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Archivi della categoria: Libia

Libia

20 domenica Nov 2011

Posted by Redazione in Africa, Libia, Saul Landau

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Libia

 

Di Saul Landau

 

18 novembre 2011

 

All’inizio della primavera 1982, ho accompagnato in Libia, l’ex Senatore statunitense Jim Abourezk (democratico del South Dakota) La  National Geographic (Society)  gli aveva chiesto di ottenere il permesso del governo libico per  filmare diversi siti di rovine romane.

Ha incontrato dei funzionari mentre camminavo per le strade di Tripoli. In una caffetteria vicino all’albergo, un gruppo di giovanotti hanno smesso di     trastullarsi con i loro “rosari” di  grani, si sono alzati e mi hanno seguito. Come la maggior parte dei giovani che vedevo, anche questi erano ben vestiti e avevano un aspetto sano, forse un po’  in overdose di caffeina.

Ho cercato di ignorarli mentre passeggiavo nel Suq – il vecchio mercato –

inchiodate.  Il Presidente Gheddafi aveva costruito dei grandi magazzini di cinque piani.

Due sere dopo, Abourezk mi ha portato in un nuovo grande magazzino. Ho visto dei grossi bidoni tipici dei grandi magazzini economici US Dollar che erano però  pieni di costosi elettrodomestici. A un altro piano, degli uomini scalzi con dei vestiti lunghi si provavano dei completi di stilisti che erano appesi. I completi di Pierre Cardin erano  rosa acceso, arancione e viola. Strano per una città dove non sembrava ci fossero protettori o prostitute! Ho osservato alcuni di questi uomini scalzi provarsi questi capi di vestiario e comprarli.

Un giorno ho imbucato una cartolina per mia figlia in cassetta delle lettere per strada. La mia scorta non invitata ha riso rumorosamente.. Ho chiesto, in inglese: “Perché ridete?”

“Nessuno raccoglie la posta da quella cassetta”, mi ha risposto uno ridacchiando.

“Perché mi state seguendo?”

Lo stesso giovane ha spiegato: “Facciamo parte della polizia segreta.”

“Segreta?”

“Tutti i Libici fanno parte della polizia segreta,”  ha chiarito.

Il gruppo mi ha invitato a prendere un caffè. Non avevano lavoro e, come la maggior parte dei Libici, vivevano con i sussidi. Gli stranieri facevano la maggior parte del lavoro non statale. Nell’albergo  dei Filippini facevano i facchini, gli Egiziani stavano alla reception,  i Nubiani ci servivano nella caffetteria. Dopo aver preso il caffè e avermi fatto delle domande sull’America, hanno riaccompagnato “nostro fratello” in albergo.

Durante le mie passeggiate nei dintorni dell’albergo,  ho notato che c’erano    asili per bambini, scuole e ospedali.  Gheddafi aveva davvero distribuito la ricchezza ricavata dal petrolio ai due milioni e più di Libici che ora sono 6 milioni.

Non tutti i Libici erano d’accordo su questo. Un cameriere di un caffè sulla strada che conduceva  le rovine della città romana di Sabratha odiava Gheddafi: “uomo di una tribù di traditori” Insieme al fotografo della National Geographic, ho esplorato i resti di strade romane e l’architettura  di quel sito. Fantastico! Non abbiamo incontrato nessun turista.

 

All’inizio del 21° secolo, Gheddafi ha  cambiato la sua posizione politica. Ha abbandonatola strada  dell’appoggio ai  terroristi e ha abbandonato il programma per le armi nucleari. Come reazione, i capi  occidentali hanno dato il benvenuto al governante libico – Berlusconi gli ha baciato la mano. Poi, nel 2011, dopo la Primavera Araba, i vertici eletti della democrazia nei campidogli della NATO lo hanno accusato di minacciare le vite della sua stessa gente – come se questo potesse dar fastidio alle potenze coloniali che regolarmente avevano massacrato gli Africani e che sostengono ancora i regimi spietatamente  repressivi in Arabia Saudita e nel Bahrein. L’élite della NATO ha convinto al voto  una minima  maggioranza  della Lega Araba e ha manovrato in modo  che l’ONU emanasse un mandato in  appoggio alla sua azione.  Poi la NATO ha sferrato incursioni aeree  sulla Libia durate  otto mesi per proteggere il popolo di quel paese.

