività come quella di far avere i semafori. Cioè, l’idea dei progetti  non è soltanto quella di dire: bene, entrerò a collaborare per costruire un pozzo e lo avrete. Vuol dire cercare di fare in modo che le comunità comincino a fare qualche cosa per la propria vita. E’ difficile, ma l’obiettivo è quello.

 

Nel corso degli anni sei stato soggetto a un controllo  intenso e malevolo. La gente ti ha attaccato  in ogni campo. Ti attribuiscono opinioni che non hai, o  rigirano  opinioni che tu hai  in modo che non abbiano assolutamente nulla a che vedere con il tuo modo di considerare un problema. Esaminiamo i casi una alla volta. So che ti trovi sempre in queste situazioni.

 

E’ vero. La gente fa delle domande giuste. Dicono: sai, ho letto questo e questo su di te, cosa mi dici? E allora  dico: bene, lo esaminerò. E infatti gli attacchi sono interessanti da molti punti di vista. Da una parte, le critiche a volte sono giuste. Va bene, così imparo qualche cosa. Devo dire che questo è un caso estremamente raro. Ma ci sono dei casi in cui certamente ho detto delle cose nel modo sbagliato o forse ho fatto un errore. Benissimo, così imparo qualche cosa. E lo correggo. Poi però bisogna chiedersi: mi fanno saltare il cervello da un battaglione scelto addestrato a Fort Bragg? Ecco che cosa succede nei  domini degli stati Uniti. A me succede? No.

 

Certo. Non è esattamente  la cosa peggiore che possa succedere. Non mi preoccupo però molto di te, ma non parlo di adesso, parlo delle persone che ti leggono  e sono distolte dal mettere in relazione una tua opinione con  altre a causa di questa.  Sei stato calunniato a proposito della Cambogia, Pol Pot, ecc. Quali erano le tue vere opinioni? Ovviamente non puoi esaminare centinaia di pagine, ma le tue opinioni reali  riguardo alla   Cambogia e a Pol Pot, e perché pensi che abbiano suscitato gli attacchi contro di te?

 

Prima di tutto, mi ha interessato molto questo problema. Cioè, non ho scritto nulla in quei giorni, scrivevo con Ed Herman. Si è scritto tantissimo per dimostrare che c’era qualche cosa di sbagliato in questo. E’ stato il caso, in senso letterale che nessuno ha trovato una virgola fuori posto.

 

Parli delle cose che hai scritto riguardo a….

Sì, penso che siano le cose migliori che abbia mai scritto. Infatti in ogni cosa che si scrive ci devono essere degli errori. Per esempio, leggete i giornali professionali. L’ultimo paragrafo di ogni rassegna di una monografia  accademica elenca gli errori che ci sono sempre.  Nel nostro caso, letteralmente nulla. E il motivo era stato spiegato molto presto. Ciò che scrivevamo sulla Cambogia veniva controllato da alcuni dei principali specialisti di quel campo. E hanno esaminato tutto, hanno corretto delle cose, ne hanno cambiato delle altre. Prima di tutto, quindi, è molto improbabile che ci fossero  degli errori.  Secondo, non abbiamo sostenuto nulla, quasi nulla. Non abbiamo preso alcuna posizione a riguardo. Abbiamo soltanto detto: guardate, questi sono i dati che abbiamo a disposizione, ecco quelli che emergono dal sistema della dottrina, paragoniamoli. E non sappiamo che cosa è successo. Di fatto abbiamo detto: forse i risultati più esagerati si riveleranno esatti. Non era quella  la nostra domanda. La nostra era: paragoniamo quello avevamo a disposizione con quello che è emerso.

L’unico modo in cui ci si può fare un errore in quel caso, è un errore di logica. OK, non abbiamo commesso errori elementari di logica. E non c’erano errorieffettivi. Abbiamo preso soltanto i dati che c’erano a disposizione. E questo è stato notato subito. Uno dei più importanti storici della Cambogia, David Chandler, ha scritto immediatamente. Guardate:” questo è destinato  a rimanere, non importa che cosa si potrà scoprire. Infatti quello che sostenete è così limitato, che qualsiasi cosa verrà scoperta in seguito, non avrà effetto su quello che dite”. Cioè, nella misura limitata in cui non abbiamo preso alcuna posizione, abbiamo ripetuto in sostanza quello che i servizi segreti statunitensi dicevano, e tutti erano d’accordo che fossero la fonte più informata. E quindi, certo ci sono possibilità che ci siano mai stati degli errori e che non ce ne sono stati.

Ricordate, ci sono due volumi che la South End Press ha pubblicato: Political Economy of Human rights . Questi due volumi trattavano quasi interamente di che cosa significava proprio questa domanda: come i dati che entrano si collegano all’interpretazione che emerge? OK. Quasi tutti e due i volumi trattano dei crimini degli Stati Uniti. Come si collegano i dati che abbiamo su tali fatti con quello che viene fuori, che si rivela apologetico e negazionista. Nessuno ha mai parlato di questo.

Noi abbiamo considerato un po’ di entrambi gli aspetti. . E abbiamo fatto due esempi fondamentali. C’era un capitolo dedicato alla Cambogia che abbiamo trattato in modo minuzioso. C’era un capitolo dedicato a  Timor Est e anche questo lo abbiamo trattato dettagliatamente. E’ un paragone molto valido. Due atrocità importanti. Stesso periodo, stessa area, entrambi di enorme gravità. Una è avvenuta durante un’invasione, il che è molto peggiore, cioè Timor Est. La principale differenza tra queste due azioni era che in un caso la responsabilità è stata nostra e avremmo potuto fermarla subito. Non penso che si sia mai detta una parola sul capitolo che riguarda Timor Est, che era quello largamente più importante. Prima di tutto, era un nostro crimine, un crimine immenso che avremmo potuto fermare. Per questo c’è stato silenzio. Soltanto qualche parola di scusa e di smentita, va bene, ma non considero i tipi stalinisti. Per lo più si tratta di voler eludere il problema.

Riguardo alla Cambogia, ci sono stati intensi sforzi per tentare di dimostrare che c’era qualche cosa di sbagliato. Bene, questo spiega qualche cosa ed è una dimostrazione di quello di cui abbiamo parlato prima. La reale pratica degli intellettuali ti dà un criterio  ottimo riguardo a che cosa andrebbe fatto da una persona con delle convinzioni morali elementari, cioè il contrario di quello che viene sempre fatto. E in questo caso abbiamo  un esempio davvero sensazionale. E si continua così anche adesso. Infatti, proprio di recente, mi  è capitato di rispondere a un  paio di queste domande, e nel farlo ho fatto notare queste cose e ho anche fatto notare che se dite che vi preoccupate per i Cambogiani, va bene; sono contento.. Che ne dite di preoccuparvi anche delle rivelazioni che sono state appena fatte, delle quali abbiamo parlato prima, riguardo all’incredibile portata dell’attacco statunitense che in effetti ha creato i Khmer Rossi  peri  quali dici di essere angosciato? Perché non mi dici qualche cosa a questo riguardo?

Le reazioni sono state interessanti. Neanche una parola sull’argomento. Come se non avessi parlato. Quello che viene fuori è: come mai urli per i Khmer Rossi, non li condanni, come mai sei un difensore di quel genocidio? Ecco,  questo è il motivo, è ragionevole, è come quando si viene sorpresi a mettere le mani in tasca a qualcuno, si cambia discorso. E questa è la reazione. Se però qualcuno vuole fare delle critiche, sarei contento di ascoltarle, ma devo ancora sentirne.  Penso che le ragioni di eventi tali siano trasparenti. E non ci sono soltanto questi due casi.

In realtà Ed e io insieme e anche separatamente, abbiamo esaminato molti di questi esempi. Migliaia di pagine di documentazione, ormai. Anche nel replicare alle critiche, come abbiamo fatto nel libro Manufacturing Consent

(In italiano: La fabbrica del consenso: L’economia politica dei mass media, Il saggiatore, 2008, n.d..T), il libro che abbiamo scritto insieme dieci anni dopo il problema della Cambogia; lo abbiamo  riveduto  e abbiamo riesaminato  ciòche è accaduto realmente, ciò che si sapeva all’epoca dei fatti, quello che è stato scoperto da allora.  Abbiamo risposto alle critiche, alla natura della critiche. Effetto: zero. Nessuno forse lo ha mai  neanche guardato. Sia le gente che  è proprio dentro  il sistema dottrinale o il tipo di persone perbene delle quali parli tu, quelle che vogliono comprendere. Non hanno letto le nostre repliche, penso che non sappiano neanche che esista quel libro. Cioè, l’unica cosa che tutti sanno di quel libro è che in esso si parla della teoria della cospirazione nella stampa, o qualche cosa del genere.

 

OK, hai già parlato dei Kennedy…. e per questo sei stato regolarmente stroncato, dato che negli che sia stato ucciso da xy e z.  Hai parlato dell’11 settembre, quando  ti chiederò niente di questo. Sei stato stroncato a proposito del Medio Oriente, sei stato chiamato antisemita, un ebreo che odia se stesso. 

 

Beh,  interessante.

Quali sono le tue reali opinioni  e perché pensi che esse abbiano causato gli attacchi che ricevi e quale è la tua impressione a riguardo?

 

Gli attacchi che mi fanno sono molto interessanti e hanno una lunga storia. In effetti risalgono alla Bibbia. L’espressione “ebreo che odia se stesso” viene dalla Bibbia, dal libro dei Re. Sai che la personificazione del male nella Bibbia era il Re Ahab. Sai, mi ricordo quella storia da quando frequentavi la scuola ebraica. Il re Ahab era il re cattivo, il re terribile, ecc. A un certo punto egli ha chiamato il profeta Elia  e gli ha chiesto: perché odi Israele?

Che cosa voleva dire? Voleva dire che Elia condannava le azioni del re cattivo e il re, come qualsiasi totalitarista, si identificava con la cultura, la società, tutto; quindi se Elia condannava i suoi crimini, Elia doveva essere una persona che odiava Israele. Questa è l’origine dell’espressione ebreo che odia se stesso. Ed è passata alla storia.

Infatti, nel periodo moderno è molto esplicita. Aba Eban, che era un diplomatico israeliano, molto rispettato, con l’accento britannico, la   faccia di Israele  nel mondo, era considerato un umanista liberale. Una volta ha scritto un articolo, deve essere stato 35 anni fa, sulla  Jewish Congress Weekly, nel quale diceva agli ebrei americani quale era il loro compito. Il oro compito era di dimostrare ai critici del Sionismo – non intendeva Sionismo,  intendeva  coloro che criticano Israele – che si dividono in due categorie: antisemiti ed Ebrei nevrotici che odiano se stessi. In effetti ha citato due esempi: me, naturalmente, e I.F. Stone che è un devoto sionista. Noi due comunque eravamo ebrei che odiano se stessi perché criticavamo le situazioni, i fatti.  Aba Eban ha rivelato la verità come aveva fatto  il re Ahab  e tanta gente da allora a oggi.  Di fatto c’è una specie di controparte di questo che nessuno sembra notare. E questo è il concetto di persona anti-americana.

 

Che cosa pensi del concetto di anti-americano, e dell’uso che si fa come critica a persone come te ?

Torniamo a al re Ahab. E’ un concetto nettamente  totalitario che è usato in stati totalitari come l’Unione Sovietica. La critica più dura che si faceva ai dissidenti era che erano anti-sovietici. Va bene, Sakarov era anti-sovietico perché attaccava i crimini del Cremino. Era contro il popolo russo? Era contro la cultura russa? Solzhenitsyn diceva forse che i Russi sono orribili? Assolutamente il contrario. Era un nazionalista russo estremo. Erano anti-russi, però, perché condannavano i crimini perpetrati dallo stato. E gli stati totalitari si identificano (fa parte della natura del totalitarismo), con  la società. la cultura, la gente, e così via. Conosco soltanto una nazione democratica, diciamo  più o meno democratica, che adotta questo concetto totalitario. Gli Stati Uniti. Voglio dire: supponiamo che qualcuno,  diciamo, in Italia, dia un giudizio di condanna su Berlusconi e che questa persona  fosse chiamato anti-italiana, penso che la gente morirebbe dal ridere.

 

In Italia?

 

Sì, quella persona non è contro l’Italia, critica Berlusconi. In una cultura totalitaria, come la cultura intellettuale occidentale, però, se si attacca lo stato santo, bisogna essere contro l’America. Non conosco nessun altro esempio tranne quelli del re Ahab o dell’Unione Sovietica, o, diciamo della dittatura militare brasiliana.  Durante la dittatura militare brasiliana, se si critica la tortura, si è considerati anti-Brasiliani. Sì, è un concetto totalitario. Quello che c’è di interessante riguardo agli Stati Uniti e l’Inghilterra e una gran parte dell’Europa, è che questo concetto totalitario viene accettato. In maniera acritica. Negli Stati Uniti ci sono perfino libri scritti da persone considerate studiosi liberali come per esempio Paul Hollander  dell’Università del Massachusetts –  uno studioso rispettabile, che vengono chiamati gli Anti-Americani. Ha scritto:  Anti-Americanism: Critiques at home and abroad, 1965-1990, 1992 Anti-Americanism: Irrational and Rational, 1995. ( L’Anti-americanismo:critiche in patria e all’estero- L’Anti-americanismo:Irrazionale e razionale). Chi sono gli anti-Americani? Beh, se scorrete la lista, vedrete che sono persone che criticano la linea politica del governo. OK, se uno è un totalitario profondamente devoto, così profondamente che non riesce neanche a rendersene conto,  allora, sì, questo vuol dire essere anti-americano.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.orh/chomsky-sessios-five-international-realtions-part-two-by-noam-chomsky

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNET Italy –Licenza Creative Commons  CCBY-NC-SA 3.0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Precipitando nel baratro

09 venerdì Dic 2011

Posted by Redazione in America, Ecologia, Noam Chomsky

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AP, cambiamento climatico, carbonio, catastrofe climatica, combustibili fossili, Convenzione ONU, Durban, emissioni, energia, Fatih Birol, IEA, IPCC, John Reilly, Kissinger, lemming, NIxon, PIPA, protocollo di Kyoto

di Noam Chomsky -8 dicembre 2011

Uno dei  compiti della Convenzione Quadro dell’ONU sul cambiamento climatico, attualmente in corso a Durban, Sud Africa, consiste nell’ampliare le precedenti decisioni politiche che erano limitate nella portate e che sono state attuate solo in parte.

Tali decisioni risalgono alla Convenzione dell’ONU del 1992 e al Protocollo di Kyoto del 1997, cui gli Stati Uniti si sono rifiutati di aderire.  Il primo periodo impegnativo del Protocollo di Kyoto scade nel 2012.  Un sentimento piuttosto generale ante conferenza è stato colto dal titolo del New York Times: “Problemi urgenti, aspettative scarse.”

Mentre i delegati si riuniscono a Durban, una selezione recentemente aggiornata dei sondaggi, a cura del Consiglio per i Rapporti con l’Estero e del Programma sugli Orientamenti in Politica Internazionale (PIPA), rivela che “le opinioni pubbliche nel mondo e negli Stati Uniti affermano che i propri governi dovrebbero dare maggiore priorità al riscaldamento globale e sostenere con forza iniziative multilaterali per affrontare il problema”.

La maggior parte dei cittadini statunitensi è d’accordo, anche se il PIPA chiarisce che la percentuale “è andata scemando negli ultimi anni, cosicché l’interesse statunitense è significativamente inferiore alla media globale: 70% contro 84%.”

“I cittadini statunitensi non percepiscono che ci sia un’unanimità scientifica sulla necessità di azioni urgenti riguardo al cambiamento climatico; una larga maggioranza ritiene che alla fine  sarà toccata personalmente dal cambiamento climatico, ma solo una piccola minoranza ritiene di esserne colpita già ora, diversamente alla percezione della maggior parte degli altri paesi. Gli statunitensi tendono a sottostimare il livello di interesse tra gli altri concittadini.”

Questi atteggiamenti non sono causali. Nel 2009 le industrie energetiche, sostenute dalle lobby affaristiche, hanno lanciato grandi campagne che hanno gettato dubbi sul quasi unanime consenso degli scienziati sulla gravità della minaccia del riscaldamento globale causato dall’uomo.

Il consenso è solo “quasi unanime” perché non include i molti esperti che sentono che gli ammonimenti sul cambiamento climatico non si spingono abbastanza in là, e perché un gruppo marginale nega totalmente la validità della minaccia.

La copertura mediatica standard del tema (“Rossi dice che … Bianchi dice che …) si attiene a quello che viene chiamato “equilibrio”: la schiacciante maggioranza degli scienziati da una parte, i negazionisti dall’altra. Gli scienziati che lanciano gli ammonimenti più drammatici sono in larga parte ignorati.

Un effetto è che a malapena un terzo della popolazione statunitense ritiene che ci sia un consenso scientifico riguardo alla minaccia del riscaldamento globale; molto meno della media globale e una percentualmente radicalmente incoerente con i fatti.

Non è un segreto che il governo USA si sta isolando sui temi climatici. “Le opinioni pubbliche mondiali negli anni recenti hanno largamente disapprovato il modo in cui gli Stati Uniti stanno gestendo il problema del cambiamento climatico” secondo il PIPA.  “In generale, gli Stati Uniti sono stati per lo più visti come un paese il paese che ha l’effetto più negativo sull’ambiente globale, seguiti dalla Cina. La Germania è quella che si è classificata meglio.”

Per guadagnare un punto di vista prospettico su quel che accade nel mondo, a volte è utile adottare la posizione di un osservatore extraterrestre intelligente degli strani avvenimenti sulla Terra. Gli extraterrestri osserverebbero con stupore come il paese più ricco e potente della storia mondiale stia ora conducendo i lemming a gettarsi allegramente dalla scogliera.

Il mese scorso, l’Agenzia Internazionale per l’Energia, che fu creata su iniziativa del Segretario di Stato USA Henry Kissinger nel 1974, ha pubblicato il suo più recente rapporto sul rapido aumento delle emissioni di carbonio derivanti dall’utilizzo di combustibili fossili.

La IEA ha stimato che se il mondo continua su questa strada il “budget del carbonio” sarà esaurito entro il 2017.  Il ‘budget’ è la quantità di emissioni che possono mantenere il riscaldamento globale entro il livello di 2 gradi Celsius considerato il limite della sicurezza.

Il capo economista della IEA, Fatih Birol, ha affermato: “La porta si sta chiudendo; se non cambiamo direzione ora riguardo al nostro modo di utilizzare l’energia, finiremo oltre quello che gli scienziati ci dicono essere il minimo (per la sicurezza). La porta si chiuderà per sempre.”

