di Seumas Milne (30 ottobre 2011)
Fonte: The Guardian
Il frutto più incoraggiante della Primavera Araba finora, è sbocciato questa settimana nelle elezioni in Tunisia che hanno avuto un buon esito il suo lato più brutto, invece, è stato rivelato in Libia. Non ha riguardato soltanto, e neanche principalmente, il linciaggio di Gheddafi diffuso su YouTube, gentile concessione dell’attacco della NATO contro il convoglio dove egli viaggiava.
La raccapricciante uccisione del despota libico dopo che quelli che lo avevano catturato lo hanno sodomizzato con un coltello, è stata certamente un crimine di guerra. Molte persone in Libia e fuori, però, si sono rese conto che è stato un comprensibile atto di vendetta dopo anni di violenze da parte del regime. Forse quella è stata anche la reazione di Hillary Clinton quando ha scherzo sull’evento alla televisione, fino a quando la repulsione in tutto il mondo ha spinto gli Stati uniti a chiedere un’indagine.
Mentre, tuttavia, diventa più chiara la realtà di quella che i mezzi di informazione occidentali hanno acclamato come la “liberazione” della Libia, la “macellazione” di Gheddafi si è rivelata soltanto come un riflesso di una panorama molto più vasto. Martedì, l’Osservatorio per i diritti umani ha riferito circa la scoperta di 54 cadaveri di militari e di civili, trovati nell’ultima roccaforte di Gheddafi a Sirte, apparentemente giustiziati –con le mani legate – dall’ex milizia dei ribelli.
Colui che ha fatto l’indagine in Libia, Peter Bouckaert, mi ha detto ieri che si continuano a scoprire altri corpi a Sirte, dove le prove indicano che circa 500 persone, civili e combattenti, sono stati uccisi solo negli ultimi 10 giorni con armi da fuoco, e bombardamenti di terra e aerei della NATO.
Questo è avvenuto dopo un assedio di due mesi e di bombardamenti indiscriminati di una città di 100.000 abitanti che è stata ridotta in uno stato di distruzione come quello di Grozny. Dalle truppe trionfanti dei ribelli con l’appoggio degli aerei e delle Forze speciali della NATO.
Questi luoghi di massacri sono soltanto gli ultimi di molte scoperte analoghe. Amnesty International ha ora fornito prove compendiose di rapimenti ti e detenzioni di massa, di punizioni e torture inflitte con regolarità, di uccisioni e atrocità compiute dalle milizie dei ribelli che Gran Bretagna, Francia e Stati uniti hanno appoggiato negli ultimi 8 mesi – probabilmente per mettere fine proprio a quel tipo di crimini che stava commettendo il regime di Gheddafi.
In tutto quel periodo gli emigranti Africani e i Libici di colore sono stati soggetti a un’incessante campagna razzista in di detenzione di massa, linciaggi e atrocità compiuti con il solito motivo infondato che erano stati mercenari fedeli a Gheddafi. Questi attacchi continuano, dice Bouckaert, che questo settimana ha potuto osservare le milizie di Misurata che incendiavano le case a Tawerga, cosicché la popolazione di colore che lì è la maggioranza e che è accusata di appoggiare Gheddafi, non potrà più ritornarvi.
Per tutto il tempo i capi della NATO e i mezzi di informazione che ne promuovevano le iniziative, hanno chiuso un occhio su questi orrori perché si vantano del trionfo della libertà e borbottano riguardo della necessità di moderazione. Adesso, però, è assolutamente chiaro che se lo scopo dell’intervento dell’Occidente nella guerra civile in Libia era quello di “proteggere i civili” e di salvare le vite umane, è stato un fallimento catastrofico.
David Cameron e Nicolas Sarkozy in marzo hanno ottenuto l’autorizzazione a usare “tutti i mezzi necessari” da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in quanto le forze di Ghedaffi stavano per commettere a Bengasi un massacro sul modello di quello di Srebrenica. Naturalmente non potremo mai sapere che cosa sarebbe successo senza l’intervento della NATO. Non c’è però, di fatto, alcuna prova comprese quelle di altre città in mano ai ribelli che Gheddafi aveva ripreso. – che indichi che avesse o la capacità o anche l’intenzione di perpetrare atrocità simili contro una città armata e con 700.000 abitanti.