C’erano  ancora migliaia di vittime mai contate, ma i capi della NATO erano raggianti: la loro potenza aerea aveva finalmente funzionato – come non era invece accaduto in Vietnam e in Corea – per distruggere un governo “canaglia”. Si erano dimenticati (?) che negli anni precedenti avevano celebrato Gheddafi e che l’uomo forte della Libia li aveva aiutati nella guerra contro il terrore. Per abbandonare la sua scelta nucleare, Gheddafi ha imparato (brevemente): nessuna opera buona resta impunita o viene ricordata.

La NATO ha fatto 26.000 sortite, molte con bombe e missili, soltanto, però, contro “obiettivi militari”, non contro le rovine romane. Non  hanno mai fornito comunicati sui morti Libici- I filmati dei notiziari, però, mostravano cadaveri e case distrutte.  La  propaganda della NATO diceva: “Hurrah, il mondo si è liberato del malefico Gheddafi.”

Comunque, i morti erano dei cattivi, altrimenti i piloti buoni della NATO non li avrebbe uccisi  perché la loro missione era di proteggere i civili innocenti.

Nel 2010, il governo della NATO ha incoraggiato i loro mercanti di armi a fornire a Gheddafi “una scorta di armi apparentemente infinita.” In effetti, “a una fiera di armi a Tripoli, soltanto pochi giorni prima che cominciassero le operazioni della NATO, le aziende italiane erano impegnate a rimodernare l’equipaggiamento dell’aviazione e dell’esercito della Libia.”(http://www.caat.org.uk/, Andrew Feinstein. (http://www.guardian.co.uk/world/2011/oct/26/gaddafis-arm-stockpile. Vedere anche: Andrew Feinstein’s The Shadow  World: Inside the Global Arms Trade, Penguin – Il mondo ombra: dentro il commercio globale delle armi).

La NATO e il suo seguito hanno localizzato  e distrutto molte di quelle armi fornite dagli Europei. Quando il nuovo governo si formerà, gli stessi trafficanti di armi rimpiazzeranno le scorte che le forze della NATO hanno distrutto?

La NATO ha riconosciuto i vittoriosi ribelli libici  democratici. Questi “democratici” della NATO avevano commesso molti  abusi dei diritti umani secondo i supervisori dello   Human Rights Watch (Osservatorio dei Diritti Umani). A Sirte, coloro che indagavano, hanno scoperto 53 cadaveri in un albergo abbandonato – tutti sostenitori di Gheddafi. http://frontepagemag.com/2011/10/26/the-libyan-rebels-massacre BBC July 31 2011.

A Tawarghaby, gli insorgenti vittoriosi hanno compiuto rappresaglie brutali contro residenti pro Gheddafi ( “Libya militia ‘terrorises’ pro-Gheddafi town of Tawargha,” BBC News, 31 October 2011 – La milizia libica ‘terrorizza’ la città di Tawargha pro-Gheddafi).

Il Segretario di stato Clinton ha ridacchiato  (“Siamo venuti, abbiamo visto, lui è morto”) mentre gli inviati hanno notato che alcuni unità di ribelli si rifiutavano di deporre le armi; altri hanno derubato e maltrattato i loro prigionieri. (David D. Kirkpatrick, “In Libya, Fighting May Outlast the Revolution –NY Times, November 3, 2011 – In Libia la lotta armata può durare più a lungo della rivoluzione). La lotta armata tra i ribelli è scoppiata in numerose località.