Sempre il mese scorso il Dipartimento USA per l’Energia ha pubblicato i dati delle emissioni del 2010.  Le emissioni “hanno fatto un balzo ai livelli più alti mai registrati”, ha riferito la Associated Press (AP), intendendo con ciò che “i livelli di gas serra sono più alti di quelli previsti dello scenario peggiore” previsto nel 2007 dalla Commissione Internazionale sul Cambiamento Climatico (IPCC).

John Reilly, codirettore del programma del Massachusetts Institute of Technology (MIT) sul cambiamento climatico ha dichiarato all’AP che gli scienziati hanno in generale riscontrato che le previsioni dell’IPCC erano troppo caute, diversamente dalla frangia dei negazionisti che attira l’attenzione del pubblico.  Reilly ha riferito che lo scenario peggiore dell’IPCC era circa a metà strada tra le valutazioni degli scienziati del MIT circa i probabili esiti.

Mentre venivano diffusi questi rapporti inquietanti, il  Financial Times dedicava un’intera pagina alle aspettative ottimistiche che gli Stati Uniti possano diventare indipendenti per un secolo, sotto il profilo energetico, grazie a nuove tecnologie di estrazione dei combustibili fossili del Nord America.

Anche se le proiezioni sono incerte, riferisce il Financial Times, gli USA potrebbero “superare d’un balzo l’Arabia Saudita e la Russia e diventare i maggiori produttori mondiali di idrocarburi liquidi, contando sia il petrolio greggio sia i gas liquidi naturali più leggeri.”

In questa felice eventualità gli Stati Uniti potrebbero aspettarsi di conservare la propria egemonia globale. Al di là di alcune osservazioni sull’impatto ecologico locale, il Financial Times non ha detto nulla di quale tipo di mondo emergerebbe da queste eccitanti prospettive.  L’energia è fatta per essere consumata; al diavolo l’ambiente!

Quasi ogni governo sta adottando misure almeno per fermarsi e fare qualcosa per la probabile catastrofe imminente.   Gli Stati Uniti guidano la marcia indietro. La Camera dei Deputati USA, dominata dai Repubblicani, sta ora smantellando le misure ambientali introdotte da Richard Nixon, per molti aspetti l’ultimo presidente liberale.

Questo comportamento reazionario è uno dei molti indicatori della crisi della democrazia USA nel corso dell’ultima generazione.  Il divario tra l’opinione pubblica e la politica pubblica è cresciuto fino a diventare un abisso per quanto riguardo i temi centrali dell’attuale dibattito politico, quali il deficit e l’occupazione. Tuttavia, grazie all’offensiva propagandistica, tale divario è minore di quanto dovrebbe esserlo quanto al problema più grave oggi nell’agenda politica internazionale, e probabilmente il più grave nella storia.

Gli ipotetici osservatori extraterrestri dovrebbero essere scusati se concludessero che sembriamo essere affetti da qualche forma di pazzia letale.

© The New York Times Syndicate

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/marching-off-the-cliff-by-noam-chomsky

Fonte: New York Times Syndicate

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Intervista a Chomsky 5: Relazioni internazionali (parte 1)

28 lunedì Nov 2011

Posted by Redazione in Mondo, Noam Chomsky, Usa

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relazioni internazionali

Di Noam Chomsky e Michael Albert,  26 novembre 2011

Trascrizione  del Video di Z DVD con Noam Chomsky e Michael Albert

Passiamo a un’altra area. Relazioni internazionali. Che cosa significa colonialismo?

Bene, come qualsiasi termine delle faccende umane, questo termine ne comprende una vasta gamma. Ci sono tutti i tipi di colonialismo. Cioè, il peggior genere di colonialismo è quello dei coloni, come gli Stati Uniti, o l’Australia o Israele in questo momento, in misura minore. Il colonialismo di stranieri che si trasferiscono in un altro paese e ci rimangono, implica  sterminare la popolazione nativa. Forse non il cento per cento, ma quasi. Quindi questo è,  in assoluto il peggior tipo di colonialismo. Ce ne sono altri tipi che sono meno estremi. Prendete Wilson ad Haiti e Clinton ad Haiti. Quella è una forma di colonialismo in cui si conquista davvero il paese per il proprio beneficio , se ne ricava i più possibile, si distrugge il sistema agricolo, si porta la gente nelle città – tutto per i più motivi benefici possibile, sapete, tutte grandi ragioni progressiste. E si finisce, per esempio, con il terremoto che ci è stato da poco. Quello è un altro tipo di colonialismo.

Ce ne sono molti altri tipi. Prendiamo quindi gli Stati Uniti nelle Filippine che per caso è stata un’innovazione nella storia imperialista. Gli Stati Uniti hanno invaso le Filippine circa un secolo fa, hanno ucciso duecentomila persone, c’era  un razzismo brutale. Un razzismo incredibile. La gente negli Stati Uniti non erano neanche sicura che i Filippini fossero esseri umani o scimmie. Venivano portati e mostrati nelle Esposizioni Internazionali  (Esposizione internazionale di St Luis, 1904) * e cose del genere.  Cioè, quando ci si ripensa, ci si accorge che era stata una cosa proprio spaventosa.  Naturalmente è stato tutto per ragioni nobilissime. Noi li miglioriamo, li convertiamo al Cristianesimo, sai, gli diamo la civiltà, le solite cose.

Qualcuno, qua e là, si opponeva. Persone come Mark Twain. Scriveva dei saggi molto beffardi e pungenti. Non è stato impiccato, nessuno gli ha fatto saltare il cervello, ma questi saggi sono stati stroncati.  Credo che finalmente siano venuti fuori circa venti anni fa, in qualche edizione accademica che nessuno ha mai letto, pubblicati dalla casa editrice dell’università di Syracuse.  Ma erano là.

Allora, che cosa è successo dopo la loro conquista?  Quella era l’innovazione. In realtà, questo è stato studiato da poco in un libro veramente magistrale, un grande libro di Alfred McCoy, che è uno storico delle Filippine, oltre ad altre attività.  E’ la prima persona che ha studiato in dettaglio come hanno trattato con la popolazione dopo che più o meno avevano – sapete,  non li hanno ancora conquistati del tutto, la cosa è ancora in corso – come dire, pacificato il paese. Beh, si viene a sapere che c’è stata una cosa importante. Quello che era stato istituito era un sistema molto sofisticato, molto tecnologico di controllo e sorveglianza. Ebbene, la tecnologia di allora non era la tecnologia di adesso, ma esisteva. Il telegrafo, la radio e altre tecniche di sorveglianza. Si usava qualsiasi tecnica fosse disponibile per tentare di controllare, di monitorare, di assoggettare la popolazione.

Si usavano anche delle tecniche molto sofisticate per minare la resistenza: cooptazione delle élite, mettere in giro delle voci, usare qualsiasi  accorgimento che si  aveva per cercare di indebolire i nazionalisti. Era fatto molto bene.

Sullo sfondo c’è la polizia filippina, una cosa che c’è sempre in qualsiasi sistema  coloniale, imperialista. C’è una specie di forza paramilitare di  collaboratori che fanno quello che gli si dice e di solito sono addestrati per uccidere. Diciamo che si prendono delle persone di una tribù per uccidere quelle di un’altra tribù, oppure si usa la popolazione delle campagne  per sgominare  la popolazione delle città. Viene fatto in vari modi. E in effetti lo stiamo facendo proprio adesso. E’ il modo in cui gli Stati Uniti sperano di gestire i Territori Palestinesi Occupati. C’è un esercito organizzato dagli Stati Uniti che si pensa li sottometterà – altamente lodato da Obama e da Kerry, dai liberali e così via.  Questo assortimento di tecniche è stato elaborato in dettaglio impressionante e applicato in maniera molto sofisticata.

Le Filippine sono ancora sotto questo sistema.  Le Filippine che sono ancora una specie di semi-colonia sono l’unica parte dell’Asia Orientale e Sud –Orientale  che non ha fatto parte del cosiddetto miracolo economico.  Guardate Taiwan, la Corea del Sud, perfino l’Indonesia ecc. dove ci sono stati molti progressi economici. Non nelle Filippine. E’ l’unica parte di quell’area geografica che governiamo ancora noi.

Wilson e i Britannici, durante la I Guerra mondiale, usavano un sacco di queste tecniche in patria. Adesso questo sistema si è estremizzato. Andate in Gran Bretagna, è una società basata sulla sorveglianza. Ci sono telecamere a ogni angolo di strada, sapete, presumibilmente  dispositivi anti-terrorismo. Anche qui, sapete, il Patriot Act.  *

Comunque, per tornare alla sua domanda, non c’è una risposta riguardo a che cosa è il colonialismo. E’ soltanto una forma in cui dei sistemi di potere ne sottomettono altri e sottomettono anche la loro stessa popolazione. Non c’è nulla di nuovo in questo. E’ già stato fatto notare da Adam Smith. Cioè, non da uno stupido; ciò che ha dimostrato e ciò  che gli specialisti in affari internazionali sembrano non voler comprendere, è che se si vuole capire come funziona un paese, non si può ignorare la distribuzione interna del potere. Ha fatto notare  nel suo famoso testo, The Wealth of Nations (La ricchezza delle Nazioni),  che se si vuole capire l’Inghilterra, che è la cosa che gli interessa, si deve riconoscere che gli architetti della politica sono mercanti e produttori, e organizzano la politica in modo che ci si occupi bene dei  loro interessi anche se l’impatto sul popolo inglese può essere doloroso. Naturalmente, altrove le cose possono essere ancora peggiori.  Quella che Smith chiamava l’ingiustizia selvaggia degli Europei è un  male orribile. Questa fondamentalmente è una verità costante riguardo ai sistemi di potere.

All’altra estremità dello spettro, nel miglior senso della parola, che cosa pensi che significhi o implichi o costituisca l’internazionalismo?

L’internazionalismo dovrebbe essere ciò che è sempre stato, almeno nella terminologia della sinistra. Voglio dire, i sindacati si chiamano internazionali, non perché lo siano davvero, ma perché dovrebbero esserlo.  E la loro creazione iniziale convenzionale era in parte motivata dall’idea  che dovremmo preoccuparci dei lavoratori e dei contadini e degli oppressi di tutto il mondo. La solidarietà, la solidarietà internazionale, era l’ideologia centrale dei sindacati. Le associazioni internazionali che sono state create si chiamano così  perché si pensava che si dovessero impegnare in questo.

Se non fossero così totalmente prese da un’ideologia impazzita, chiameremmo il World Social Forum  (Forum Sociale Mondiale) * l’unico gruppo pro-globalizzazione del mondo. Non è Davos, dove  trovi un gruppo di persone ricche che parlano di come potersi arricchire, e che si chiama globalizzazione. Il Forum Sociale Mondiale,* con tutti suoi difetti, riunisce persone di tutto il mondo, di tutti i campi di attività, che interagiscono reciprocamente, persone nuove che si scambiano idee tra di loro, idee che sostengano i modi per migliorare il mondo globale a favore della maggioranza degli individui. Questo è l’internazionalismo. Questo è ciò che dovremo fare. L’anti-imperialismo è una forma di internazionalismo.

Quando pensi che sia  giusto che  un individuo negli Stati Uniti denunci le violazioni dei diritti umani rispetto a un altro paese: pensi che sia ipocrisia o interferenza?  Parlo di un individuo, non del governo.

Se da qualche parte avvengono violazioni dei diritti umani, è una cosa ragionevole criticarle se è possibile fare qualche cosa al riguardo. Se non si può fare nulla è soltanto una  posa. Se però si possono aiutare gli attivisti per i diritti umani o la gente oppressa o altro, da in qualche altro paese, certamente si dovrebbe fare. Il problema è sempre quello delle priorità. Il tempo e l’energia sono limitate. Non si può evitare questo problema. La domanda è: come possiamo fare paragoni, come decidiamo in che modo distribuire le nostre energie quando ci sono violazioni dei diritti umani? Ci sono dei criteri molto chiari a riguardo. I diritti umani vengono violati quasi al 100%, ma sono molto chiari. Quello che a cui si dà la priorità è quello che fa ogni essere umano: le conseguenze prevedibili delle proprie azioni. Queste sono da mettere al primo posto. In quanto alle azioni di qualcun altro, sì, si possono criticare, ma non c’è alcun valore morale in questo, a meno che si possa in un certo qual modo migliorare le cose. Quello che si può migliorare è quello che si fa.   Quindi, assolutamente, la nostra priorità dovrebbe essere il nostro impegno nelle violazioni dei diritti umani che possiamo cambiare.

A proposito, questo è indipendente dalla misura in cui si opera. Anche se le violazioni che facciamo non sono cosi tremende, e quelle che fanno altri sono orribili, ma non  possiamo farci niente, allora la moralità elementare ci dice: concentratevi su voi stessi. In pratica è il contrario, quasi al 100%.

Voglio dire che si prova grande piacere per i reati degli altri. Specialmente se non possiamo farci niente e specialmente se si tratta di un nemico.

Se qualche nemico commette dei reati orribili e non possiamo farci niente, è fatale che assumiamo un atteggiamento eroico  riguardo a quei reati. Come prima cosa, non costa niente, perché non ci si può fare niente. L’altro motivo è che fa vedere quanto si è nobili. E si può mentire come i bugiardi matricolati, si può dire qualsiasi cosa si vuole, e se qualcuno dice : bene, forse non è molto, preciso,  si può tornare e dire: oh,  tu sostieni il genocidio, tu sei a favore degli olocausti. Cioè, abbiamo a disposizione un’intera serie di tecniche.

Agli intellettuali piace tantissimo. C’è perfino un nuovo genere letterario  che si è sviluppato negli ultimi 10 o 15 anni e che gode di grandissimo rispetto: castigarci  per non aver criticato abbastanza fermamente i crimini degli altri. E’ assolutamente meraviglioso. Come prima cosa ci  criticate quindi,  guarda come siete morali.  E criticate noi stessi  per non aver fatto abbastanza riguardo ai crimini dei nemici per i quali non c’è nulla da fare. Se infatti guardate a tutto quello che si dice e scrive a riguardo, è sorprendente. Cioè questo atteggiamento è realizzato quasi alla perfezione, è come una caricatura di se stesso. E le persone sono brave persone. In realtà ne conosco alcune. Sapete, gente assolutamente carina, assolutamente rispettabile che pensa che ci si  dovremmo davvero sacrificare e castigarci per non fare abbastanza riguardo, diciamo, al genocidio perpetrato da Pol Pot, per il quale non c’era alcuna indicazione su che cosa fare. Nel frattempo, però ignorate qualsiasi si faccia.

Autodeterminazione. Che cosa significa, che tipo di diritto all’autodeterminazione e in che circostanze le persone  sono autorizzate  a esercitare, e,  al contrario, quando le persone non sono autorizzate a esercitarlo?

Come la maggior parte delle cose,  non penso che si possa dare una risposta onnicomprensiva. Dipende dalle circostanze.

Quali sono….

Voglio dire che da un certo punto di vista ognuno ha diritto all’auto-determinazione, come ognuno ha il diritto a controllare la propria vita. Come  tutti gli individui. D’altra parte, l’auto-determinazione non si esercita in maniera isolata. Ha conseguenze sugli altri ed è una cosa della quale si deve tenere conto. Poi si deve cominciare a valutare le cose. Prendiamo, per esempio, la secessione del Sud negli Stati Uniti. Gli abitanti del sud dovrebbero avere  il diritto di auto-determinazione? Bene, chi chiedeva l’autodeterminazione? I bianchi del Sud. Non gli schiavi neri. Non è che  era il sud che chiedeva l’autodeterminazione. Al contrario, una gran parte della popolazione che non aveva voce, si opponeva all’autodeterminazione che chiedevano i padroni bianchi. Ma non vedo come ci possano essere delle formule riguardo a questo problema, perché l’autodeterminazione, mentre è un valore, è soltanto uno dei molti valori. E, come succede in generale nelle faccende umane, i valori sono spesso in conflitto.

Hai delle opinioni sulle strutture internazionali, le nuove strutture internazionali, che potrebbero proteggere meglio i deboli e i poveri, la gente che è soggetta alle violazioni, a cui si impone di morire di fame, ecc. Le reali strutture istituzionali che potrebbero, per esempio….

E’ interessante, ma su questo argomento seguo molto la corrente tradizionale dell’opinione pubblica americana che è totalmente diversa dall’opinione dell’élite o da qualsiasi cosa che sia espressa. Ma se si guarda all’opinione pubblica americana della quale ho scritto e si esaminano i sondaggi, sono abbastanza standardizzati e in realtà nessuno ha dei dubbi a riguardo. Una notevole maggioranza del pubblico, una maggioranza molto ampia, pensa che  l’ONU e non gli Stati Uniti dovrebbe condurre le crisi internazionali.  Una maggioranza della popolazione ritiene che dovremmo abolire il potere di veto del Consiglio di Sicurezza, tutti dovrebbero pensare così, e seguire la volontà della maggioranza, anche se non ci piace. Di recente non ho visto un sondaggio dopo le offensive enormi di propaganda degli ultimi due anni, ma due anni fa, prendiamo, per esempio, l’Iran, il grosso problema. Una notevole maggioranza della popolazione era d’accordo con quasi tutto il mondo che l’Iran avesse il diritto di arricchire l’uranio, come pensa qualsiasi firmatario del Trattato di non-proliferazione. Cioè, in questo caso leggiamo che l’Iran sta sfidando il mondo, per mezzo di qualche interessante definizione del mondo. Il mondo significa….

Noi.

Non soltanto noi, il governo. Significa il governo statunitense e chiunque per caso è d’accordo con esso. Questo è il mondo. Esclude una larga maggioranza della popolazione degli Stati Uniti, esclude le nazioni non allineate, cioè la maggior parte del mondo che lo sostengono con forza, e così via. Però, certo, hanno ragione.

Restiamo sul problema importante negli affari internazionali: anche in questo caso, una percentuale enorme – non ricordo le cifre, ma era molto grande, pensava che dovremmo stabilire una zona libera da armamenti nucleari in Medio Oriente. Ora, questa è la risposta giusta ai problemi che stanno sorgendo. Tecnicamente gli Stati Uniti dicono: sì, certo, ma naturalmente non si fa nulla al riguardo. Una zona libera da armi nucleari è un concetto molto interessante se davvero si è interessati nella non-proliferazione, – come  Obama dice di essere – l’unica cosa che si dovrebbe appoggiare sarebbero le zone libere da armi nucleari. Questi sono piccoli passi, ma passi verso la riduzione della minaccia delle armi nucleari e della proliferazione nucleare.  I fatti sono estremamente rivelatori. Riguardo al Medio Oriente,  c’è un grandissimo  sostegno popolare  in tutto il mondo. Naturalmente, ciò che significherebbe che non dovrebbe esserci nessun arma nucleare in Iran o in Israele o truppe statunitensi dislocate in quei paesi.  Quella  zona sarebbe una zona libera da armi nucleari. Ecco perché non è neanche nel programma, tranne che per la popolazione.  Sarebbe un passo importante, è fattibile con  procedure di ispezione, naturalmente, ma è tecnicamente fattibile e diminuirebbe, e forse eliminerebbe tutti i pericoli che ci sono.  Non è però nei programmi.