Quello che ora si sa, tuttavia, è, che mentre i numero delle vittime in Libia quando è intervenuta la NATO era forse di 1000-2000 (in base a stime degli Stati Uniti), 8 mesi dopo era probabilmente 10 volte maggiore. Le stime del numero di morti negli ultimi 8 mesi, quando i capi della NATO avevano messo il veto al cessate il fuoco e ai negoziati, erano comprese tra i 10.000 e i 50.000. Il Consiglio Nazionale di transizione indica le perdite in 30.000 morti e 50.000 feriti.
Di questi, innumerevoli migliaia saranno civili, compresi quelli uccisi dai bombardamenti della NATO e dalle Forze di terra appoggiate dalla NATO. Queste cifre fanno sembrare piccolo il numero di morti delle altre più sanguinose insurrezioni arabe di questo anno in Sirima e in Yemen. La NATO non ha protetto i civili in Libia, ha moltiplicato il numero dei morti in quel paese, mentre non ha perduto neanche uno solo dei suoi soldati.
Alle le potenze occidentali, naturalmente, la guerra in Libia ha permesso di riguadagnare il terreno perduto in Tunisia e in Egitto, di mettersi nel cuore dell’insurrezione che si è estesa nell’area più sensibile del mondo dal punto di vista strategico, e di assicurarsi nuovi preziosi vantaggi commerciali in uno stato ricco di petrolio il cui precedente governo era, nel migliore dei casi, inaffidabile. Non ci si deve meravigliare se il Segretario britannico della difesa sta raccomandando agli uomini di affari di “preparare le valigie” per la Libia e che l’Ambasciata degli Stati Uniti a Tripoli insista che c’è bisogno delle compagnie commerciali americane “su larga scala”.
Per i Libici, invece, ha significato la perdita del possesso del loro futuro e l’effettiva imposizione di un’amministrazione scelta dall’Occidente con disertori di Gheddafi e i patrimoni dell’intelligence statunitense e britannica. Probabilmente la più grossa sfida a quella presa di potere verrà ora dai locali capi militari islamisti, come il comandante di Tripol Abdel Hakim Belhaj – rapito dalla M16 (sezione 6 dell’Intelligence militare della Gran Bretagna, http://it.wikipedia.org/Secret_Intelligence_Service) in Libia nel 2004 per essere torturato – che ha già detto chiaramente che non prenderà ordini dal Consiglio Nazionale di Transizione.
Non c’è da meravigliarsi se i capi del Consiglio chiedono ora alla NATO di restare
e gli ufficiali della NATO hanno fatto sapere che “entreranno in azione” se le fazioni libiche finiranno per combattere tra di loro.
Il precedente libico è una minaccia alle speranze di genuino cambiamento e di indipendenza in tutto il mondo arabo e oltre. In Siria, dove mesi di sanguinosa repressione rischiano di far precipitare il paese in una guerra civile su vasta scala, elementi dell’opposizione hanno iniziato a chiedere una “zona interdetta agli aerei” per proteggere i civili. In Africa, dove Barack Obama ha appena mandato delle truppe in Uganda, e la Francia sta fornendo appoggio militare all’intervento del Kenya in Somalia, le occasioni per camuffare una nuova lotta per le risorse come intervento umanitario soni illimitate.
Il partito progressista islamista An-Nahada, una volta selvaggiamente represso, ha vinto le elezioni tunisine questa settimana con una piattaforma di democrazia pluralista, di giustizia sociale e di indipendenza nazionale .La Tunisia non ha dovuto affrontare nulla di simile al contraccolpo che altri paesi arabi hanno ricevuto, ma quello spirito è la forza che spinge il movimento verso i cambiamenti in tutta la zona da tempo manipolata e dominata dalle potenze straniere.
Quello che ha fatto capire brutalmente la tragedia libica, è che l’intervento straniero non solo soffoca la libertà nazionale e l’auto-determinazione, ma non protegge neanche le vite.
Da: Z Net –Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Maria Chiara Starace