Dettagli! Non è importante. L’avventura della NATO è stato un intervento umanitario che ha avuto successo. Ha salvato delle vite e ha difeso la democrazia. La NATO si è ritirata. Chi sarà il prossimo?

 

P.S. Ogni giorno che ho passato in Libia ho visto Gheddafi. Alle 17 la televisione mostrava il deserto, in mezzo al quale c’era una macchiolina nera. E’ iniziata una zummata molto lenta. Alle 17.05 è venuta fuori una forma  che, alle 17.07 appariva come  un uomo in preghiera. Si indovinava. Alle 17.10 Gheddafi piegava la testa fino a terra e la ritirava su sempre pregando. Non mi mancherà, neanche alla televisione. La cartolina che ho spedito nella buca delle lettere che sembrava morta è arrivata a Washington – nove mesi dopo.

 

Il film di Landau “WILL THE REAL TERRORIST PLEASE STAND UP?  (Il vero terrorista vuole alzarsi in piedi, per favore?) sarà proiettato il 3 dicembre alle 17.30 e alle 19.30 all’Auditorium Kennel presso la New School for Social Research, 66, Fifth Avenue. Il suo BUSH AND BOTOX WORLD (Il mondo di Bush e Botox è stato pubblicato da Counterpunch.).

 

Da Z Net- Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/libya-by-saul-landau

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

© 2011 ZNETItaly– Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA  3.0

 

 

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Se lo scopo della guerra libica era salvare delle vite, è stato un fallimento catastrofico

01 martedì Nov 2011

Posted by Redazione in Africa, Libia, Seumas Milne

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Gheddafi, rivoluzioni arabe

di Seumas Milne  (30 ottobre 2011)

 

 

Fonte: The Guardian

 

 

 

Il frutto più incoraggiante della Primavera Araba finora, è sbocciato questa settimana nelle elezioni in Tunisia che hanno avuto un buon esito il suo lato più brutto, invece, è stato rivelato in Libia. Non ha riguardato soltanto, e neanche principalmente, il linciaggio di Gheddafi diffuso su YouTube, gentile concessione dell’attacco della NATO contro il convoglio dove egli viaggiava.

 

La raccapricciante uccisione del despota libico dopo che quelli che lo avevano  catturato lo hanno sodomizzato con un coltello, è stata certamente un crimine di guerra. Molte persone in Libia e fuori, però, si sono rese conto che è stato un comprensibile atto di vendetta dopo anni di violenze da parte del regime. Forse quella è stata anche la reazione di Hillary Clinton quando ha scherzo sull’evento alla televisione, fino a quando la repulsione in tutto il mondo ha spinto gli Stati uniti a chiedere un’indagine.

 

Mentre, tuttavia, diventa più chiara la realtà di quella che i mezzi di informazione occidentali hanno acclamato come la “liberazione” della Libia, la “macellazione” di Gheddafi si è rivelata soltanto come un riflesso di una panorama molto più vasto. Martedì, l’Osservatorio per i diritti umani ha riferito circa la scoperta di  54 cadaveri di militari e di civili, trovati nell’ultima roccaforte di Gheddafi a Sirte, apparentemente giustiziati –con le mani legate – dall’ex milizia dei ribelli.

 

Colui che ha fatto l’indagine in Libia, Peter Bouckaert,  mi ha detto ieri che si continuano a scoprire altri corpi a Sirte, dove le prove indicano che circa 500 persone, civili e combattenti, sono stati uccisi solo negli ultimi 10 giorni  con armi da fuoco, e bombardamenti di terra e aerei  della NATO.

 

Questo è avvenuto dopo un assedio di due mesi e di bombardamenti indiscriminati di una città di 100.000 abitanti che è stata ridotta in uno stato di distruzione come quello di Grozny.  Dalle truppe trionfanti dei ribelli con l’appoggio degli aerei e delle Forze speciali della NATO.

