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La Grecia, patria della democrazia, privata di un voto

13 domenica Nov 2011

Posted by Redazione in Dean Baker, Economia, Europa

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Tag

Argentina, austerità, BCE, default, FMI, Francia, Germania, Goldman Sachs, grecia, inadempienza, Papandreou, pensioni, referendum, salvataggio, swap, troika, UE

di Dean Baker – 12 novembre 2011

Il primo ministro greco George Papandreou ha scatenato una tempesta la settimana scorsa quando ha proposto di sottoporre a un voto popolare il pacchetto d’austerità progettato dalla ‘troika’ (FMI, BCE e UE). L’idea che il popolo greco potesse essere direttamente in grado di decidere del proprio futuro ha terrorizzato i leader d’Europa e del mondo.  I mercati finanziari sono entrati nel panico, facendo precipitare le azioni ed esplodere i tassi.

Tuttavia, entro la fine della settimana, le cose sono tornate sotto controllo. I capi della Francia e della Germania hanno apparentemente impartito una lezione a Papandreou ed egli ha ritirato i piani del referendum. Mentre il governo sta collassando in Grecia il mondo può ora essere rassicurato circa il fatto che il popolo greco non avrà la possibilità di votare sul proprio futuro.

Questa è una disgrazia, poiché significa che il futuro della Grecia sarà probabilmente deciso da politici che possono non avere gli interessi del popolo greco al primo posto nella propria mente.  Secondo le loro stesse previsioni, il pacchetto d’austerità progettato dalla troika promette un decennio d’austerità, con alta disoccupazione, crollo delle paghe reali e forti riduzioni dei servizi pubblici e delle pensioni. E le loro previsioni si sono costantemente dimostrate eccessivamente ottimistiche.

Se ne avessero avuta la possibilità, i greci avrebbero avallato questo tipo di pacchetto d’austerità? La risposta dipende naturalmente dall’alternativa.

La via alternativa quasi certamente si traduce in un’inadempienza caotica e in un abbandono dell’euro.  Non è un bel quadro.  Se la Grecia seguisse la strada  dell’Argentina, l’ultimo paese a operare una rottura simile, allora probabilmente l’economia finirebbe per un certo tempo in caduta libera.  La durata di tale caduta libera dipenderebbe da quanto ci vorrebbe al governo per adottare una nuova moneta e costruire una qualche formula provvisoria per convertire in tale nuova moneta i contratti denominati in euro.

In Argentina tale periodo è durato tre mesi, con altri tre mesi di stagnazione prima che l’economia iniziasse un boom sostenuto. Il processo in Grecia potrebbe essere più difficile, sia perché il paese è legato in modo più esteso ai paesi dell’eurozona, sia perché l’Argentina aveva almeno la propria moneta.

Tuttavia, persino nel caso della Grecia, una tale rottura non sarebbe impossibile. Ci sarebbe il desiderio della nuova moneta. Il governo deve semplicemente imporre una nuova tassa sulla proprietà che sia pagabile solo nella nuova moneta.

La gente vorrà acquistare proprietà fronte mare nelle isole greche  ai piedi dell’Acropoli e così ci sarebbe richiesta della nuova moneta.  Inoltre la prospettiva di un’esplosione del turismo, una volta che i prezzi greci scendano del 50% rispetto all’Italia, alla Spagna e ad altre destinazioni popolari farà molto per sostenere l’economia greca.

Se il popolo greco potesse convincersi che questa sarebbe un’alternativa plausibile, allora farebbe alcune richieste alla troika.  In primo luogo potrebbe dire che dieci anni d’austerità continua non sono accettabili.

Sì, i greci si sono indebitati avventatamente, ma le banche europee sono state anch’esse avventate nel finanziarli. E’ vero che il governo greco ha mentito sulla situazione del proprio bilancio. Ma la voce che circola negli ambienti della finanza è che tutti sapevano che i greci stavano mentendo e hanno partecipato alla commedia.  La Goldman Sachs ha addirittura costruito un ingegnoso swap  [contratto a copertura del rischio di inadempienza – n.d.t.] che le ha consentito di trarre profitto dalle bugie.

Invece che sull’austerità, il popolo greco potrebbe insistere affinché la BCE si concentrasse su un programma di crescita.  Ciò significherebbe che la BCE dovrebbe abbandonare la sua ossessione di un obiettivo di inflazione al 2% e cominciare ad operare come una banca centrale vera.  La BCE potrebbe cominciare con il garantire il debito di Italia e Spagna, entrambi paesi che rischiano una spirale mortale di inadempienza per un carico crescente di debito/interessi, se non vi fosse una garanzia credibile a copertura dei loro debiti.