Non parliamo neanche del fatto che Gli Stati Uniti sono  molto impegnati in questo. La ragione è  qualche cosa che non si può neanche pronunciare. Quando gli Stati Uniti e  la Gran Bretagna hanno dichiarato guerra all’Iraq,     hanno cercato di fornire una piccolissima copertura legale per questa. Si sono appellate alla risoluzione n. 687 del 1991, che chiedeva all’Iraq di eliminare le sue armi di distruzione di massa. E il fatto è stato  che l’Iraq non lo aveva fatto, quindi avevamo il diritto di invadere. Se leggete quella risoluzione, essa chiede che in Medio Oriente venga stabilita una zona libera da armi nucleari. Stati Uniti e Gran Bretagna, perciò, molto più che qualsiasi altro paese, sono impegnate in questo. Bene, non se ne può parlare perché è come, la pornografia o qualche cosa di peggiore.

E’ anche più interessante di così. Nel mondo ci sono zone libere da armi nucleari. Si è riusciti  da poco  ad averne finalmente una in Africa dopo un sacco di negoziati. E’ stata bloccata daglI Stati Uniti. Il  motivo è che l’Unione Africana, al completo, considera l’Isola Diego Garcia, nell’Oceano indiano, parte dell’Africa poiché fa parte delle Mauritius che fanno parte dell’Africa. Ebbene, la Gran Bretagna, su ordini degli stati uniti, ha cacciato via brutalmente  l’intera popolazione alcuni anni fa, in modo illegale, naturalmente, per costruire una grossa base militare statunitense. La Gran Bretagna, quindi non ha accettato l’accordo dell’Unione Africana perché il padrone dice che no si può  fare; sono molto leali.  Gli Stati Uniti rifiutano di accettarlo. Gli Stati Uniti, quindi, bloccano l’istituzione di una zona libera da armi nucleari dell’Unione Africana perché insistiamo a mantenere una base militare dopo aver cacciato via la popolazione, come deposito di armi nucleari e, cosa fondamentale, per bombardare. Questa è una delle basi principali per realizzare aggressioni in Asia Centrale e in Medio Oriente  – sai – si bombarda l’Iraq,   arrivano da lì. In fatti, proprio un paio di settimane fa, la marina ha annunciato che sta per inviare una grossa nave appoggio per sottomarini a Diego per fare assiestenza tecnica  e manutenzione   ai  i sottomarini nucleari e avanti di questo passo. Stiamo quindi bloccando la zona libera da armi  nucleari dell’Unione Africana, stiamo rifiutando perfino di parlare di quelle del Medio Oriente, che è importante, e c’è dell’altro.

(ride)   C’è sempre dell’altro…

 C’è sempre dell’altro. C’è una zona libera da armi nucleari nel Sud Pacifico che è stata per lungo tempo nelle mani  Francesi perché volevano usare le isole appartenenti alla Francia per sperimentare le armi nucleari. Bene, alla fine hanno fatto i loro esperimenti nucleari,  ora questa zona è nelle mani degli Stati Uniti perché le isole del Pacifico, come Palau e le altre sono usate come deposito di armi nucleari e di sottomarini nucleari. Così, ok, blocchiamo la zona del Sud Pacifico e mentre Obama sta facendo discorsi molto lodati su come sono terribili le armi nucleari, dobbiamo fare qualche cosa per questo problema. E c’è un’enorme preoccupazione, per lo meno  presunta, ma  forse vera preoccupazione per la possibilità che forse l’Iran sta mettendo a punto delle armi nucleari e non lo sappiamo. Se qualcuno da Marte ci stesse osservando si stupirebbero che la nostra  specie riesca ancora a vivere. Come si può fare tutto questo senza cadere nel ridicolo per se stessi? Bene, è facile in una società ben disciplinata.

Trascritto da Anton G.

Riferimenti:

http://pimephilippines.wordpress.com/2008/07/26/gli-indigeni-filippini-al-st-Louis-worlds-fair-1904

http://.punto-informatico.it/3177274/PI/News/patriot-act-altri-anni.aspx

http://it.wikipedia.org/Forum-sociale-mondiale

Da Z Net: Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/chomsky-session-5-international-relations-part-one-by-noam-chomsky-

Traduzione di Maria Chiara Starace

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Conferenza in occasione del conferimento del Premio per la pace della Città di Sydney 2011

09 mercoledì Nov 2011

Posted by Redazione in Mondo, Noam Chomsky

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premio nobel

 

 

 

 

Di: Noam Chomsky

 

3 novembre 2011

 

 

 

La conferenza in occasione del Premio per la Pace della Città di Sydney per il 2011 è stata tenuta nel Municipio di Sydney,  mercoledì 2 novembre dal vincitore del premio, Professor Noam Chomsky

 

 

 

Pacifismo rivoluzionario: scelte e prospettive

 

 

 

Come tutti sappiamo, le Nazioni Unite sono state create “per salvare le generazioni successive dal flagello della guerra.” Queste parole  possono soltanto suscitare un profondo rammarico quando consideriamo come abbiamo agito per adempiere a quella aspirazione, anche se ci sono stati degli importanti successi, specialmente in Europa.

 

Per secoli l’Europa era stato il luogo più violento della terra, con conflitti interni    e distruttivi, e la formazione di una cultura della guerra che ha messo in grado l’Europa di conquistare la maggior parte del mondo,     le vittime  che non erano certo pacifisti, ma che erano “ sconvolti dalla furia     distruttiva della guerra europea”, per dirlo con le parole  dello storico militare britannico Geoffrey Parker. E questa cultura ha messo in grado l’Europa di imporre alle sue conquiste ciò che Adam Smith chiamava “la selvaggia ingiustizia degli Europei”, con in testa l’Inghilterra, come non  ha mancato di sottolineare. La conquista globale ha assunto una forma particolarmente raccapricciante in quella che si chiama talvolta “l’Anglosfera”, cioè l’Inghilterra e i suoi   virgulti, cioè le società coloniali formate da coloni   nelle quali le società indigene erano devastate e le loro popolazioni disperse o sterminate. Dal 1945, però, l’Europa è diventata, al suo interno, la zona del mondo più pacifica e, da molti punti di vista, umana, della terra, e questo fatto è la fonte  di parte del suo attuale travaglio, un argomento importante che dovrò mettere da parte.

 

Nel mondo dell’erudizione, questa transizione drammatica è spesso attribuita alla tesi della “pace democratica”: le democrazie non si fanno guerra tra di loro. Non dobbiamo tuttavia, tralasciare  il fatto che  gli Europei sono riusciti a rendersi conto che la prossima volta che     nel loro passatempo preferito di massacrarsi  reciprocamente, il gioco finirà: la civiltà ha sviluppato mezzi di distruzione che possono essere usati soltanto contro chi è troppo debole per reagire a loro volta , una gran parte della       storia degli anni seguiti alla Seconda guerra mondiale. La minaccia non è certo finita. Gli scontri tra Stati Uniti e Unione Sovietica sono arrivati dolorosamente vicino a  una guerra nucleare praticamente definitiva in modi che sono  ancora sconvolgenti da contemplare quando li esaminiamo da vicino. E la minaccia della guerra nucleare rimane  fin troppo   profeticamente viva, e questo un argomento sul quale ritornerò brevemente.

 

Possiamo avviarci a limitare, per lo meno, il flagello della guerra?  Una risposta è data dai pacifisti assoluti, comprese persone che rispetto sebbene non me la sia mai sentita di andare oltre quella.  Una posizione in certo qual modo più persuasiva, penso, è quella del filosofo pacifista e attivista sociale A.J: Muste, che io ritengo sia una delle grandi figure dell’America del XX secolo: è quella del “pacifismo rivoluzionario.” Muste disdegnava la ricerca della pace senza la giustizia. Raccomandava che “si deve essere rivoluzionari prima di essere pacifisti”; con questo voleva dire che dobbiamo smetterla di “ adeguarci così facilmente alle condizioni cattive”, e che si deve  affrontare onestamente e adeguatamente il novanta per cento del nostro problema” ; la violenza sulla quale è basato l’attuale sistema e tutto il male, materiale spirituale,  che questo comporta per  le masse di uomini in tutto il mondo.” Fino a quando non agiamo così,  sosteneva, “c’è qualche cosa di ridicolo e forse di ipocrita, riguardo alla nostra preoccupazione  per il dieci per cento della violenza usata dai ribelli contro l’oppressione”, per quanto orrendi essi possano essere.  Stava affrontando il problema più difficile per un pacifista, quello del prendere parte alla guerra anti-fascista.

 

Quando 45 anni fa, scrivevo riguardo alla posizione di Muste,  citavo il suo avvertimento che “ Il problema dopo la guerra è chi l’ha vinta. Egli pensa che ha appena dimostrato che  la guerra e la violenza pagano. Chi gli insegnerà una lezione?” Le sue osservazioni andavano molto bene per i suoi tempi, mentre infuriavano le guerre in Indocina. E in molte altre occasioni in seguito.

 

Gli alleati non hanno combattuto “la guerra buona”, come viene comunemente chiamata, a causa degli orribili crimini del fascismo. Prima dei loro attacchi contro le potenze occidentali, i fascisti erano trattati piuttosto benevolmente,  specialmente “quell’ammirevole signore italiano”, come Franklin  Delano Roosvelt chiamava Mussolini. Perfino Hitler era considerato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti come un “moderato” che teneva a bada gli estremisti di destra e di sinistra. I Britannici erano ancora più benevoli, particolarmente il mondo degli affari. Il confidente più vicino a  Roosvelt, Sumner Welles, riferiva al presidente che l’accordo di Monaco che smembrava la Cecoslovacchia, “offriva l’occasione per la costituzione  da parte delle nazioni del mondo di un nuovo ordine mondiale basato sulla giustizia e basato sulla legge,”, nel quale i nazisti moderati avrebbero avuto un ruolo importante.

 

Ancora nell’aprile 1941, l’influente statista George Kennan, che si situava all’estremità pacifista dello spettro della pianificazione del dopoguerra, scriveva da Berlino dove aveva un incarico al consolato, che i dirigenti tedeschi non avevano alcun desiderio di “veder soffrire altra gente sotto il comando della Germania”, sono “molto ansiosi che i loro sudditi siano felici affidati alla loro tutela” e stanno facendo “compromessi importanti” per assicurare questo risultato favorevole.

 

Sebbene in quel tempo, gli orrendi fatti riguardo all’Olocausto fossero ormai noti, non sono quasi arrivati al processo di Norimberga che si concentrava invece sull’aggressione, “il supremo crimine internazionale differisce dagli altri crimini di guerra perché contiene in se stesso tutto il male accumulato di tutti”: in Indocina, in Iraq, e in troppi altri luoghi dove abbiamo molto su cui meditare. Gli spaventosi crimini del fascismo giapponese erano praticamente ignorati negli accordi di pace del dopoguerra. L’aggressione del Giappone è iniziata 80 anni fa, con il finto  incidente di Mukden  (http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_di_Mukden) ma per l’Occidente è cominciata 10 anni dopo, con all’attacco alle basi militari in due possedimenti degli Stati Uniti. L’India e altre importanti  nazioni  asiatiche si sono perfino rifiutate di partecipare alla Conferenza di San Francisco per il Trattato di pace nel 1951, poiché i crimini giapponesi in Asia erano stati esclusi dagli accordi di pace e anche perché Washington aveva stabilito un’importante base militare a Okinawa (che era stata conquistata), che è ancora lì malgrado le energiche proteste della popolazione.

 

E’ utile riflettere su vari aspetti dell’attacco a Pearl Harbour. Uno di questi è la reazione dello storico e consigliere di Kennedy, Arthur Schlesinger, al bombardamento di Baghdad del marzo 2003. Ha ricordato le parole di Franklin Delano Roosvelt quando il Giappone aveva bombardato Pearl Harbour in “una data che vivrà nell’infamia.” “Oggi siamo noi Americani che viviamo nell’infamia,” ha scritto Schlensiger, poiché il nostro governo adotta le politiche del Giappone imperialista – pensieri che erano stati appena formulati in altri sedi tradizionali e rapidamente eliminati: non ho trovato menzione di questa onesta presa di posizione nell’elenco delle       lodi  per tutto quello che Schlensiger era riuscito a realizzare, compilato  quando è morto pochi anni dopo.

 

Possiamo imparare tante cose riguardo a noi portando avanti di qualche passo il lamento di Schlesinger. Secondo gli standard attuali l’attacco del Giappone era giustificato, anzi, meritorio. Il Giappone, dopo tutto, esercitava la dottrina molto lodata dell’auto difesa preventiva quando bombardava le basi militari delle Hawaii e delle Filippine, di fatto due colonie statunitensi, con motivi di gran lunga più inconfutabili  di qualsiasi cosa Bush and Blair avrebbero potuto far apparire per magia quando nel 2003 adottarono le politiche del Giappone imperialista. I capi giapponesi erano ben consci che le Fortezze volanti B-17 erano fabbricate dalla Boeing e sapevano leggere la stampa americana che scriveva che queste macchine di morte sarebbero state in grado di bruciare Tokyo, “una città di case fatte di carta di riso e di legno.” Un piano del 1940 di “bombardare Tokyo e altre grandi città”, era stato accolto con entusiasmo dal segretario di stato Cordell Hull. Franklin Delano Roosvelt era semplicemente felice” per i piani di distruggere il cuore industriale dell’Impero con attacchi di bombe incendiarie sui brulicanti formicai fatti di bambù di Honshu e di Kyushu”, descritti  dal loro autore, il Generale dell’aviazione Chennault.  Nel luglio 1941,  i reparti aerei trasportavano per mare  i B-17 verso l’Estremo Oriente a questo scopo, destinando  metà di tutti i grossi bombardieri a questa zona, trasportandoli dall’ Atlantico.  Dovevano abituarsi, se necessario,  a “incendiare le città giapponesi di carta”, secondo quanto diceva il generale George Marshall, il principale consigliere militare di Roosvelt, in un comunicato stampa tre settimane prima di Pearl Harbour. Quattro giorni dopo, il corrispondente capo del New York Times,       Arthur Krock,  ha reso noti i piani statunitensi di bombardare il Giappone dalle basi delle Siberia e delle Filippine, verso le quali l’aviazione stava     trasportando in fretta bombe incendiarie destinate a obiettivi civili. Gli Stati Uniti sapevano da messaggi decodificati che il Giappone era al corrente di questi piani.

 

La storia fornisce ampie prove per sostenere la conclusione di Muste che “Il problema dopo una guerra è il vincitore” [che] pensa che ha appena dimostrato che la guerra e la violenza pagano.” E la vera risposta alla domanda di Muste, “Chi gli insegnerà una lezione?,” possono darla soltanto le popolazioni nazionali, se possono adottare principi morali elementari.

 

Anche il più indiscutibile di questi principi potrebbe avere un impatto importante per porre fine all’ingiustizia e alla guerra. Considerate il principio di universalità, forse il più elementare dei principi morali: applichiamo a noi stessi gli standard che applichiamo agli altri, e forse anche  più rigorosi. Il principio è universale, o quasi, per tre ulteriori aspetti: si trova in qualche forma in ogni codice morale; è applaudito universalmente a parole, e ripetutamente rifiutato nella pratica. I fatti sono semplici e dovrebbero essere preoccupanti.

 

Il principio ha un semplice corollario che ha avuto lo stesso destino: dovremmo distribuire energie limitate nella misura in cui possiamo influenzare i risultati, abitualmente nei casi in cui condividiamo delle responsabilità. Lo diamo per scontato quando si tratta di nemici. A nessuno importa se gli intellettuali  iraniani si uniscono ai capi religiosi per condannare i crimini di Israele o degli Stati Uniti. Invece chiediamo che cosa dicono sul loro stato. Abbiamo rispettato i dissidenti sovietici per gli stessi motivi. Naturalmente, non è quella la reazione all’interno delle loro società dove i dissidenti sono condannati come “anti-sovietici” o sostenitori del Grande Satana  nello stesso modo in cui i loro omologhi qui sono condannati come “anti-americani” o sostenitori del nemico ufficiale del momento. Naturalmente, la punizione per coloro che aderiscono a semplici principi morali può essere severa e dipende dalla natura della società. Nella Cecoslovacchia governata dai Sovietici, per esempio, Vaclav Havel è stato messo in prigione. Contemporaneamente, un  battaglione scelto fresco di       addestramento alla Scuola di Guerra Speciale John F. Kennedy nella Carolina del Nord, sparava in testa agli  omologhi di Havel  a El Salvador, agendo su ordini espliciti dell’Alto Comando che era strettamente legato a Washington. Tutti conosciamo e rispettiamo Havel per la sua coraggiosa resistenza, ma chi può nominare i principali intellettuali Latino Americani, i padri Gesuiti, che si sono aggiunti al lungo sentiero insanguinato della brigata Atlacatl poco dopo la caduta del Muro di Berlino – insieme con la loro governante e sua figlia, dato che l’ordine era di non lasciare alcun testimone?(alexgiaco.blogspot.com/2011/06/Ignacio-ellacuria-uca-el-salvador-html, n.d.T.)

 

Prima di sentire dire che queste sono eccezioni, possiamo ricordare  una verità lapalissiana dell’erudizione Latino Americana, reiterata dallo storico John Coatsworth, nella Storia della Guerra Fredda di recente pubblicata dall’Università di Cambridge:  dal 1960 fino  “al crollo sovietico nel 1990, il numero di prigionieri politici, di vittime della tortura e l’esecuzione di dissidenti  politici non violenti in America Latina superava di gran lunga quello dell’Unione Sovietica e dei suoi paesi satelliti dell’Europa Orientale.” Tra le persone uccise c’erano molti martiri religiosi, e ci furono anche uccisioni di massa, regolarmente appoggiate o iniziate da Washington. E la data del 1960 è molto significativa, per ragioni che dovremmo tutti conoscere, ma delle quali  adesso non posso parlare.

 

In Occidente, tutto questo è “sparito”, per prendere in prestito la terminologia delle nostre vittime Latino Americane. Purtroppo queste sono caratteristiche durature della cultura intellettuale e morale, che possiamo far risalire ai primi avvenimenti storici registrati. Penso che essi    evidenzino abbondantemente l’intimazione fatta da Muste.