 

Questi luoghi di massacri sono soltanto gli ultimi di molte scoperte analoghe. Amnesty International ha ora fornito prove compendiose di rapimenti ti e detenzioni di massa, di punizioni e torture inflitte con regolarità, di uccisioni e atrocità compiute dalle milizie dei ribelli che Gran Bretagna, Francia e Stati uniti hanno appoggiato negli ultimi 8 mesi – probabilmente per mettere fine proprio a quel tipo di crimini che stava commettendo il regime di Gheddafi.

 

In tutto quel periodo gli emigranti Africani e i Libici di colore sono stati soggetti a un’incessante  campagna razzista in di detenzione di massa, linciaggi  e atrocità compiuti con il solito motivo infondato che erano stati mercenari fedeli a Gheddafi. Questi attacchi continuano, dice Bouckaert, che questo settimana ha potuto osservare le milizie di Misurata che incendiavano le case a Tawerga, cosicché la popolazione di colore che lì è la maggioranza  e che è  accusata di appoggiare Gheddafi, non potrà più ritornarvi.

 

Per tutto il tempo i capi della NATO e i mezzi di informazione che ne promuovevano le iniziative, hanno chiuso un occhio su questi orrori perché si vantano del trionfo della libertà e borbottano riguardo della necessità di moderazione. Adesso, però, è assolutamente chiaro che se lo scopo dell’intervento dell’Occidente nella guerra civile in Libia era quello di “proteggere i civili” e di salvare le vite umane, è stato un fallimento catastrofico.

 

David Cameron e Nicolas Sarkozy in marzo hanno ottenuto l’autorizzazione a usare “tutti i mezzi necessari” da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU in quanto le forze di Ghedaffi  stavano per commettere a Bengasi un massacro sul modello di quello di Srebrenica. Naturalmente non potremo mai sapere che cosa sarebbe successo senza l’intervento della NATO. Non c’è però, di fatto, alcuna prova comprese quelle di altre città in mano ai ribelli che Gheddafi aveva ripreso. – che indichi che avesse o la capacità o anche l’intenzione di perpetrare atrocità simili contro una città  armata e con 700.000 abitanti.

 

Quello che ora si sa, tuttavia, è, che mentre i numero delle vittime in Libia quando è intervenuta la NATO era forse di 1000-2000 (in base a stime degli Stati Uniti), 8 mesi dopo era probabilmente 10 volte maggiore. Le stime del numero di morti negli ultimi 8 mesi, quando i capi della NATO avevano messo il veto al cessate il fuoco e ai negoziati, erano comprese tra i 10.000 e i 50.000. Il Consiglio Nazionale di transizione indica le perdite in 30.000 morti e 50.000 feriti.

 

Di questi, innumerevoli migliaia saranno civili, compresi quelli uccisi dai bombardamenti della NATO e dalle Forze di terra appoggiate dalla NATO. Queste cifre fanno sembrare piccolo il numero di morti delle altre più sanguinose insurrezioni arabe di questo anno in Sirima e in Yemen. La NATO non ha protetto i civili in Libia, ha moltiplicato il numero dei morti in quel paese, mentre non ha perduto neanche uno solo dei suoi soldati.

 

Alle le potenze occidentali, naturalmente, la guerra in Libia ha permesso di riguadagnare il terreno perduto in Tunisia e in Egitto, di mettersi nel cuore dell’insurrezione  che si è estesa nell’area più sensibile del mondo  dal punto di vista strategico, e di assicurarsi nuovi preziosi vantaggi commerciali in uno stato ricco di petrolio il cui precedente governo era, nel migliore dei casi, inaffidabile.  Non ci si deve meravigliare se il Segretario britannico della difesa  sta raccomandando agli uomini di affari di “preparare le valigie” per la Libia e che l’Ambasciata degli Stati Uniti a Tripoli insista che c’è bisogno delle compagnie commerciali americane “su larga scala”.