Potrebbe anche cominciare a promuovere politiche più espansionistiche. E’ sempre difficile ammettere di avere sbagliato, ma la politica BCE-FMI di crescita attraverso l’austerità non funziona.  Ogni mese abbiamo prova di questo fatto, con dati che dimostrano che la crescita è inferiore alle attese e che disoccupazione è più elevata delle previsioni.  Ci sono altre prove che potrebbero far sì che questa gente cambi idea prima di distruggere le economie europee? Forse il popolo greco avrebbe potuto costringere la troika a guardare davvero i dati.

Ci sarebbe anche altro potenziale divertimento in questi negoziati. Il popolo greco, che è già stato costretto ad accettare un’età di pensionamento più elevata e pensioni inferiori, potrebbe suggerire la stessa cosa per gli economisti del FMI.  Questi tizi così duramente lavoratori possono spesso andare in pensione quando sono sulla cinquantina.  Invece delle misere pensioni greche di un centinaio di euro al mese che hanno fatto così arrabbiare i banchieri, i dipendenti del FMI possono intascare fino a 10.000 euro al mese di pensione.  Forse le pensioni del FMI sarebbero emerse nel dibattito se il popolo greco avesse davvero dovuto essere convinto che un salvataggio era per il suo bene.

Ma la possibilità di far entrare il popolo greco nella discussione è stata frettolosamente negata.  Siamo di nuovo a una conversazione tra banchieri e politici. Non c’è spazio per la democrazia in questa storia, ma possiamo continuare a sognare.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/greece-home-of-democracy-deprived-of-a-vote-by-dean-baker

Fonte: The Guardian

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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Il caso pretestuoso contro la tassa sulle transazioni finanziarie

05 sabato Nov 2011

Posted by Redazione in Dean Baker, Economia, Mondo

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Tag

Commissione Europea, investitori, PIL, reattività dei mercati, scambi azionari, tassa, transazioni finanziarie, UE

 

 

di Dean Baker – 5 novembre 2011

Con la Commissione Europea che sta prendendo in seria considerazione una tassa sulle transazioni finanziarie (a volte chiamata “tassa sulla speculazione”) gli oppositori di una tassa simile stanno innestando le marce alte nella loro campagna.  Ascoltiamo profezie di disastri provenire dall’industria finanziaria e degli economisti suoi amici se l’Unione Europea dovesse imboccare questa strada.

Le affermazioni degli oppositori seguono tre indirizzi:

1.  Non sarà possibile far rispettare la tassa;

2. La tassa sarà semplicemente caricata sui consumatori e perciò non toglierà soldi  al bersaglio previsto, l’industria finanziaria;  

3. Aumenterà i costi dei capitali e perciò rallenterà la crescita.

Ciascuna di queste obiezioni è o del tutto sbagliata o enormemente esagerata.

L’affermazione che le tasse sulle transazioni finanziarie non possono essere fatte rispettare è sconfessata dal fatto che molti paesi – compresi Cina, Hong Kong e Inghilterra – hanno in essere tasse sulle transazioni finanziarie e incassano sostanziose entrate da esse.  In Inghilterra la tassa incassa ogni anno un importo tra lo 0,2 e lo 0,3 per cento del PIL (30-40 miliardi di dollari negli Stati Uniti).  Ciò è ottenuto semplicemente tassando le compravendite di azioni.  Non vengono tassate le obbligazioni, le opzioni, i future o gli altri strumenti derivati che sarebbero assoggettati alla tasse presa in considerazione dalla Comunità Europea.

Inoltre l’Agenzia delle Entrate e delle Dogane di Sua Maestà in Inghilterra riferisce che la tassa sul trasferimento di azioni ha i costi amministrativi più bassi di ogni altra tassa da essa amministrata.  Un fattore che aiuta a far rispettare la legge è che non è possibile disporre della proprietà di azioni a meno che non si sia in grado di dimostrare di aver pagato la tassa.  Questo tipo di creatività può ridurre in modo sostanziale i problemi di rispetto della tassa.

La seconda obiezione è che gli intermediari e gli operatori si limiterebbero a trasferire il costo della tassa sui propri clienti, cosicché sarebbero gli investitori comuni, e non l’industria finanziaria, a  sopportare  molto dell’impatto della tassa. Questa tesi ignora l’economia elementare. Se il prezzo degli scambi aumenterà probabilmente più o meno in linea con la tassa, gli investitori reagiranno scambiando di meno.  C’è una gamma di stime di reattività del volume degli scambi al costo degli stessi; la maggior parte delle ricerche indica che la reattività è alta.