 

Se mai speriamo di essere all’altezza degli alti ideali che proclamiamo con passione, e di portare il sogno iniziale delle Nazioni Unite più vicino al compimento, dovremmo pensare attentamente alla scelte fondamentali che sono state fatte e che vengono fatte ogni giorno – senza dimenticare “la violenza sulla quale è basato l’attuale sistema, e tutto il male  (materiale e spirituale) che questo comporta per le masse di uomini in tutto il mondo.” Tra queste masse ci sono 6 milioni di bambini che muoiono ogni anno per la mancanza di semplici cure mediche che le nazioni ricche potrebbero mettere a disposizione nei loro bilanci, con un errore minimo per le statistiche.   Un miliardo di persone stanno per morire di fame o peggio ma non sono affatto irraggiungibili per essere aiutate.

 

Non dovremmo mai dimenticare neanche che la nostra ricchezza deriva non in piccola misura dalle tragedie di altre persone. Questo è drammaticamente chiaro nell’Anglosfera. Io vivo in un piacevole quartiere di Boston. Coloro che una volta abitavano lì erano vittime della “totale estirpazione di tutti gli Indiani nelle zone più popolate dell’Unione” con mezzi “più distruttivi per gli Indiani nativi di quelli usati dai conquistatori del Messico e del Perù” – era stato  il verdetto del Primo segretario della guerra delle colonie appena liberate, il General Henry Knox.  Hanno sofferto il destino di “quella razza sfortunata di nativi americani, che stiamo sterminando con così tanta crudeltà implacabile e perfida….tra gli odiosi peccati di questa nazione , per i quali credo che Dio un giorno porterà in giudizio” – le parole del grande magnifico stratega John Quincy Adams, intellettuale e autore dell’ideologia Manifest Destiny ( http://.it/wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto) e della Dottrina di Monroe, vennero molto tempo dopo i suoi considerevoli contributi a questi peccati odiosi.

 

Gli Australiani non dovrebbero avere problemi ad aggiungere altri esempi.

 

Qualunque possa essere  il giudizio finale di Dio, il giudizio degli uomini è lontano dalle aspettative di Adams. Per citare alcuni casi recenti, considerate quali suppongo che siano le due riviste intellettuali e liberali di sinistra  più considerate nell’Anglosfera, The New York Review e la London Review of Books. Nella prima, un eminente commentatore ha scritto di recente che cosa ha imparato dall’opera dello “eroico storico” Edmund Morgan: cioè, che quando Colombo e i primi esploratori arrivarono, “trovarono una immensità popolata in modo rado da gente che coltivava la terra e cacciava….In questo mondo illimitato e intatto che si estendeva dalla giungla tropicale al nord ghiacciato, potevano forse esserci poco più di un milione di abitanti.” Il calcolo è fuori di  decine di milioni e la “immensità” comprendeva civiltà avanzate, cose  ben note a coloro che decenni fa facevano la scelta di conoscere i fatti. Non ci sono state lettere che mostrassero una reazione a questo caso veramente colossale di negazione di un genocidio. Nella rivista gemella londinese un  famoso storico ha citato casualmente il maltrattamento dei nativi Americani” e anche questo non ha suscitato commenti. Non accetteremmo certo la parola “maltrattamento” parlando di crimini analoghi o anche molto minori commessi da nemici.

 

Riconoscere crimini odiosi dai quali abbiamo avuto enormi benefici, sarebbe un buon inizio dopo secoli di negazioni, ma possiamo continuare da lì. Una delle tribù principali della zona dove abito ora era la tribù Wampanoag che hanno ancora una piccola riserva non lontano. La loro lingua è scomparsa da molto tempo, ma  con una  notevole iniziativa di erudizione e  dedizione per i diritti umani elementari, la lingua è stata ricostruita in base a testi di missionari e a prove comparative, e ora ha il primo parlante nativo dopo 100 anni,  cioè la figlia di Jennie Little Doe che ora parla anche lei correntemente la lingua. E’ laureata al MIT e ha lavorato con il mio defunto amico e collega Kenneth Hale, uno dei più eccezionali linguisti del periodo moderno. Tra i  molti risultati che egli  ha raggiunto c’è stato  il ruolo importante  che ha avuto nella fondazione dello studio delle lingue degli Aborigeni australiani. E’ stato anche molto attivo nella difesa dei diritti delle popolazioni indigene, e anche un militante impegnato per la pace e la giustizia. E’ riuscito a trasformare il nostro dipartimento al MIT in un centro per lo studio delle lingue indigene e per la difesa attiva dei diritti degli indigeni nelle Americhe e altrove.

 

Aver fatto rivivere  la lingua Wampanoag ha dato nuova vita alla tribù. Una lingua è molto di più che suoni e parole. E’ la depositaria della cultura, della storia, delle tradizioni, l’intero ricco tessuto della vita umana e della società. La perdita della lingua è un colpo grave non soltanto per la  comunità stessa ma per tutti coloro che sperano di comprendere qualche cosa della natura degli esseri umani, delle loro capacità e delle loro conquiste, ed è naturalmente una perdita di particolare gravità per coloro che si interessano della varietà e della uniformità delle lingue umane, una componente centrale delle facoltà mentali umane più alte. Tali risultati possono essere realizzati,  un gesto molto parziale ma significativo verso il pentimento per quei peccati atroci sui quali si appoggiano la nostra ricchezza e  il nostro potere.

 

Poiché  celebriamo gli anniversari, come gli attacchi giapponesi di 70 anni fa, ce ne sono diversi altri importanti che cadono proprio in questo periodo, e che ci possono essere di lezione sia per  istruzione  che per spingerci all’azione.  Ne citerò alcuni.

 

L’Occidente aveva appena celebrato il decimo anniversario degli attacchi terroristici  dell’11 settembre 2011, e di quella che allora, ma non più adesso, veniva chiamata “l’invasione gloriosa” dell’Afghanistan, iniziata poco dopo, e seguita poi presto dall’ancora più gloriosa invasione dell’Iraq.

 

Una conclusione  parziale dell’evento dell’11 settembre si è avuta con l’assassinio del principale sospettato, Osama bin Laden, per mano  dei commando statunitensi che hanno invaso il Pakistan, lo hanno arrestato e poi ucciso,  sbarazzandosi  del corpo senza fare l’autopsia.

 

Ho detto “principale sospettato”, ricordando la vecchia dottrina anche se abbandonata da lungo tempo della ”presunzione di innocenza”. Il numero  attuale dell’importante rivista accademica statunitense di relazioni internazionali presenta varie discussioni sul processo di Norimberga  riguardo ad alcuni dei peggiori criminali della storia.  Leggiamo che “la decisione degli stati Uniti di perseguire legalmente, invece che cercare vendette brutali era stata una vittoria  per la tradizione americana dei diritti e per un particolare  genere di legalismo: punizione soltanto per  coloro che potevano essere riconosciuti colpevoli solo per mezzo un processo giusto con un insieme di protezioni procedurali.” La rivista sembrava aver ragione in quell’epoca di celebrazione dell’abbandono di questo principio in  modo drammatico, mentre la campagna globale di assassinio dei sospetti, e dell’inevitabile “danno collaterale” continua a estendersi, acclamata da molti.

 

Non è però stata acclamata da tutti. Il principale quotidiano del Pakistan ha pubblicato di recente uno studio sull’effetto degli attacchi degli aerei senza pilota e di altri atti terroristici degli Stati Uniti. Ha trovato che “Circa l’80% dei residenti [nelle zone tribali] delle agenzie del Waziristan meridionale e settentrionale, (il termine agenzia indica una divisione amministrativa del Pakistan, corrispondente più o meno a una nostra  provincia, n.d.T.) è stato colpito da disturbi mentali, mentre il 60%  degli abitanti  di Peshawar  tra breve avranno bisogno di assistenza psicologica se questi problemi non verranno affrontati immediatamente, e lo studio ha avvertito che è in discussione la “sopravvivenza della generazione dei nostri giovani”. In parte per queste  ragioni , l’odio verso l’America è salito ad altezze fenomenali e dopo l’assassinio di bin Laden è aumentato ancora di più.  Una delle conseguenze è stato il fatto che hanno sparato al di là del confine contro le basi dell’esercito statunitense di occupazione in Afghanistan e questo ha provocato l’aspra condanna del Pakistan per non essere riuscito a collaborare in una guerra americana  alla quale il Pakistan si oppone fortemente, prendendo la stessa posizione di quando i Russi occupavano l’Afghanistan. Una posizione che allora era stata lodata ed ora viene condannata.

 

La documentazione specialistica e perfino l’ambasciata degli Stati Uniti a Islamabad avvertono che le pressioni sul Pakistan per prendere parte all’invasione statunitense, come anche gli attacchi in Pakistan, stanno “destabilizzando e radicalizzando il Pakistan, con il rischio di una catastrofe geopolitica per gli Stati Uniti e per il mondo che farebbe sembrare  piccola  qualsiasi cosa  dovesse accadere in Afghanistan”, come dice l’analista militare britannico per il Pakistan Anatol Lieven. L’assassinio di bin Laden ha alzato  molto questo rischio in modi che erano ignorati al momento del generale entusiasmo per l’uccisione dei sospetti. I commando statunitensi avevano ordine di combattere per uscire dalla situazione  se fosse stato necessario. Avrebbero avuto sicuramente la protezione aerea e forse altro, nel qual caso ci sarebbe forse stato un grosso scontro con l’esercito pachistano, l’unica istituzione stabile del paese che è profondamente impegnata a difendere la sovranità del Pakistan. Il Pakistan ha un enorme arsenale nucleare che ha la più rapida espansione del mondo.  L’intero sistema è legato con gli Islamisti integralisti che sono un prodotto del forte appoggio Statunitense-Saudita dato al peggiore dei dittatori pachistani, Zia ul-Haq, e al suo programma di integralismo islamico. Questo programma, insieme alle armi nucleari del Pakistan, sono alcune delle eredità di Ronald Reagan. Obama ha ora aggiunto il rischio di esplosioni nucleari a Londra e a New York, se lo scontro avesse portato alla “infiltrazione” di materiali nucleari tra i jiadisti, come si temeva plausibilmente – uno dei molti esempi della minaccia costante di armi nucleari.

 

L’assassinio di bin Laden aveva un nome: “Operazione Geronimo” che ha causato un putiferio  in Messico ed è stata contestata  dalla popolazione indigena degli Stati Uniti.  Altrove però, pochi sembravano comprendere il significato di identificare bin Laden con l’eroico capo degli indiani Apache che aveva guidato la resistenza contro gli invasori, cercando di proteggere il suo popolo dal fato di “quella razza sventurata” che John Quincy Adams ha descritto in modo eloquente. La mentalità imperialista è così profonda che queste cose non possono essere neanche percepite.

 

Ci sono state poche critiche all’Operazione Geronimo – il nome, il modo della sua uccisione e quello che implicava. Tutto questo ha provocato le solite condanne feroci, la maggior parte delle quali non è degna di commento, anche se qualcuna era istruttiva. Quella più interessante  è venuta dal rispettabile commentatore liberale di sinistra, Matthew Yglesias. Ha spiegato pazientemente che “una delle principali funzioni dell’ordine istituzionale internazionale è esattamente di legittimare l’uso della forza militare letale da parte delle potenze occidentali,” e quindi è “incredibilmente ingenuo” indicare che gli Stati Uniti dovrebbero obbedire alla legge internazionale o ad altre condizioni che imponiamo a chi è debole. Le parole non sono una critica, ma un applauso; quindi si possono sollevare soltanto obiezioni dal punto di vista tattico se gli Stati Uniti invadono altri paesi, uccidono e distruggono provocando abbandono, assassinano persone sospette a sua discrezione, e altrimenti adempie ai suoi obblighi di servizio al genere umano. Se le vittime tradizionali vedono considerano la faccenda in modo alquanto diverso, questo semplicemente rivela la loro arretratezza morale e intellettuale. E il critico occidentale occasionale che non riesce a comprendere queste verità fondamentali, può essere liquidato come “scemo”, spiega Yglesias – per caso riferendosi specificamente a  me e io confesso allegramente la mia colpa.

 

Tornando indietro dieci anni fa, dal primo momento è stato chiaro che “l’invasione gloriosa” era tutt’altro. E’stata intrapresa con la consapevolezza che poteva condurre svariati milioni di Afgani sull’orlo della fame e questo è stato il motivo per cui i bombardamenti sono stati aspramente condannati dalle istituzioni umanitarie che sono state costrette a mettere fine alle loro operazioni dalle quali dipendeva la sopravvivenza  di 5 milioni di Afgani. Fortunatamente non è accaduto il peggio, ma soltanto le persone più ottuse dal punto di vista morale non riescono a capire che le azioni sono valutate in termini di conseguenze probabili, non reali. L’invasione dell’Afghanistan non mirava a far cadere il brutale regime talebano, come si è sostenuto in seguito. E’ stato un  ripensamento di cui si è parlato tre settimane dopo l’inizio dei bombardamenti. Il motivo esplicito era che i Talebani non erano disposti a estradare bin Laden  senza prove, che gli Stati Uniti si sono rifiutati di fornire, come si è appreso in seguito, perché praticamente non ne avevano e infatti ancora adesso hanno poco che potrebbe essere valido in un tribunale indipendente sebbene la responsabilità di bin Laden non sia certo in dubbio. I Talebani in effetti hanno fatto delle mosse verso l’estradizione e da abbiamo sempre saputo che c’erano altre opzioni simili, ma sono state tutte messe da parte a favore della violenza  che da allora ha ridotto in pezzi  il paese. Ha raggiunto il suo livello più alto quest’anno che è il decimo  secondo l’ONU, e non si prevede che  diminuisca.

 

Una domanda molto seria che è stata  fatta raramente  allora e per tutto questo tempo, è: c’era un’alternativa alla violenza? Ci sono valide prove che ci fosse. L’attacco dell’11 settembre è stato aspramente condannato all’interno del  movimento jiadista e c’erano buone possibilità di dividere e isolare al-Qaeda. Invece Washington e Londra hanno scelto di seguire il  copione fornito da bin Laden, che aiutava  confermare la sua affermazione che l’Occidente stava attaccando l’Islam e provocando così nuove ondate di terrore.  Michael Scheuer, un importante analista politico della CIA, dal 1996responsabile della caccia a Osama, ha avvertito subito e ha continuato a ripeterlo da allora che “gli Stati Uniti d’America restano l’unico indispensabile alleato di bin Laden.”

 

Queste sono alcune delle conseguenze naturali del rifiuto dell’avvertimento di Muste e  della principale spinta del suo pacifismo rivoluzionario che dovrebbe indirizzarci ad indagare sulle lagnanze  che portano alla violenza e a  occuparsene,  quando sono  legittime, come spesso avviene. Quando si segue quel consiglio, le cose possono andare molto bene. Per anni Londra ha replicato agli atti di terrore dell’IRA con grande violenza, intensificando il ciclo di violenza che ha raggiunto un picco doloroso. Quando invece il governo ha iniziato a dar retta alle lagnanze, la violenza è diminuita e il terrore è di fatto sparito. Ero  a Belfast nel 1993, quando era zona di guerra, e sono tornato l’anno scorso in una città dove c’erano delle tensioni che non erano non certo oltre la norma.

 

Ci sono molte altre cose da dire su quello che chiamiamo il 9/11 e le sue conseguenze, ma non voglio terminare senza almeno citare qualche altro anniversario.  Si dà il caso che proprio adesso sia il 50° anniversario della decisione del Presidente Kennedy  di intensificare il conflitto nel Vietnam del sud con una repressione crudele, che aveva già ucciso decine di migliaia di persone e alla fine aveva suscitato una reazione, che il regime clientelare di Saigon non poteva controllare, all’invasione totale degli Stati Uniti: bombardamenti eseguiti dall’aviazione statunitense, uso del napalm, guerra chimica che ha provocato subito la distruzione dei raccolti per  privare la gente della forza che forniva loro il cibo, e programmi per mandare milioni di sud vietnamiti in veri campi di concentramento dove potevano essere “protetti” dai guerriglieri che,  certamente stavano appoggiando.

 

Non abbiamo tempo di esaminare le spaventose conseguenze di tutto questo e non ci sarebbe alcun bisogno di farlo. Le guerre hanno lasciato tre nazioni devastate, molti milioni di morti, senza contare le infelici vittime dell’enorme assalto bellico fatto con la armi chimiche  che ha provocato conseguenze anche sui bambini che nascono oggi.

 

C’erano poche persone ai margini che  obiettavano – “uomini stravaganti dietro le quinte” “come erano definiti dal Consigliere alla sicurezza Nazionale di Johnson e Kennedy McGeorege Bubdy, ex preside all’Università di Harvard.

 

Un altro anniversario che dovrebbe essere nelle nostre menti oggi è il massacro nel cimitero  di Santa Cruz a Dili, avvenuto proprio 20 anni fa, una delle più pubblicizzate tra le moltissime scioccanti atrocità commesse durante l’invasione indonesiana e l’annessione di Timor Est. L’Australia si era unita agli Stati Uniti per garantire il riconoscimento formale all’occupazione dell’Indonesia dopo la sua invasione che era stata  di fatto un  genocidio.  Il Dipartimento di stato degli Stati Uniti ha spiegato al Congresso nel 1982 che Washington riconosceva sia l’occupazione indonesiana che il regime della “Kampuchea Democratica” (Cambogia) degli Khmer Rossi. La giustificazione che venne fornita era che “indubbiamente” i Khmer Rossi “rappresentavano meglio il popolo cambogiano di quanto il partito Fretilin rappresentasse  il popolo di Timor” perché “in Cambogia fino dall’inizio c’è stata questa continuità,”, cioè dal 1975, quando i Khmer Rossi hanno preso il potere.

 

I mezzi di informazione e i commentatori politici sono stati abbastanza cortesi da far languire nel silenzio tutte questi eventi, un’impresa non trascurabile.

 

Pochi mesi prima del massacro di Santa Cruz, il Ministro degli Esteri Garreth Evans ha fatto le sue famose dichiarazioni eliminando le preoccupazioni per l’invasione omicida e  per l’annessione con il motivo che “il mondo è un posto abbastanza ingiusto…disseminato ..di  esempi di acquisizioni fatte con la forza,” quindi possiamo distogliere lo sguardo mentre crimini terrificanti continuano con il forte appoggio delle potenze occidentali. Non proprio distogliere lo sguardo, perché nello stesso momento  Evans stava trattando il furto dell’unica risorsa di Timor Est con il suo socio Ali Alatas, il ministro degli  Esteri indonesiano, producendo quello che sembra essere l’unico documento ufficiale dell’Occidente che riconosce Timmo Est come una provincia indonesiana.

 

Anni dopo, Evans dichiarava che “rifiuto assolutamente l’idea che avessimo qualche cosa di cui rispondere dal punto di vista morale o comunque   di modi diversi da quelli con cui abbiamo condotto le relazioni  tra Indonesia e Timor Est,” – una posizione che può essere adottata e perfino rispettata, da coloro che risultano vittoriosi.  Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna una domanda del genere non si fa neanche nella società molto educata.