Per semplicità supponiamo che l’elasticità sia pari a uno.  Ciò significa che se i costi degli scambi raddoppiano, allora il volume degli stessi si ridurrà del 50%.  In questo scenario, gli investitori finiranno per non sopportare nessuno dei costi della tassa anche se essa fosse trasferita loro in pieno.  La riduzione del volume dei scambi compenserebbe completamente il più elevato costo per transazione.

In questo contesto è importante ricordare che la finanza è un’attività intermedia, come i trasporti.  In generale non ricaviamo soddisfazione direttamente dalla finanza come faremmo con il cibo, l’intrattenimento o la casa; la finanza è un mezzo volto a un fine.  Ciò significa che se tagliamo della metà gli scambi in reazione a costi per transazione più alti, non c’è alcun evidente impatto negativo sull’economia o la società, a meno che ciò significhi in qualche modo che siamo meno sicuri riguardo ai nostri risparmi o che i capitali siano diretti meno bene ai loro utilizzi migliori.

Sarebbe difficile sostenere che le innovazioni degli ultimi tre decenni abbiano conseguito l’uno o l’altro di questi obiettivi.  Se gli investitori finiscono che rinnovare meno frequentemente i loro portafogli in conseguenza di una tassa sulle transazioni, è difficile vedere un qualsiasi ovvio effetto economico negativo come risultato di ciò.

Ciò porta alla questione finale, che la tassa aumenterà il costo dei capitali e in tal modo ridurrà gli investimenti e la crescita.   Anche se alcuni oppositori della tassa sembrano credere che questo sia un argomento potente, è importante ricordare che le aliquote fiscali di cui si discute si limiterebbero a riportare i costi delle transazioni a quelli che erano 10 o 15 anni fa.

Nessuno nel 1995, o anche nel 1985, sentiva che l’alto costo delle transazioni finanziarie era un impedimento serio alla crescita economica.  Inoltre si incontrerebbero difficoltà per trovare una qualsiasi ricerca economica che dimostri che la netta caduta dei costi di transazione sia stata un principale fattore di spinta alla crescita negli ultimi tre decenni.  Se la caduta dei costi non è stata un fattore importante nell’aumentare i tassi di crescita, allora è difficile vedere come elevare i costi delle transazioni riportandoli ai loro livelli precedenti possa avere un effetto sostanziale nel rallentare la crescita.

E’ anche importante ricordare che se gli scambi fossero ridotti grosso modo in proporzione all’aumento dei costi delle transazioni, allora ci sarebbero scarsi cambiamenti nel costo dei capitali per i richiedenti.  Ci sarebbero meno scambi, ma costi totali delle negoziazioni rimarrebbero grosso modo costanti, il che significa che il costo dei capitali dovrebbe restare grosso modo costante.

Ovviamente le entrate delle tasse devono arrivare da qualche parte e in questo caso provengono dalle rendite conseguite dall’industria finanziaria.  Ci saranno molti meno occupati in tale industria, in conseguenza della tassa. Se ciò non impedisce all’industria di svolgere il suo ruolo essenziale di intermediazione finanziaria, allora la tassa avrà effettivamente reso l’industria più efficiente.  Ciò sarebbe paragonabile a tagliare di un terzo o della metà  il numero delle persone impiegate nell’industria dei trasporti e continuare a essere in grado di spedire i prodotti in modo assolutamente ugualmente rapido.  Chi non appoggerebbe questo?

Ci sono aspetti negativi in ogni tassa e la tassa sulle transazioni finanziarie non fa eccezione.  Tuttavia quando guardiamo ai modi per raccogliere grandi quantità di entrate, o di contenere  i deficit di bilancio o di sostenere nuovi servizi pubblici, è difficile una via migliore della tassa sulle transazioni finanziarie.

 

Dean Baker è codirettore del Centro per le Ricerche Economiche e Politiche  (CEPR – Center for Economic and Policy Research). E’ autore di ‘The End of Loser Liberalism: Making Markets Progressive’ [La fine del liberalismo perdente; rendere progressisti i mercati]. Ha anche un blog “Beat the Press” [Battiamo la stampa] in cui discute della copertura mediatica dei temi economici.

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/the-spurious-case-against-a-financial-transactions-tax-by-dean-baker

 

 Fonte: ISN Insights

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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