 

E’ solo giusto aggiungere che, in netto contrasto, molta della popolazione Australiana e dei mezzi di informazione, erano in prima linea a esporre e a opporsi a quei crimini che sono tra i peggiori dell’ultimo mezzo secolo. Nel 1999, quando i crimini hanno subito una nuova intensificazione, hanno un avuto un ruolo importante nel convincere il presidente degli Stati Uniti Clinton  che in settembre doveva informare i generali indonesiani che il gioco era finito e a quel punto essi si sono immediatamente ritirati permettendo alla forza di pace guidata dagli Australiani di entrare.

 

Anche in questo caso  ci sono delle lezioni per il pubblico. Gli ordini di Clinton avrebbero potuto essere rilasciati in qualsiasi momento degli ultimi 25 anni, ponendo fine ai crimini. Lo stesso Clinton avrebbe potuto rilasciarli 4 anni prima, nel 2005, quando il generale Suharto è stato accolto a Washington come “il tipo di persona che fa per noi”. Gli stessi ordini si sarebbero potuti dare 20 anni prima, quando Henry Kissinger diede “la luce verde” e l’ambasciatore all’ONU Patrick  Moynihan espresse il suo orgoglio per aver reso la Nazioni Unite “assolutamente inefficaci” per qualsiasi misura atta a dissuadere l’invasione indonesiana; egli fu in seguito riverito per la sua coraggiosa difesa della legge internazionale.

 

Non poteva certo esserci  una rappresentazione più dolorosa delle conseguenze  del fatto di non aver seguito la lezione di Muste. Dovremmo aggiungere che in una vergognosa esibizione di subordinazione al potere, alcuni rispettabili intellettuali occidentali si sono abbassati al punto di descrivere questo vergognoso resoconto come una rappresentazione eccezionale della norma umanitaria del “diritto di proteggere.”

 

Coerente con il “pacifismo rivoluzionario”, la Fondazione per la pace di Sidney ha sempre dato importanza alla la pace con la giustizia. Le richieste di giustizia possono non realizzarsi molto tempo dopo che la pace è stata dichiarata. Il massacro di Santa Cruz di 20 anni fa può servire come  rappresentazione di questo. Un anno dopo il massacro, le Nazioni Unite hanno adottato la Dichiarazione di protezione di Tutte le Persone oggetto di  sparizione forzata, che afferma che “Gli atti che costituiscono la sparizione forzata saranno considerati come un reato continuo  fino a quando gli esecutori continueranno a nascondere la sorte e il luogo dove si trovano   le persone che sono sparite e fino a quando che questi fatti non saranno chiariti”. Il massacro è quindi un crimine  continuo: il destino di chi sparisce è sconosciuto, e gli autori dell’crimine non sono stati portati davanti alla giustizia, compresi coloro che  continuano a nascondere i reati di complicità e di partecipazione. E’ soltanto un’indicazione di quanta strada dobbiamo fare per elevarci a un livello rispettabile di comportamento civile.

 

 

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

 

URL: http://www.zcommunications.org/2011-city-of-sydney-peace-prize-lecture-by-noam-chomsky

 

Fonte: Sydney Peace Blog

 

 

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

© 2011 ZNETItaly–Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giustificazione morale

30 domenica Ott 2011

Posted by Redazione in Economia, Mondo, Noam Chomsky

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11 settembre, 99%, Afghanistan, Arabia Saudita, austerità, BCE, brasile, BRIC, Bush, CIA, Cina, concentrazione di ricchezza, droni, egitto, Emirati Arabi Uniti, FBI, figlio unico, finanziarizzazione, Francia, Germaniia, Gheddafi, grecia, Guantanamo, India, inflazione, Inghilterra, iran, libia, Medio Oriente, Obama, Osama bin Laden, pacchetto di stimolo, pakistan, politica estera, Portogallo, presunzione d'innocenza, primavera araba, recessione, Russia, Shanghai Cooperation Organization, Siria, spagna, stagnazione, terrorismo, triumvirato imperiale, Tunisia, Turchia, Unione Africana, Unione Europea, usa, Yemen

 

di Noam Chomsky e Dean Carroll (27 ottobre 2011)

 

Tu sei stato uno dei principali critici della politica estera statunitense in passato. Qual è il tuo punto di vista sulla prestazione in quest’area di Barack Obama da presidente, da quando ha assunto la carica? So che sei stato critico riguardo alla missione per uccidere Osama bin Laden.

Esisteva un principio nella legge anglo-statunitense chiamato principio d’innocenza sino a che la colpevolezza non sia provata in tribunale.  Quanto un sospetto viene preso e può facilmente essere condotto in giudizio, assassinarlo è semplicemente un crimine.  Per inciso, anche l’invasione del Pakistan è stata una violazione della legge internazionale.

C’è allora una qualsiasi giustificazione morale per gli attacchi di droni della CIA in paesi come lo Yemen e il Pakistan, che hanno presumibilmente avuto luogo durante la dirigenza della Casa Bianca da parte di Obama?

Non c’è alcuna giustificazione per gli assassinii mirati.  Erano cose che avvenivano in precedenza, sotto l’ultimo presidente, ma l’amministrazione Obama ha esteso procedure precedenti a una campagna globale di assassinii diretta contro persone sospette di incoraggiare altri a compiere quelle che gli Stati Uniti definiscono azioni terroristiche. Che cosa sia definito “azione terroristica” è qualcosa che solleva questioni piuttosto serie, e questo è un eufemismo.  Si prenda, ad esempio il caso di Guantanamo di un quindicenne che è stato accusato di aver preso un fucile per difendere il suo villaggio, in Aghanistan, quando è stato attaccato da soldati statunitensi. E’ stato accusato di terrorismo e poi inviato a Guantánamo per un totale di otto anni. Dopo otto anni di una prigionia nei quali quel che succede non è un segreto, si è dichiarato colpevole ed è stato condannato ad altri otto anni di prigione. E’ terrorismo questo? Un ragazzo di quindici anni che difende il suo villaggio dal terrorismo?

Dunque tu pensi che, potenzialmente, l’approccio alla politica estera di Obama sia stato peggiore di quello di George W. Bush, in certe aree?

In termini di terrorismo di stato (ed è così che chiamerei questo) devo dire di sì, e ciò è già stato fatto presente dagli analisti dell’esercito.  La politica dell’amministrazione Bush era di rapire i sospetti e di inviarli a prigioni segrete in non erano trattati molto educatamente, come sappiamo.  Ma l’amministrazione Obama ha intensificato quella politica arrivando a non rapirli, ma a ucciderli.  Ora, ricordiamolo, si tratta di sospetti, anche nel caso di Osama bin Laden.  E’ plausibile che abbia effettivamente pianificato gli attacchi dell’11 settembre, ma quel che è plausibile e quel che è provato sono due cose diverse. Merita essere ricordato che otto mesi dopo gli attacchi, nell’aprile 2002, il capo dello FBI, nella sua più dettagliata comunicazione alla stampa, fu soltanto in grado di affermare di ritenere che il complotto fosse stato ordito in Afghanistan da bin Laden ma realizzato negli Emirati Arabi Uniti, in Germania e negli Stati Uniti. Da allora non è stata prodotta alcuna prova certa, almeno pubblicamente. La commissione sull’11 settembre, creata dal governo, ha ricevuto una quantità di materiale che costituiva una prova indiziaria che ciò era ragionevolmente plausibile, ma è dubbio che una qualsiasi parte di esso reggerebbe in un tribunale indipendente.  Le prove di cui si dispone sono state fornite alla commissione dal governo in base a interrogatori di sospetti in condizioni molto crudeli, come sappiamo.  E’ altamente improbabile che un tribunale indipendente avrebbe potuto prendere sul serio prove simili.

Come vedi il conflitto libico? Le forze occidentali, europee in particolare, hanno fatto bene a  intervenire?

Le tre tradizionali potenze imperiali, Inghilterra, Francia e Stati Uniti, hanno partecipato a una guerra civile dalla parte dei ribelli che non aveva nulla a che vedere con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Che l’azione del triumvirato imperiale sia stata appropriata è questione che penso debba essere discussa e dibattuta.  Certamente non è stata, internazionalmente, una mossa popolare; voglio dire, viene definita comunità internazionale, ma la maggior parte del mondo vi si oppone.  La Libia è un paese africano e l’Unione Africana sollecitava negoziati e diplomazia, ed è stata ignorata.  Brasile, Russia, India e Cina – i paesi BRIC – hanno tenuto all’epoca una riunione in Cina ed hanno anche diffuso una dichiarazione che sollecitava la diplomazia e i negoziati. Persino la Turchia, all’inizio, è stata tiepida e l’Egitto non ha appoggiato l’azione, e dal mondo arabo non è venuto praticamente alcun sostegno.

La domanda vera è: il mandato dell’ONU di proteggere i civili poteva essere attuato mediante la diplomazia? La Libia è una società altamente tribale e vi sono una quantità di conflitti tra le tribù; chi sa cosa verrà fuori da tutto questo!  Il governo di transizione ha già sottolineato che vi sarà una stretta osservanza della legge della Sharia e che verranno negati i diritti delle donne e così via.  Pochissimi in occidente sanno granché di tutto questo.  D’altro canto c’è stato un enorme sostegno popolare a farla finita con Gheddafi, che era un prevaricatore terribile.

E vedi un allargamento e un approfondimento della Primavera Araba con il passare del tempo e con i ribelli in stati come la Siria e l’Iran che prendono coraggio dalle conquiste dei già oppressi cittadini libici?

L’Iran è un caso diverso; ha un regime oppressivo, ma una situazione molto diversa. La Siria è in una situazione estremamente brutta che sta degenerando in guerra civile.  Nessuno ha proposto una politica sensata per gestire la cosa.  In larghe parti del mondo arabo le rivolte a favore della democrazia sono state rapidamente represse.  In Arabia Saudita, lo stato islamista più radicalmente estremo e alleato più stretto degli Stati Uniti e dell’Inghilterra, ci sono stati timidi sforzi tentativi di protesta e sono stati repressi parecchio rapidamente, in modo tale che la gente ha avuto paura di scendere di nuovo in strada.  Lo stesso vale per il Kuwait e per l’intera regione, la regione del petrolio.  In Bahrain le proteste sono state inizialmente tollerate prima di essere represse violentemente con l’assistenza della forza d’invasione guidata dai sauditi in modi molti brutti, come irrompere in un ospedale ed aggredire medici e pazienti.

In Egitto e in Tunisia c’è stato un progresso significativo, ma limitato.  In Egitto l’esercito non ha mostrato alcuna intenzione di allentare il suo controllo sulla società, anche se ora il paese ha una stampa libera e un movimento sindacale è stato in grado di organizzarsi ed agire in modo indipendente. Anche la Tunisia ha già una storia di attivismo sindacale. E pertanto il progresso verso la democrazia e la libertà è correlato molto strettamente con l’ascesa dell’attivismo militante di lungo termine. Ciò non dovrebbe sorprendere gli occidentali perché è esattamente quel che è accaduto in occidente.

Come vedi dispiegarsi la geopolitica nei prossimi decenni, con l’ascesa dei BRIC, la mancanza di stabilità in Medio Oriente e il declino dell’occidente?

Gli USA e l’Europa hanno problema in qualche misura diversi.  L’Europa fronteggia problemi finanziari molto gravi, questo non è un segreto, che sono in parte riconducibili all’approccio relativamente umano all’integrazione dei paesi più poveri con le nazioni più ricche.  Prima che fosse creata l’Unione Europea e i paesi del sud più poveri, come la Grecia, il Portogallo e la Spagna, fossero fatti entrare, c’erano stati tentativi di ridurre la nette differenze tra i paesi avanzati ricchi e quelli più poveri, in modo tale che i lavoratori dell’Europa settentrionale non dovessero affrontare la concorrenza della classe lavoratrice impoverita e sfruttata del sud. Ci sono stati finanziamenti compensativi e altre misure che, naturalmente, non hanno eliminato il divario, ma lo hanno rimosso in misura sufficiente a far sì che le nazioni più povere fossero fatte entrare [nella UE] senza effetti pesanti su quelle ricche del nord.

L’Europa sta ora pagando il prezzo di un approccio relativamente umano e il suo non aver gestito alcuni problemi molto seri, come la straordinaria indipendenza della Banca Centrale Europea e la sua dedizione religiosa alle politiche anti-inflattive, che non sono quelle che dovrebbero essere adottate in un periodo di declino e di recessione. L’Europa dovrebbe fare l’opposto, come gli Stati Uniti dove le politiche sono in qualche modo più realistiche.

Quale ruolo pensi svolgeranno l’Europa e gli Stati Uniti in questo nuovo ordine mondiale che potenzialmente riflette la multipolarità piuttosto che l’egemonia occidentale?

L’Europa e gli Stati Uniti rappresentano ancora una parte enorme dell’economia globale; non ci sono dubbi al riguardo. Se l’Europa riesce a rimettere le proprie cose in ordine, e io penso che dovrà modificare le sue politiche economiche, ha delle opzioni.  Ciò di cui l’Europa ha bisogno ora non è un programma d’austerità, bensì  un pacchetto di stimolo che ripristini la crescita in modo da potere in seguito occuparsi del problema del debito.  Lo stesso vale per gli Stati Uniti.  E’ disponibile una quantità di denaro per programmi di stimolo in entrambe le regioni.  Ciò potrebbe aumentare il debito, ma quello è un problema più a lungo termine.  Le nostre società sono ricolme di ricchezza; la questione è come si intende utilizzarla.

Il tema comune di tutto la letteratura sugli affari internazionali è quello che viene chiamato il declino dell’occidente e la conclusione, a corollario, che il potere globale sta nuovamente passando alle potenze emergenti, Cina e India.  Tale tesi non è plausibile; la crescita economica della Cina è stata per molti versi decisamente spettacolare, ma si tratta di paesi molto poveri.  Il reddito pro capite è ben al di sotto di quello dell’occidente e hanno enormi problemi interni. La Cina, considerata il principale motore economico, è oggi ancora un impianto di assemblaggio.  Se si calcola accuratamente  il deficit commerciale USA nei confronti della Cina in termini di valore aggiunto, si rileva che il dato scende di circa il 25%, mentre aumenta nei confronti del Giappone, di Taiwan e della Corea approssimativamente della stessa percentuale.  Il motivo è che le parti, i componenti e l’alta tecnologia affluiscono in Cina da società periferiche, più industrializzate, così come dagli USA e dall’Europa, e la Cina assembla il tutto. Se si acquista un iPad o roba simile sul quale c’è scritto “esportato dalla Cina”, ben poco del valore aggiunto è cinese.

Certamente, in prosieguo la Cina salirà sulla scala della tecnologia, ma si tratta di una salita difficile e il paese ha problemi interni molto gravi, incluso un problema demografico.  Il periodo di crescita del paese è stato associato a un grande aumento di lavoratori giovani, tra i ventenni o trentenni, ma le cose stanno cambiando, in parte a motivo della politica del “figlio unico”.  Quel che sta arrivando è un declino della popolazione in età da lavoro e un aumento della popolazione più anziana. I cinesi senza dubbio cresceranno e saranno importanti, ma l’India è ancor più impoverita con centinaia di milioni di persone che vivono in miseria. Il mondo sta diventando vario e sta arrivando anche un secolo più vario.  Con l’ascesa dei BRIC, è in arrivo una distribuzione del potere. Per quanto riguarda il declino statunitense, esso è iniziato negli anni quaranta, quando possedeva letteralmente,  con incredibile sicurezza, la metà della ricchezza e della produzione del mondo; non c’era mai stato nulla di simile nella storia. Ciò ha cominciato a declinare molto rapidamente e la cosiddetta “perdita della Cina” si è verificata nel 1949.  Si dava per scontato che noi possedessimo il mondo, che ne fossimo proprietari.  Ben presto ci fu la “perdita del Sud Est Asiatico”. E per  che si sono avute le guerre inter-cinesi e il colpo di stato in Indonesia.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a quella che è stata chiamata la “perdita del Sud America”. Il Sud America ha cominciato a muoversi in direzione dell’indipendenza e dell’integrazione e gli Stati Uniti sono stati espulsi da tutte le basi militari dell’area. Ed è in corso la creazione di unioni in America Latina, Sud America, Africa e Medio Oriente. L’occidente e i suoi alleati stanno cercando con forza di controllare ciò, ma la cosa sta proseguendo.  E in Cina vi è l’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, che comprende gli stati dell’Asia Centrale, con Russia, India e Pakistan quali osservatori. Gli Stati Uniti sono stati esclusi e, sinora, si tratta un’organizzazione internazionale basata sull’energia, basata sull’economia.  E tuttavia è un’altra parte di questa diversificazione del potere nel mondo.

Il declino statunitense è in misura significativa autoinflitto. A partire dagli anni ’70, le economie occidentali hanno operato una svolta netta.  Nel corso della storia la tendenza era stata in direzione della crescita e della speranza. Ciò è cambiato negli anni ’70, quando c’è stata una svolta dell’economia verso la finanziarizzazione e il trasferimento della produzione all’estero a motivo del declino del tasso di profitto dell’industria.  Quella che si è verificata è stata un’altissima concentrazione della ricchezza, per la maggior parte in una parte minuscola del settore finanziario, e la stagnazione e il declino per la maggior parte della popolazione.  Oggi abbiamo slogan del tipo “99% e 1%”. Le cifre non sono del tutto corrette, ma il quadro generale lo è. E’ un problema molto serio e ha portata a una ricchezza spettacolare in pochissime tasche, anche se ciò è molto dannoso per i paesi interessati. Le proteste cui assistiamo in tutto il mondo in questo momento sono un altro sintomo di ciò.

 

Noam Chomsky è professore di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, negli Stati Uniti. E’ autore di più di un centinaio di libri, compreso ‘Current Issues in Linguistic Theory’ [Problemi attuali della teoria linguistica].

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/moral-justification-by-noam-chomsky

Fonte: Public Service Europe

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 

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Intervista a Chomsky 4: il sistema politico (parte 2)

27 giovedì Ott 2011

Posted by Redazione in America, Economia, Michael Albert, Noam Chomsky

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Al Gore, alta tecnologia, Barry Eichengreen, bassa tecnologia, BP, Bretton Woods, Chrysler, COINTELPRO, ecologia, esternalità, Exxon Mobil, finanziarizzazione, Ford, General Electric, General Motors, John Eatwell, Lance Taylor, morte per fame, New Deal, riscaldamento globale, Roosevelt, Tom Ferguson, vegetarianismo

 

 
 

 

di  Noam Chomsky (26 ottobre 2011)

Trascrizione dello Z Video DVD Chomsky Sessions 4: The Political System, Parte 2 di un’intervista con Michael Albert e Noam Chomsky (http://www.zcommunications.org/zstore/products/114)

Abbiamo già parlato un po’ di questioni ecologiche. Pensi che il riscaldamento globale si stia verificando, in gran parte causato dall’uomo e suscettibile di essere corretto dall’uomo? Devo porti la domanda, naturalmente, perché c’è un numero crescente di persone che risponderebbe di no.

Non ho alcuna particolare competenza tecnica, ma non vedo il minimo motivo per dubitare delle prove presentate o di mettere in discussione la schiacciante unanimità degli scienziati. E dunque sì, lo do per scontato. E anche che sia antropogenico in misura sostanziale.

Come interpreti l’apparente volontà del governo e di quelli che sono in condizioni di influenzare, concretamente, in forza della propria attività, quel che accade nel mondo, i ricchi e potenti, di limitarsi a permettere la calamità probabile o almeno stare a guardare mentre si verifica?

La mia sensazione è che persone come, diciamo, i direttori generali di imprese come la Exxon Mobil o la General Electric, sulla maggior parte delle cose abbiano le stesse convinzioni, sai, di molti professori.  Sanno che sta succedendo. E in realtà non lo mettono in discussione.  C’è una specie di risposta standard – che non è del tutto falsa – ovvero che essi sono concentrati su problemi più a breve termine.  Devono assicurarsi che il saldo di bilancio del prossimo trimestre sia abbastanza buono o altrimenti perdono lo stipendio e quel genere di cose.  Questa parte è vera, ma non va sufficientemente in profondità.

Andando più a fondo, si ritorna a quello di cui parlavamo prima. Ciò è parte di un’economia di mercato. Voglio dire, non abbiamo in realtà un’economia di mercato, è qualcosa del tipo di un’economia di quasi-mercato.  Ma ci sono elementi di mercato nell’economia.  E tra tali elementi di mercato vi è il fatto che si debbono soltanto perseguire interessi a breve termine, diversamente si è buttati fuori.  Li perseguirà qualcun altro.

Supponi di avere tre case automobilistiche: Ford, General Motors e Chrysler, diciamo. Immaginiamo che siano paragonabili. E supponiamo che una di esse, ad esempio la GM, dica: OK, dedicherò le mie risorse a realizzare macchine migliori tra dieci anni.  Tra dieci anni non sarà più in circolazione.  E’ così che funziona il mercato. Nella misura in cui la concorrenza è limitata, così come effettivamente è, si è costretti a concentrarsi solo sui profitti e vantaggi a breve termine o altrimenti si è fuori gioco. Di fatto, nel sistema legale statunitense è un dovere legale dei direttori generali. Gli economisti hanno un termine per questo. Si chiamano esternalità, cose che si mettono più o meno in nota a piè di pagina. E vale per qualsiasi transazione.

La versione più estrema è quella del capo, o quel che è, della General Motors: “Presterò attenzione al fatto che in effetti influenziamo il riscaldamento globale. Ciò significa prestare attenzione a qualcosa che colpisce tutti gli altri; i miei profitti scenderanno e andrò in fallimento. No, non posso farlo.”

Prendiamo, ad esempio, la crisi finanziaria. Voglio dire, ora i grandi economisti parlano costantemente di questo, del rischio sistemico.  Non abbiamo prestato abbastanza attenzione al rischio sistemico.  Certo, ovviamente non lo abbiamo fatto.  Non si può.  E naturalmente questo è stato evidenziato già anni fa.  Dieci anni fa due economisti piuttosto ben noti, John Eatwell e Lance Taylor, hanno scritto un libro, intitolato ‘Global Finance and Risk” (2001) [Finanza globale e rischio globale].  Fondamentalmente ciò su cui richiamavano l’attenzione era il fatto che, poiché il rischio sistemico non è tenuto in considerazione, è un’esternalità, ci sarà una catastrofe. Voglio dire, significa che si sta sottoquotando il rischio, ce n’è più di quanto si dovrebbe assumere, e così, certo, ci sarà un crollo.  E poi ci sono altri fattori, simili, incentivi perversi e via dicendo.  Ma è semplicemente qualcosa di incorporato nel sistema.  Se, diciamo, tu ed io facciamo un affare, per esempio tu mi vendi un’auto o roba simile … voglio dire, se abbiamo il cervello che funziona, cercheremo di concludere un affare buono per noi.  Ma non presteremo attenzione agli effetti sugli altri. Come la congestione del traffico o l’inquinamento e i prezzi della benzina che aumentano.

A meno che il mercato non ne tenga conto, cosa che non fa.

Una delle ben note inefficienze del mercato. Ogni studente universitario lo apprende nei corsi per matricole. E poi lo dimentica.

Questo spiega perché i direttori generali e i potenti dell’economia, indipendentemente dai propri desideri, dai propri desideri personali  (essi possono essere terrorizzati dal riscaldamento globale) non possono far nulla per gestire la cosa. O non possono far nulla in quel campo specifico …

Quel che fanno è interessante. Prendiamo la British Petroleum, che è considerata molto progressista da questo punto di vista. Quel che cerca di fare è prendersi una quota del mercato delle tecnologie alternative. Immagina che “OK, quello diventerà un mercato redditizio, e così ci occuperemo di pannelli solari” e così via.

C’è un’altra strada. Prendiamo, ad esempio, una società che anni fa abbia avuto qualcuno al vertice  che era antirazzista.  Di fatto non può assumere, negli Stati Uniti, neri con salari superiori a quelli che già corrisponde  perché, anche se desidera farlo, il mercato glielo impedisce, perché gli altri non lo fanno e sarebbe messo fuori mercato. Ma il governo potrebbe approvare una legge che dice che si deve …

Così quel che faranno sarà trasferire la produzione in Messico e poi in Cina e così via. C’è in realtà uno studio piuttosto interessante, un lavoro di Tom Ferguson, che è una delle opere  migliori  che io conosca sull’economia politica. Egli, ad esempio, ha condotto una quantità di studi sul New Deal e questo è qualcosa che risulta anche altrove.  Quello che ha scoperto è che durante il New Deal, Roosevelt aveva un sostegno parecchio buono da un settore particolare dell’industria: l’alta tecnologia,  un’industria orientata all’internazionalità, persone come [Gerard] Swope, capo della GE, erano molto fortemente a favore del New Deal. D’altro canto, ad esse si opponeva appassionatamente la bassa tecnologia, un’industria a occupazione intensiva orientata all’interno.  La General Electric – basata intensivamente sul capitale – vuole una forza lavoro disciplinata, non la vuole scompaginata, e non è una gran spesa per essa, dunque OK, accettiamo i sindacati.  Sono orientati all’internazionalità, così vogliono le politiche di promozione delle esportazioni del New Deal.  Per l’industria manifatturiera è praticamente l’opposto.  I costi del lavoro fanno una gran differenza.  Non vogliono una forza lavoro sindacalizzata, non gli importa granché del commercio internazionale. Così abbiamo questa diversità di sostegno politico.

Ma ritorniamo al governo. Non per dire che non abbia limiti, ma la cosa è ancora leggermente diversa.  E io posso certo immaginare … forse sono ingenuo, ma posso certamente immaginare un presidente, Obama, o altri, che indirizza la sua carica, il pulpito da bullo  tutto il resto, a spaventare a morte il paese riguardo al riscaldamento globale.  Potrebbe essere manipolativo, ma si può immaginare che venga fatto.  E si può immaginare, come conseguenza,  una sollevazione potente che creerebbe poi un contesto in cui le imprese o, più o meno, le dinamiche del mercato siano schiacciate e si possa ottenere qualche risultato. Ma non sembra che venga fatto questo.

E’ successo, sul serio. Prendi Al Gore.

Ha tentato.

Ha tentato. Ed è stato fatto a pezzi. E’ stato denunciato dagli elitari liberali, non se ne sa più nulla; era uno che prendeva gli aerei, sai.  Il punto è che ci sono sempre potenti forze contrarie. E la diffamazione è una delle tattiche più facili da realizzare.  Puoi inventare quante bugie vuoi.  E si possono far apparire ridicole le persone, se si ha abbastanza potere.

Sì, avrebbe potuto funzionare, ma avrebbe richiesto un mucchio di organizzazione popolare.  In realtà Roosevelt ce la fece. In misura limitata, ma ce la fece.  Ma aveva dietro di sé un movimento popolare di massa.  Il movimento sindacale si era organizzato sul serio e c’era una quantità di altri movimenti, il paese era diventato parecchio radicale.  Così, certo, egli ebbe una base per attaccare i banchieri e così via, e per istituire alcune leggi ragionevoli, sai, la Glass-Seagull, l’assistenza sociale, la legge Wagner e altre; cose non irrilevanti.

Giusto. Questa è una domanda un po’ laterale.  Tu non sei vegetariano, vero? Pensi che ci sia una base morale per l’essere vegetariani e pensi che potrebbe emergere ….?

Penso che ci sia una questione morale in questo. Ricevo tonnellate di lettere al riguardo.  Ma, voglio dire, c’è una questione morale riguardo a una quantità di cose. C’è una base morale per il fatto che assistiamo a morti per fame, morti umane, tra i bambini, trascuriamo gli altri …  tra i soli bambini, le morti per fame, o per malattie collegate alla fame, sono circa il doppio del livello del Ruanda. Non in cento giorni, ma ogni giorno. OK, questo è un problema.

Ora, puoi dirmi, beh allora occupiamoci di entrambe le cose, e citare un migliaio di altri problemi.  Occupiamoci di tutti.  Succede che il tempo e le energie siano finiti.  Il che significa che devi fare delle scelte.  Non puoi fare tutto.  Così devi fissarti delle priorità.  Potrei scegliere altri venti casi, ma prendiamo questo.  Immagina di avere la possibilità di scegliere tra il dedicare energie e sforzi allo scrivere libri, e al tenere discorsi, e via dicendo, riguardo al tentativo di salvare i bambini, il che significa sollecitare qualche centesimo al giorno, voglio dire, non ci vuol molto.  Uno sforzo piccolissimo per interrompere le morti quotidiane di bambini a un livello pari al doppio di quello del Ruanda.  E c’è una scelta tra il fare ciò e sostanzialmente condurre un genocidio di massa di animali addomesticati. Perché è questo che il vegetarianismo significa. E’ uno sforzo per ridurre le sofferenze degli animali.

Immagina che diventiamo tutti vegetariani. La prima cosa che si dovrebbe fare sarebbe di eliminare quasi tutti gli animali addomesticati perché sono allevati per farci mangiare carne.  E’ per questo che abbiamo le mucche, i polli, le pecore, sai, e via discorrendo.  Così, in qualche modo, bisogna farla finita con loro. Non puoi lasciarli semplicemente riprodurre e prolificare. Prima di tutto, morirebbero di fame se non gli si desse da mangiare, e così si tratterebbe comunque di un genocidio. E quella è una delle conseguenze immediate del vegetarianismo. Si può far finta di non accorgersene, ma è così. Dunque, bene, queste sono cose da equilibrare.

Il fatto che un numero significativo di persone apparentemente, o presumibilmente, davvero benintenzionate, premurose, sensibili dedichino quantità enormi di tempo a interessarsi degli animali e non agli esseri umani, ti colpisce come un’altra indicazione del fallimento della sinistra? Perché quel che fondamentalmente avvertono è: forse possiamo riuscire su questo fronte; quest’altro fronte è senza speranza.

Non possono avere successo su quel fronte. Guarda, io non voglio criticare particolari persone. In realtà anche tra i miei figli, ad esempio.

Vegetariani?

Beh, uno è vegetariano. L’altro semivegetariano.  OK, hanno fatto le loro scelte. Va bene così, li rispetto, fanno altre cose che sono notevoli, sai. E le persone possono fare queste scelte e possono essere scelte sensate per quanto riguarda le loro vite, forse possono dedicare del tempo …

Non parlo di questo. Parlo di quelli che sono attivisti dei diritti degli animali, che dedicano tempo ed energie a creare organizzazioni per questo …

Loro hanno fissato le loro priorità, io ho fissato le mie; tutti dobbiamo farlo. Penso che possiamo capire, reciprocamente, le ragioni di ciascuno; possiamo avere giudizi diversi su come dovrebbero essere classificate le priorità.

Un’altra cosa che, da attivisti, si incontra è che ci sono persone che sentono che il tavolo è truccato, che quel che fanno non ha efficacia, che non c’è possibilità di vincere e allora, di nuovo, cercano di sostenere, basandosi sulla storia, che: “Beh, guarda, c’è il crimine, ci sono le torture, c’è la povertà, ci sono forme riciclate di oppressione. Non importa quel che fai, è come far rotolare un masso su per una collina; alla fine viene giù e ti schiaccia. E allora perché darsi pensiero? Il municipio è troppo forte per poterlo combattere. Lo stato è troppo forte.”  Come tratti questo?

La storia non dice quello. Quel che la storia ci dice è che un mucchio di cose sono state conquistate. Non è stato facile, non è stata una vittoria completa.  Ci sono sempre problemi, si torna indietro, ma una quantità di cose che erano considerate accettabili non tanto tempo fa, ora sono considerate del tutto spregevoli.  Voglio dire, possiamo scorrere la lista. E’ molto facile.

Ora, supponi che qualcuno si ripresenti e dica: “Beh, ora è diverso. Ora è molto più dura.” Beh, è chiaramente falso.  Ora è molto più facile.  Voglio dire, le forze della repressione che esistono oggi sono nulla in confronto con quelle che esistevano in passato. Abbiamo l’eredità di persone che hanno lottato per migliorare le cose, e siamo molto più liberi.  Abbiamo molte più opportunità; la repressione statale esiste, esistono altri tipi di repressione, ma sono nulla in confronto al passato.  Voglio dire, è estremamente improbabile che oggi, ad esempio, il governo possa scatenare  la fobia dei rossi di Wilson, o il CONTELPRO, che non è molto in là nel passato.  Possono fare delle cose, ma hanno perso la capacità di usare la forza. E noi lo sappiamo. E lo sanno anche loro.

Questa è una delle principali ragioni dello sviluppo dell’industria delle ‘pubbliche relazioni’  e del moderno sistema della propaganda. I sistemi del potere  sapevano e hanno riconosciuto e, di fatto, hanno detto – paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti – di avere  sostanzialmente perso la capacità del controllo della gente mediante la violenza. E dunque la controlleranno in altri modi. E gli altri modi per farlo consistono nel controllare le opinioni e gli atteggiamenti e dunque è stata sviluppata un’enorme industria per far questo.

In realtà lo si vede anche proprio nelle istituzioni finanziarie. Voglio dire, prendi una tradizionale storia accademica delle istituzioni finanziare; Barry Eichenreich, uno dei principali economisti, storici dell’economia.  E’ molto chiaro al riguardo. Dice, ovviamente, che i sistemi di mercato impongono, se sono lasciati a se stessi, enormi fardelli alla gente.  Un mucchio di persone dovrà soffrire malamente.  Sai, crolli e così via.  Ma nel diciannovesimo secolo non era un grande problema. Non ci si poteva far nulla.  Ma poi egli prosegue dicendo che con l’aumento della … penso che lui la chiami politicizzazione delle masse, sai, la formazione di partiti parlamentari del lavoro e di sindacati e tutto il resto  … è diventato più difficile imporre alla popolazione i costi dei sistemi di mercato.

Così, dopo la seconda guerra mondiale, quando è stato creato un nuovo sistema globale, il sistema di Bretton Woods, Keynes e Harry Dexter White … quel che hanno fatto è stato di istituire controlli sui capitali.  Controlli sui movimenti di capitale e controlli sulla speculazione, fissazione dei cambi.  Li hanno introdotti come modi per compensare l’incapacità di distribuire i costi dei sistemi di mercato sul pubblico. Ciò ha ridotto i costi, e ha funzionato.  E’ per questo che abbiamo avuto un paio di decenni di grande crescita, e di crescita equa, eccetera.  Succede che ci sia un corollario che egli non ha aggiunto, ma che si può aggiungere, ed è che la rottura di questo sistema negli anni ’70, con la finanziarizzazione dell’economia, sì, si ottiene che i costi dei mercati finanziari siano scaricati nuovamente sul pubblico e qualcosa deve essere fatto al riguardo. Ma, sì, c’è una quantità di pensiero dedicato a questo. E ciò dimostra che c’è una quantità di risultati.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo  http://www.zcommunications.org/chomsky-sessions-4-the-political-system-part-2-by-noam-chomsky

Trascritto da Anton G.

Traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italia – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Scambio di prigionieri tra Israele e palestinesi e campagna USA di assassinii in Yemen

19 mercoledì Ott 2011

Posted by Redazione in Africa, Amy Goodman, Asia, Noam Chomsky

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Tag

Awlaki, fratelli Muamar, Gilad Shalit, GWOT, israele, Omar Khadr, palestina, prigionieri palestinesi

 

 

 

 

 

 

 

di Noam Chomsky e Amy Goodman (19 ottobre 2011)

 

AMY GOODMAN: Il soldato israeliano Gilad Shalit è tornato oggi a casa, dopo cinque anni di prigionia a Gaza, in cambio di 477 prigionieri palestinesi. Altri 550 sono in lista per il rilascio nei prossimi due mesi.  Quaranta dei prigionieri palestinesi saranno deportati in Siria, Qatar, Turchia e Giordania.  Nella sua prima intervista Gilad Shalit ha espresso sostegno per la liberazione di tutti i palestinesi prigionieri. Mentre oggi i palestinesi tengono grandi festeggiamenti a Gaza, i gruppi di sostegno ai prigionieri palestinesi fanno notare che più di 4.000 palestinesi rimangono sotto chiave in Israele.

Ci rivolgiamo ora al professore del MIT Noam Chomsky, il linguista e dissidente politico noto in tutto il mondo.  Lunedì ha parlato proprio qui, a New York, al Barnard College, del conflitto israelo-palestinese, dello scambio di prigionieri e del Medio Oriente in generale.

NOAM CHOMSKY: Circa una settimana fa il New York Times aveva un titolo che diceva “l’Occidente festeggia la morte di un religioso”.  Il religioso era Awlaki, ucciso da un drone. Non è stata semplicemente una morte; è stato un assassinio e un altro passo avanti della campagna globale di Obama di assassinii, che stabilisce concretamente nuovi record nel terrorismo internazionale. Beh, non è vero che tutti in Occidente hanno festeggiato. Ci sono stati dei critici.  Quasi tutti i critici, e non ce ne sono stati molti, hanno criticato l’azione o l’hanno riferita al fatto che Awlaki era un cittadino statunitense.  Era, cioè, una persona, diversamente dai sospetti che sono assassinati intenzionalmente o che muoiono come “danni collaterali”, intendendo con l’espressione che li trattiamo un po’ a mo’ di formiche che schiacciamo quando camminiamo per la strada. Non sono cittadini statunitensi, dunque sono non-persone, e perciò possono essere assassinati liberamente.

Alcuni ricorderanno, se hanno buona memoria, che esisteva un concetto nella legge anglo-statunitense chiamato presunzione d’innocenza, innocente fino quando la colpevolezza non sia provata in un tribunale.  Ora questo è così profondamente affondato nella storia che non ha neppure senso tirarlo fuori, ma una volta esisteva. Alcuni critici hanno tirato fuori il Quinto Emendamento della Costituzione, che afferma che nessuna persona – “persona”, si noti – sarà privata della vita, della libertà o della proprietà senza un giusto processo legale. Beh, ovviamente, la cosa non è mai stata intesa come da applicarsi  alle persone, e perciò non è stata neppure intesa come applicabile alle non-persone.

E le non-persone rientrano in diverse categorie.  C’è, prima di tutto, la popolazione indigena o dei territori già posseduti o di quelli che ci si aspetta di conquistare a breve.  Non è stata applicata ad essa. E, ovviamente, non è stata applicata a quelli che nella Costituzione sono stati dichiarati per tre quinti umani, e pertanto non-persone.  Quest’ultima categoria è stata trasferita alla … teoricamente alla categoria del popolo dal quattordicesimo emendamento che … essenzialmente la stessa formulazione del Quinto Emendamento a questo riguardo, ma ora l’idea di  ‘persona’ fu intesa come estesa agli schiavi liberati. Ora, ciò fu in teoria. In pratica si realizzò a malapena.  Dopo dieci anni la categoria degli umani per tre quinti fu ricondotta alla categoria delle non-persone dalla criminalizzazione discriminante della vita nera, che essenzialmente restaurò la schiavitù, forse anche qualcosa di peggio della schiavitù, e in effetti proseguì fino alla seconda guerra mondiale.  Ed è stata restaurata adesso, dopo trent’anni di grave recessione morale e sociale negli Stati Uniti.

Bene, il Quattordicesimo Emendamento è stato immediatamente riconosciuto come problematico.  Il concetto di persona era sia troppo limitato sia troppo ampio, e i tribunali si sono messi all’opera per superare entrambe tali carenze.  Il concetto di persona è stato esteso a includere finzioni giuridiche, sostenute … create e sostenute dagli stati, quelle che si chiamano società per azioni [corporations] ed è anche stato ristretto nel corso degli anni per escludere gli stranieri privi di documenti.  Così si arriva esattamente sino al presente, ai recenti casi della Corte Suprema che chiariscono che le società non solo sono persone, ma sono persone con diritti ben al di là di quelli delle persone in carne ed ossa, dunque una specie di super-persone.  Gli accordi di libero scambio, scorrettamente definiti tali, attribuiscono loro diritti stupefacenti.  E, ovviamente, i tribunali ne hanno aggiunti di altri.

Ma la necessità cruciale di assicurarsi che la categoria delle non-persone comprenda coloro che sono fuggiti dagli orrori che abbiamo creato in America Centrale e in Messico, che cercano di arrivare qui … quelle non sono persone, sono non-persone.  E naturalmente [nella categoria] è compreso qualsiasi straniero, specialmente quelli accusati di terrorismo, che è un concetto che ha assunto una trasformazione concettuale molto interessante, interessante, dal 1981, quando Ronald Reagan assunse la carica e dichiarò la guerra globale al terrore, quella che viene chiamata GWOT [Global War On Terror] nell’attuale terminologia sofisticata. Non mi occuperò di questo qui, eccetto che per un commento, una nota, su come il termine è ora utilizzato, senza alcuna … senza che venga neppur notato.

Si prenda così, per esempio, Omar Khadr, E’ un quindicenne canadese. Ora, è stato accusato di un reato molto grave, precisamente di aver cercato di difendere il suo villaggio in Afghanistan dagli invasori statunitensi.  Naturalmente si tratta di un crimine molto grave, di un vero terrorista, così è stato inviato dapprima a una prigione segreta a Bagram, poi a Guantánamo per otto anni. Dopo otto anni si è dichiarato colpevole di alcune delle accuse.  Sappiamo tutti cosa significa.  Se volete, potete ottenere alcuni dei dettagli anche su Wikipedia, di più da altre fonti. Così si è dichiarato colpevole e gli è stata inflitta una condanna a ulteriori otto anni.  Avrebbe potuto … si sarebbe preso altri trent’anni se non si fosse dichiarato colpevole.  Dopotutto è un grave crimine difendere il tuo villaggio dagli aggressori statunitensi.  E’ canadese, dunque il Canada avrebbe potuto chiederne l’estradizione. Ma, con coraggio tipico, si è rifiutato di farlo.  [Il Canada] comprensibilmente non vuole offendere il padrone. Bene, il crimine di opporsi all’aggressione non è una nuova categoria di terrorismo.  Possono esserci tra voi alcuni abbastanza anziani da ricordare lo slogan “terrore contro terrore”, che è stato usato dalla Gestapo e che noi abbiamo fatto nostro.  Niente di questo suscita un qualche interesse, perché tutte queste vittime appartengono alla categoria delle non-persone.

Bene, questo … tornando ora al nostro argomento, il concetto di non-persona è centrale per l’argomento di questa sera.  I palestinesi sono non-persone. E da ciò deriva molto come chiara conferma. Dunque, ecco un ritaglio, se mi sono ricordato di portarlo, del New York Times.  Notizia di prima pagina, 12 ottobre, l’articolo principale è “Trattativa con Hamas libererà israeliano sequestrato dal 2006.” Si tratta di Gilad Shalit.  E a destra c’è … a destra attraverso la parte superiore della prima pagina c’è una fotografia di quattro donne in preda a una specie di strazio per il destino di Gilad Shalit. “Amici e sostenitori della famiglia del sergente Gilad Shalit hanno avuto notizia della trattativa nella tenda di protesta della famiglia a Gerusalemme.”  Bene, è comprensibile, davvero.  Penso che avrebbe dovuto essere rilasciato molto tempo fa.  Ma c’è qualcosa che manca in tutta questa storia.  Dunque, non ci sono fotografie delle donne palestinesi, e nessuna trattazione, in effetti, della storia di … e i prigionieri palestinesi rilasciati? Da dove vengono?

E c’è molto da dire al riguardo.  Così, per esempio, non sappiamo (almeno non lo leggo sul Times) se il rilascio comprende i palestinesi … i dirigenti palestinesi eletti che sono stati rapiti e imprigionati da Israele nel 2007 quando gli Stati Uniti, l’Unione Europea e Israele decisero di sciogliere l’unico parlamento democraticamente eletto del mondo arabo. La chiamano “promozione della democrazia”, tecnicamente, nel caso non abbiate familiarità con il termine. Così io non so cosa sia stato di loro.  Ci sono anche altre persone che sono state in prigione esattamente a lungo quanto Gilad Shalit; di fatto un giorno in più. Il giorno prima che Gilad Shalit fosse catturato al confine, le truppe israeliane erano entrate a Gaza, avevano rapito due fratelli, i fratelli Muamar, li avevano fatti scomparire oltre il confine, naturalmente in violazione delle Convenzioni di Ginevra.  E sono scomparsi nel sistema carcerario israeliano. Non ho indizi su cosa sia accaduto loro; non ho mai visto una parola al riguardo.  E per quanto ne so, non gliene importa niente a nessuno, il che è logico. Dopotutto sono non-persone. Qualsiasi cosa si pensi della cattura del soldato, un soldato di un esercito aggressore, un evidente rapimento di civili è un crimine di gran lunga più grave. Ma è così solo se si tratta di persone. Questo caso non è importante, in realtà. Non che sia ignoto, così se si dà uno sguardo alla stampa del giorno dopo il rapimento dei fratelli Muamar, ci sono un paio di righe qui e là.  Ma insignificanti, ovviamente … il che ha senso, in certo modo, perché ce ne sono un mucchio di altri in prigione, migliaia, molti senza accuse.

C’è anche, in aggiunta a questo, il sistema carcerario segreto, come la Struttura 1391, se volete darci un’occhiata su Internet, una prigione segreta, il che naturalmente significa una stanza delle torture, in Israele, cosa che in effetti è stata riferita piuttosto bene in Israele dopo che è stata scoperta; riferita anche in Inghilterra e in Europa, ma non ho visto una parola al riguardo qui, almeno in una qualsiasi delle fonti che chiunque ha probabilità di consultare.  Io ne ho scritto; anche un paio d’altri.  Tutto questo è … sono tutti non-persone, così, naturalmente, a nessuno gliene importa.  In effetti il razzismo è così profondo che è un po’ come l’aria che respiriamo; non ne siamo consapevoli, sai; semplicemente pervade ogni cosa.

Venendo al titolo di questa conversazione, potrebbe fuorviare, potrebbe essere interpretato – male interpretato – come a sostegno di un tipo di immagine convenzionale dei negoziati, come se fossero: Stati Uniti da … qua e poi quelle due forze recalcitranti là; gli Stati Uniti sono un intermediario onesto che cerca di portare insieme due gruppi militanti difficili che non sembrano capaci di andar d’accordo tra loro. Ora, questa è … è la versione standard, ma è totalmente falsa.  Voglio dire, se fossero negoziati seri, sarebbero organizzati da quale parte neutrale, forse il Brasile, e da una parte si avrebbero gli Stati Uniti e Israele e dall’altra parte ci sarebbe il mondo. Questo è letteralmente vero. Ma è una di quelle cose che non si devono dire.

AMY GOODMAN: Il professore del MIT Noam Chomsky che ha parlato lunedì sera al Barnard College.

 

Da ZNET – Lo spirito della resistenza è vivo www.zcommunications.org/israel-palestine-prisoner-exchange-u-s-assassination-campaign-in-yemen-by-noam-chomsky

Fonte: Democracy Now

 

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 

 

 

 

 

 

 

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Intervista a Chomsky 4 – Il sistema politico (parte 1)

16 domenica Ott 2011

Posted by Redazione in Noam Chomsky

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Tag

Cadillac plan, democrazia, health care, Obama, politica, razzismo, senatore Brown, sessismo, Tea Party

 

 

 

 

 

Le Sessioni Chomsky 4: Il sistema politico

 

Di   Noam Chomsky  (16 ottobre 2011)

 

 

Ora, solo alcune domande sul sistema politico. Nelle elezioni a volte si suggerisce
di votare per persone nei confronti delle quali si è contemporaneamente critici
in modo devastante [scegliendole] come il male minore, come qualcosa che è il
meglio che si può fare nel breve termine. Ma poi c’è anche il problema di
cercar di costruire istituzioni di resistenza a lungo termine, anche nell’arena
elettorale, ad esempio, diciamo, un terzo partito.  Come valuti i vantaggi di appoggiare un
candidato liberale, industriale, che è molto meglio dell’avversario, in
confronto con l’appoggiare un candidato di un terzo partito o un processo che
sia completamente indipendente da tale dinamica per operare le proprie scelte?

Penso che non ci sia nessuna formula.  Dipende dalle circostanze specifiche. Come,
diciamo, prendiamo il 2008.  Io vivo in Massachusetts. E’ uno stato sicuro. Si sa quali saranno i risultati. Perciò mi
sono sentito libero di votare per il Partito Verde, che almeno sta facendo un qualche sforzo, qualsiasi cosa uno ne pensi, per sviluppare un’alternativa
durevole.  Se fossi stato in uno stato incerto, diciamo in Pennsylvania, probabilmente avrei votato per Obama. Perché penso che sarebbe stato molto pericoloso nel breve termine avere McCain e la
Palin al potere lì.  Non che Obama mi piaccia.  Altre volte semplicemente non ho visto alcun senso nel votare.  A volte la cosa ha senso, a volte no.  Dipende dalle opzioni, dalle alternative.  Così,
per esempio, se Gore fosse stato eletto nel 2000, non è così ovvio che saremmo andati in guerra in Afghanistan e in Iraq. Avremmo potuto andarci, ma non è così evidente.  Se McCain fosse stato eletto nel 2008 non
avremmo avuto in campo semplicemente una maggioranza di ultradestra; avremmo avuto una maggioranza indistruttibile.

Dunque ci sono …

E ci sono molte scelte simili. Innanzitutto non si tratta di una decisione di alto livello.
Voglio dire, è una specie di … è come una decisione al decimo posto. Altre cose sono di gran lunga più importanti. Voglio dire, gli Stati Uniti sono semplicemente una democrazia che non funziona. Ma in una democrazia funzionante
(e ne esistono; la Bolivia per esempio) la gente vota. Ma è solo un momento di pausa in una battaglia che continua.

Negli Stati Uniti il modo in cui sono organizzate le cose è che si presume che non ci sia alcuna partecipazione.   E’ una specie di gran montatura riguardo al voto; sai, cartelli dappertutto, impegno per far andare la gente a votare.  Fai il tuo segno sulla scheda e poi te ne torni a casa.  E’ una grave carenza di democrazia.  E dunque uno vuole superare quel deficit democratico.  E’ piuttosto impressionante il modo in cui ciò è stato ottenuto negli Stati Uniti. Di fatto
il concetto stesso di democrazia è pressoché inesistente.  Prendi, ad esempio, le primarie. Voglio dire, immaginiamo di avere una democrazia funzionante con le nostre relative istituzioni. Così …

Istituzioni politiche?

Istituzioni politiche. Abbiamo, per esempio, le primarie in New Hampshire.  In una società democratica quel che succederebbe è che la gente di una cittadina del New Hampshire si riunirebbe nelle proprie organizzazioni, assemblee, di
qualsiasi cosa si tratti, e si prenderebbe un po’ di tempo libero da qualsiasi attività politica o di altro genere in cui sia impegnata e direbbe: “OK, vediamo di elaborare quel che ci piacerebbe vedere nelle prossime elezioni.” E
arriverebbero a qualche genere di programma: “Ci piacerebbe vedere questo.”  Poi, se qualche candidato dicesse: “Vorrei venire in città a parlarvi” loro direbbero: “Beh, puoi venire se sei disponibile ad ascoltare noi.” E il candidato potrebbe venire e loro gli spiegherebbero quel che vogliono e direbbero: “Se sei in grado di fornirci una ragione credibile per cui tu appoggi queste cose, noi prenderemo in considerazione l’idea di votarti.” O, forse, “Abbiamo il nostro proprio
rappresentante, non ci interessi.” Quella sarebbe una democrazia che funziona.

Quel che accade è del tutto diverso. Nessuno si
riunisce in città. Il candidato e i suoi rappresentanti propagandistici e via
di seguito, annunciano che lui, o, a volte, lei, verrà in una cittadina del New
Hampshire e ci si dà da fare per riunire la gente.  La gente se ne sta lì seduta a sentire il
candidato raccontare quanto è in gamba, come farà questo e quello e nessuno
crede una parola e poi vanno a casa. Beh, sai, questo è il contrario della
democrazia.

In effetti lo vediamo accadere in continuazione.
Voglio dire, prendi, diciamo, il 15 aprile. Voglio dire, in una società democratica
che funzioni dovrebbe essere un giorno di festeggiamenti, il giorno in cui
paghi le tue tasse. Si direbbe: “OK, ci siamo riuniti, abbiamo elaborato certi
piani e programmi che riteniamo debbano essere realizzati e ora partecipiamo a
fornire i fondi perché queste cose siano fatte.” Questa è una democrazia. Negli
Stati Uniti è un giorno di lutto. E’ il giorno in cui questa forza aliena, sai,
il governo, che viene da Marte o da qualche parte del genere, viene a rubarti i
soldi che hai guadagnato faticosamente per utilizzarli per i propri scopi,
quali che siano.  E’ un riflesso del
fatto che il concetto di democrazia non è neppure presente nella mente delle
persone. Ora io sto un po’ esagerando, non è così netto, ma ci è parecchio
prossimo.  E’ un grande successo per …

Si potrebbe discutere in modo simile dell’affluenza al voto, o dei motivi per cui
la gente vota per quelli per cui vota. Dunque, l’affluenza … cosa ne pensi?

Prendiamo l’affluenza al voto. Voglio dire, si fanno
un mucchio di sforzi per ottenere la partecipazione al voto. E la gente si reca
ai seggi per ogni genere di motivi. Voglio dire, a volte i motivi sono
interessantissimi. C’è stata a gennaio un’elezione in Massachusetts che la
gente ritiene abbia avuto un risultato sorprendente. Un’elezione per il senato,
che ha dato ai repubblicani il quarantunesimo seggio. Beh, quell’idea, da sola,
è interessante.

Ci sono due partiti politici formali nel paese:
Democratici e Repubblicani. I Repubblicani hanno abbandonato ogni finzione,
quasi, di essere un partito politico tradizionale. Praticamente non hanno
politiche. Voglio dire, la politica è “no” a qualsiasi cosa venga proposta.
Sono simili, in qualche modo, al vecchio partito comunista in cui la disciplina
del partito ottiene la quasi unanimità.
Avevano 40 voti, ora ne hanno 41.
Quasi invariabilmente unanimi, non importa quale sia il tema.  Forse nominare qualcuno a qualche carica
nella burocrazia perché possa funzionare.

I Democratici, che sono una specie di … ci sono
gruppi chiamati Democratici moderati.
Sono praticamente la stessa cosa che quelli erano soliti definirsi
Repubblicani liberali.  L’allineamento
del partito ha cambiato rotta in modo tale che i Repubblicani liberali, in quel
tradizionale uso della definizione, sono stati sostanzialmente espulsi dal
partito.  E hanno cambiato schieramento e
sono diventati quelli che sono definiti Democratici moderati, intendendo con
ciò Repubblicani vecchio stile.  Così i
Democratici moderati seguono i Repubblicani in ogni genere di cose.  Poi ci sono di Democratici che vengono
definiti di sinistra.  Quasi interamente
una specie di Democratici di centro, favorevoli alle imprese e un paio di
sbandati.  Si some messi tutti d’accordo
per richiedere una maggioranza qualificata * su tutto. [ ‘supermajority’ nell’originale;
una maggioranza superiore a quella semplice del 50% +1; tipicamente tre quarti
o due terzi degli aventi diritto al voto – n.d.t.

Di fatto si è arrivati al punto in cui un
Repubblicano, il senatore Shelby, ha semplicemente annunciato che bloccherà  ogni designazione presidenziale, penso siano
70 nomine, nomine di routine.  E,
ovviamente, ha chiesto un qualche regalo speciale per il suo stato.  Dunque arrivano a dire: […]  a meno che mi facciate questo regalo, io
bloccherò  tutte le nomine. E questo
funziona in un partito che mantiene la disciplina di schieramento.

OK, così Brown, il tizio eletto in Massachusetts è
stato il quarantunesimo voto; significa che anche una maggioranza qualificata
non funziona.  Ora, il voto a Brown è
stato descritto come una specie di rivolta popolare contro l’assunzione del
governo da parte della sinistra.  Non è
quel che è successo.  Quel che è successo
è interessantissimo.  Prima di tutto, un
fiume di denaro è affluito dalla istituzioni finanziarie verso la fine della
campagna.  E ciò è stato dovuto al motivo
di cui abbiamo già parlato.  Obama aveva
cominciato a fare qualche timido mugugno riguardo ai banchieri avidi e via
discorrendo, e parte della reazione è consistita nel dire: “OK, se tu parli in
questo modo noi elimineremo la tua supermaggioranza.” Così è affluito un fiume
di soldi.

Se si esamina il voto, Brown ha vinto principalmente
per due motivi: i sobborghi abbienti sono stati molto coinvolti e molto a
sostegno di Brown.  Essi condannano Obama
perché, anche se sta dando loro molto, non sta dando loro abbastanza.  Dunque, noi vogliamo ancora di più.  Quelli sono i sobborghi abbienti. Nelle aree
urbane, che sono principalmente Democratiche, sai, il voto della classe
lavoratrice, dei poveri, è stato molto basso.
Ed essi sostanzialmente hanno detto a Obama: stai dando via tutto, non
staremo neanche a perdere tempo con te, non parteciperemo.  Particolarmente interessante è stato il voto
sindacale. E’ stato inferiore al solito ma la maggioranza del voto sindacale è
andato a Brown.

E c’è stato dibattito sulla stampa sindacale, la
buona stampa sindacale, come Labor Notes. Hanno intervistato iscritti e
dirigenti sindacali e così via.  I
lavoratori erano semplicemente furiosi per il programma di assistenza
sanitaria.  Ora, sai, questa viene
presentata come una critica al programma di assistenza sanitaria, ma in effetti
alla gente il programma di assistenza sanitaria non piace perché non si spinge
abbastanza in là.  Una maggioranza
considerevole della popolazione generale, e certamente ancor più chi vota per
Obama, era a favore dell’opzione pubblica e di Medicare e di altre cose che
Obama ha semplicemente lasciato cadere.
Dunque non piace perché non si spinge abbastanza in là, questo è [il
sentimento della] maggioranza della popolazione, non esattamente quello che
dicono i titoli di prima pagina.  Ma nel
caso dei dirigenti sindacali, degli attivisti, dei lavoratori  e dei sindacati, la rabbia era dovuta al
fatto che Obama è stato disponibile a dar via ogni cosa, praticamente, eccetto
l’unica su cui ha insistito. Precisamente, tassarli per i loro programmi di
assistenza sanitaria.  Viene definita
un’accisa sui ‘piani Cadillac’. [L’espressione si riferisce a piani
assicurativi di assistenza sanitaria esageratamente costosi – n.d.t.].  Voglio dire, i ‘piani Cadillac’ non sono
quelli dei ricchi. Sono quelli che i lavoratori sono riusciti a far
sopravvivere dai propri datori di lavoro, mediante i sindacati, in cambio della
rinuncia a tutto il resto.

Dunque parte della merce di scambio nella guerra di
classe consiste nel fatto che il sindacato … e questo è stato un pessimo errore
dei sindacati, che viene da lontano … è consistito nel rinunciare a quasi tutto
ma almeno di ottenere un qualche beneficio per i propri iscritti. Non per gli
altri, solo per i propri. E’ uno dei motivi per cui non abbiamo un sistema di
assistenza sanitaria nazionale; a causa della concentrazione dei sindacati su
sé stessi, non sugli altri.  Molto
diversamente dal Canada. In Canada, gli stessi sindacati hanno insistito
sull’assistenza sanitaria per tutti.
Negli Stati Uniti, hanno fatto proprio, in un certo senso, il sistema
imprenditoriale e hanno detto: “OK, assistenza sanitaria per noi.” Il risultato
è che i lavoratori sindacalizzati hanno piani di assistenza sanitari abbastanza
decenti, sai, per gli standard statunitensi.
Obama insiste sul fatto che darà via tutto il resto; insiste sul
tassarli parecchio pesantemente. Così, ovviamente, i lavoratori sindacalizzati sono
furiosi. E così hanno votato per Brown. Si sono dati la zappa sui piedi, ma il
voto è comprensibile.

Voglio dire, la rabbia è giustificata.

La rabbia è molto giustificata.

La volontà di, in un certo senso, ribellarsi e infuriarsi è giustificata, è perfettamente sensata. Non c’è una via che non faccia altro che peggiorare le cose.

Sì, e ciò è generalizzato nel paese. Così, sai, è da
un po’ che dico, e che anche altri dicono, che è un grave errore per la
sinistra ridicolizzare il movimento del Tea Party e Sarah Palin e il resto di
loro. Voglio dire, è facile prenderli in giro; gran parte di loro sono
semplicemente comici e ridicoli. Ma non è quello il punto.  Quel che dovremmo fare è ridicolizzare noi
stessi.

Per non avere alternative migliori.

Voglio dire che questa è gente che dovrebbe essere
organizzata dalla sinistra.  E’ gente che
ha lavorato duramente per tutta la vita, ha fatto tutto quel che doveva fare.
Sono stati fregati; lo sono da trent’anni.
Sai, le paghe sono stagnate, scese, i servizi sono al collasso (non sono
mai stati buoni), le scuole sono schifose. Cosa ci sta succedendo? Cosa mi sta
succedendo?

Beh, ottengono una risposta da, diciamo, Glenn Beck.
Sai, “i ricchi liberali si prendono tutto, non gliene frega niente di noi, e
vogliono dar via tutto agli immigrati illegali” e via discorrendo.  Beh, quella è una risposta coerente.  Quando lo ascolti, è una risposta con una sua
logica interna.  Dice qualcosa.  E dunque viene accettata.  I Democratici liberali non offrono una
risposta. Non dicono: “Questo vi accade perché negli ultimi trent’anni abbiamo
collaborato con il sistema delle imprese per deindustrializzare la società e
arricchire i banchieri” e così via.  La
gente non se lo sentirà dire.  E la sinistra
semplicemente non dice loro nulla.  Ci
sta provando, ma non ce la fa. Questo è estremamente pericoloso. C’è, in
questo, una specie di sentore di Repubblica di Weimar.

Dunque il ridicolo non ha senso. E’ come i
lavoratori del Massachusetts che si danno la zappa sui piedi, come è diventato
chiaro. Appena eletto, Brown a fare in tempo – superveloce, con l’aiuto dei
cosiddetti Democratici moderati – a contribuire a votare contro una nomina
all’Ufficio Nazionale per i Rapporti di Lavoro (NLRB), che era l’unico nome a
favore del sindacato, relativamente favorevole al sindacato, che aveva
probabilità di entrare nel NLRB.
[L’organismo] a un certo punto era uno possibile strumento per sostenere
i diritti dei lavoratori.  Voglio dire, è
stato quasi eliminato.  Ma se elimini,
sai, l’ultima persona filosindacale, le cose peggiorano.  Così, quando hanno votato per Brown, di fatto
è per questo che hanno votato, ma non era questo che avevano in mente.  Quel che avevano in mente era la rabbia
contro Obama per la sua insistenza su un’unica cosa e precisamente sul portar
loro via le provvidenze sanitarie.

Ma se si torna ai tardi anni ’60 e si ripercorre il periodo, stiamo parlando di quarant’anni.  In tali quarant’anni c’è stata una sinistra, ci sono state persone di sinistra, ci sono state persone
critiche di tutto ciò di cui stiamo discutendo.  E tuttavia, ad essere onesti, non hanno prodotto quasi nulla che parli alla popolazione più ampia, persino in un momento in cui è furiosa nei
confronti del governo, dei datori di lavoro, di Wall Street e via dicendo.  Dunque, o abbiamo fatto qualcosa di sbagliato oppure non c’è speranza.  Voglio dire, se abbiamo fatto tutte le cose giuste e siamo arrivati dove siamo arrivati, non è davvero un buon segno.  Sarebbe molto meglio se avessimo commesso degli errori, se avessimo mancato di agire come avremmo dovuto e, quindi, ci fossero cose che si possono fare.  Quali errori o quali carenze pensi siano responsabili del casino in cui ci troviamo?

Beh, voglio dire che la sinistra, per quella che è,
in effetti parla di questi temi.  Ma la
sinistra è semplicemente un conglomerato di un mucchio di gente, ma molto
sparpagliata.  E orientata a singoli
temi.  Così c’è una parte della sinistra
che si dedica ai diritti degli omosessuali, un’altra parte che si preoccupa
degli armamenti nucleari e delle aggressioni o di qualsiasi cosa si
tratti.  Ma tendono ad essere in certo
modo separate.  Non puoi in realtà
identificare una sinistra organizzata che affronti il tipo di problemi che la
gente, in generale, sente davvero e giustamente. Così, quale parte della
sinistra ha parlato costantemente, chiaramente, alla gente giusta del fatto che
la finanziarizzazione dell’economia dagli anni ’70 ha portato alla stagnazione,
fondamentalmente, delle paghe e dei redditi reali? E al deterioramento dei
limitati benefici, eccetera?  Di fatto, gran
parte della sinistra orientata ai singoli temi si è alienata, sfortunatamente,
questa parte della popolazione.  Voglio
dire, può non piacerci, ma il fatto è che una gran parte della popolazione è
razzista, è sessista, è, sai, contraria ai diritti degli omosessuali e così
via.  E, anche se lavorare a questi
problemi è giusto, deve essere fatto in modo tale da riconoscere la realtà del
pubblico che sta là fuori.

D’accordo, passando a una di queste aree, la razza negli Stati Uniti. Cosa sono la razza e il razzismo?

Voglio dire, la razza – qui i postmodernisti hanno
in un certo senso ragione – è una costruzione sociale.  Voglio dire, decidiamo che si sono razze
differenti, decidiamo che c’è un mucchio di modi in cui si può categorizzare la
gente.  Lo facciamo, sai, per il colore o
l’acconciatura dei capelli o quel che è.
Ed è una vena profonda nella storia degli Stati Uniti.  Risale alla schiavitù, non è mai cambiata
davvero. Ma è reale.  E si dimostra in
modo che colpisce particolarmente negli atteggiamenti delle persone. Gli
atteggiamenti delle persone sono molto diversi da quanto solitamente si
afferma.

Una delle cose che gli studiosi di scienze politiche
fanno piuttosto bene è studiare gli orientamenti popolari tramite vasti
sondaggi.  E pubblicano risultati chiari
e interessanti.  In effetti l’edizione
attuale della principale rivista di scienze politiche, Political Science
Quarterly, capita che abbia un articolo che esamina una quantità di studi su
sondaggi relativi agli atteggiamenti riguardanti i temi della giustizia
sociale.

In effetti la parte più interessante è costituita
dal fatto che l’autore identifica le persone che si autodefiniscono contrarie
al governo.  Sai, i libertari di destra,
“toglieteci il governo di dosso”, quel genere di cose.  Così, semplicemente esaminando i loro
orientamenti, essi tendono ad essere a favore di maggiori aiuti e di maggiori
spese per l’istruzione, la salute, per gli aiuti ai poveri, sai, per
l’assistenza sociale.  Più o meno le stesse
cose che direbbero i liberali.  Ma c’è
un’eccezione. Due eccezioni.  Pensano che
diamo troppo ai neri e diamo troppo alla gente in assistenza sociale.  Beh, non ha alcun rapporto con la realtà, ma
possiamo vedere da dove deriva.  Voglio
dire, deriva dall’incessante propaganda basata sul razzismo convenzionale.  Sai, “i neri si prendono tutto, ci portano
via il paese”.  E il tipo di propaganda
estremista reaganiana, sai, riguardo all’assistenza, la madre nera che va in
Cadillac all’ufficio assistenza a rubare i nostri soldi.

Con sufficiente propaganda di questo tipo, si ha
questo tipo di divisione negli atteggiamenti.
Ora, nota che io sto parlando qui di persone che si considerano
contrarie al governo, sai, di destra.
Nella popolazione in generale è qualcosa di simile, ma in certo modo meno
appariscente. E ciò si manifesta anche in altre cose. In effetti quando chiedi
alle persone … non lo hanno fatto in questi sondaggi, ma è stato fatto in
precedenza, “quanto pensi che si dovrebbe dare, diciamo, alle madri povere con
bambini a carico…”

Ovviamente è più di quanto …

E’ di gran lunga più di quanto stiamo dando. Si
rivela anche negli aiuti all’estero. Regolarmente. Chiedi alla gente: “Cosa
pensi degli aiuti all’estero?”. E loro dicono: “Stiamo dando via tutto a questa
gente che non lo merita e che ci sta derubando” “Quanto pensi che dovremmo dar
loro?” Loro rispondono forse dieci volte quello che diamo. E questi sono
fallimenti anche della sinistra.  Sai, si
presume che tu educhi la gente.  Ma quel
che io penso significhi è che la fuori c’è un uditorio.  Sai, gli atteggiamenti generali delle persone
sono più o meno socialdemocratici.

OK, e, in parallelo, la questione del sessismo?

Quella è una delle grandi conquiste degli anni
’60.  In realtà del movimento post anni
’60.  Voglio dire, il problema è stato
sollevato negli anni ’60 in un modo interessante.  Penso che il movimento femminista sia
decollato negli anni ’70 e dopo.  E
almeno parte di esso è stato la conseguenza del sessismo nella sinistra.  Mi ricordo nel movimento di resistenza; era
molto impressionante.  Si presumeva che
le donne dovessero distribuire gli opuscoli e così via. Di fatto era anche
ultrasessista in certi casi. E gli uomini, i resistenti, facevano cose
difficili e pericolose e coraggiose.  E a
un certo punto, verso la fine, è stato detto loro, più o meno: “Ehi, gente,
guardate che siete degli oppressori.”

Fu una cosa molto dura da sopportare per un mucchio
di gente.  Voglio dire, ha portato a vere
rotture.  “Eccoci qua, coraggiosi,
morali, a far cose davvero dure, e vien fuori che siamo degli oppressori.”  E’ stato psicologicamente molto difficile, ma
penso che da lì sia derivata almeno una vena di quello che sarebbe diventato il
movimento femminista.  Ce ne sono state
altre.  Ed è decollato.  E ci sono stati un mucchio di cambiamenti.  Voglio dire, ci sono un mucchio di problemi,
ma sotto questo profilo il paese è molto diverso da com’era negli anni
’60.  Voglio dire, puoi vederlo in posti
come il MIT [Massachusetts Institute of Technology]. Quando sono arrivato lì
negli anni ’50, il MIT era fatto da maschi bianchi. Sai, ben vestiti,
deferenti, che lavoravano a quali che fossero i loro particolari interessi
professionali.  Se percorri le sale oggi,
per metà sono donne, forse per un terzo minoranze, abbigliamento informale,
rapporti informali, un mucchio di attivismo. OK. Questi sono cambiamenti.

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Trascritto da Anton G.

http://www.zcommunications.org/chomsky-sessions-4-the-political-system-by-noam-chomsky

 

 

Traduzione di Giuseppe Volpe

 

(C) 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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La legalità dei bombardamenti della NATO in Libia e la gara per il petrolio

22 giovedì Set 2011

Posted by Redazione in America, Amy Goodman, Asia, Noam Chomsky

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Tag

guerra, iraq, petrolio

Di: Noam Chomsky (22 settembre 2011), Fonte: Democracy Now

 

AMY GOODMAN – Siamo alla seconda parte della nostra conversazione con Noam Chomsky che è  professore del MIT (Massachusetts Institute of Technology)  dissidente politico di fama mondiale, linguista, scrittore. Era con me in questa intervista di Democracy Now! il produttore Aaron Maté. Avevamo cominciato facendo al Professore delle domande sulla Libia.

 

NOAM CHOMSKY – Ci sono due problemi fondamentali per quanto riguarda la Libia. Il primo era: è stata una cosa giusta iniziare e poi realizzare la risoluzione dell’ONU, U.N:1973 che chiedeva una zona interdetta  ai voli e la protezione dei civili? Questa è la prima domanda. La seconda:  era giusto che, fondamentalmente il triumvirato imperiale, cioè i tradizionali stati imperialistici: Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia rifiutassero immediatamente la soluzione che avevano ottenuto tramite il Consiglio di Sicurezza (dell’ONU) e poi semplicemente diventassero in gran parte la forza aerea di una delle fazioni della guerra civile, la fazione dei ribelli? Questi sono due argomenti molto distinti.

La mia sensazione è che si sarebbe potuta perorare la causa di una zona interdetta ai voli aerei e della protezione dei civili, ma penso che sia molto più difficile perorare la causa della partecipazione diretta a una guerra civile e la sottovalutazione di possibili opzioni che sono state sostenute da quasi tutto il mondo. La nazione africana, l’Unione Africana, le cosiddette nazioni del BRICS – Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa, le più importanti nazioni in via di sviluppo, nazioni non-allineate, premevano quasi tutte per un qualche tipo di accordo negoziato, non solo partecipare alla guerra dalla parte dei ribelli. Era la cosa giusta da fare oppure no? Ci sono tante domande da farsi. Se, secondo il Consiglio Nazionale di Transizione, cioè il quasi-governo dei ribelli, sono state uccise circa 30.000 persone, non è una cosa da poco.

Proprio adesso c’è in corso  un attacco importante contro le basi della più grande tribù della Libia. La NATO sta bombardando, il triumvirato sta bombardando, i ribelli stanno attaccando. Chi sa che cosa accadrà, è una situazione molto complessa. Pochissime persone la capiscono. E’ una società tribale. Le tribù della zona occidentale, quelle che hanno in gran parte  conquistato Tripoli, anche se la gente di Tripoli dice che la hanno conquistata da soli, quelle tribù sono un solo gruppo. La Cirenaica, le regioni costiere orientali dove il Consiglio Nazionale di Transizione siaccentra, sono state molto diverse dalla Libia tribale per lungo tempo,  e già nel periodo coloniale. Erano molto anti-Gheddafi. Ci sono altre tribù. La lealtà e l’impegno degli altri gruppi tribali sono abbastanza sconosciuti. Si  spera per il meglio, ma ci sono i semi per conflitti e scontri piuttosto brutti.

Dovrei dire che sono stato  abbastanza  colpito dal fatto che le grandi compagnie attive nel campo dell’energia non hanno perduto un colpo. Cioè: il giorno che le forze ribelli cominciavano ad avvicinarsi a Tripoli, l’articolo principale delle pagine del New York Times dedicate agli affari, aveva era intitolato più o meno: “Le compagnie petrolifere  lottano per ottenere contratti” o qualche cosa del genere. E non è si è proprio nascosto il fatto che erano impazienti di mettere le mani sul bottino. Quello che è importante in Libia, prima di tutto, è il fatto di avere  molto petrolio. Gran parte del paese è inesplorata e forse ce ne può  essere molto di più. E’ petrolio di altissima qualità, quindi molto prezioso. Ci sono delle ragioni per cui  ci si può aspettare che potrebbe  finire non troppo male, ma penso che chi cercasse  di fare previsioni in questo momento sarebbe una persona molto avventata.

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

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