 

Per i Libici, invece, ha significato la perdita  del possesso del loro futuro e l’effettiva imposizione di un’amministrazione scelta dall’Occidente con disertori di Gheddafi e i patrimoni  dell’intelligence statunitense e britannica. Probabilmente la più grossa sfida a quella presa di potere verrà ora dai locali capi militari islamisti, come il comandante di Tripol Abdel Hakim Belhaj – rapito  dalla  M16  (sezione 6 dell’Intelligence militare della Gran Bretagna, http://it.wikipedia.org/Secret_Intelligence_Service)  in Libia nel 2004 per essere torturato – che ha già detto chiaramente che non prenderà ordini dal Consiglio Nazionale di Transizione.

 

 

 

Non c’è da meravigliarsi se i capi del Consiglio chiedono ora alla NATO di restare

 

e gli ufficiali della NATO hanno fatto sapere che “entreranno in azione” se le fazioni libiche finiranno per combattere tra di loro.

 

Il precedente libico è una minaccia alle speranze di genuino cambiamento e di indipendenza in tutto il mondo arabo e oltre. In Siria, dove mesi di sanguinosa repressione rischiano di far precipitare il  paese  in una guerra civile  su vasta scala, elementi dell’opposizione hanno iniziato a chiedere una “zona interdetta agli aerei”  per proteggere i civili. In Africa, dove Barack Obama ha appena mandato delle truppe in Uganda, e la Francia sta fornendo appoggio militare all’intervento del Kenya in Somalia, le occasioni per  camuffare una nuova lotta per le risorse come intervento umanitario soni illimitate.

 

Il partito progressista  islamista An-Nahada, una volta selvaggiamente represso, ha vinto le elezioni tunisine questa settimana con una piattaforma di democrazia pluralista, di giustizia sociale e di indipendenza nazionale .La Tunisia non ha dovuto affrontare nulla di simile al contraccolpo che  altri paesi arabi hanno ricevuto, ma quello spirito è la forza che spinge il movimento verso i cambiamenti in tutta la zona da tempo manipolata e dominata dalle potenze straniere.

 

Quello che ha fatto capire brutalmente la tragedia libica, è che l’intervento straniero non solo soffoca la libertà nazionale e l’auto-determinazione, ma non protegge neanche le vite.

 

 

 

Da: Z Net –Lo spirito della resistenza è vivo

 

 

 

URL: http://www.zcommunications.org/if-the-libyan-war-was-about-saving-lives-it-was-a-catastrophic-failure-by-seumas-milne

 

 

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Dopo Gheddafi l’ovest attende la ricompensa

24 lunedì Ott 2011

Posted by Redazione in Africa, Libia, Phyllis Bennis

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AFRICOM, Bengasi, berlusconi, Blair, Condoleeza Rice, Consiglio di Sicurezza dell'ONU, Consiglio Nazionale di Transizione, Francia, Gheddafi, guerra civile, Hillary Clinton, indicatori di sviluppo umano, Libro Verde, Lockerbie, Misurata, Nafusa, NATO, no-fly zone, Obama, primavera araba, Primavera Libica, regime, RIsoluzione 1973, Samantha Power, Sarkozy, Sirte, Susan Rice, TNC, tuareg, usa

 

 

Di Phyllis Bennis (22 ottobre 2011)

La morte del leader libico Moammar Gheddafi rappresenterà probabilmente – anche se è troppo presto per avere certezza di qualsiasi cosa – la fine della fase corrente della guerra civile libica. Se essa aprirà le porte alla pace, alla riconciliazione nazionale, alla democrazia, alla normalizzazione della regione o ad altri obiettivi è ancor meno chiaro.  E analogamente resta incerto quali saranno i rapporto della Libia post-Gheddafi con gli Stati Uniti e gli altri paesi della NATO.

Un commentatore libico questa mattina su Al Jazeera, festeggiando la morte di Gheddafi, l’ha descritta come la “terza caduta” di dittatori della Primavera Araba.  Ma mentre il rovesciamento del regime di Gheddafi, durato 42 anni, trae le sue origini dalle stesse mobilitazioni non violente della Tunisia e dell’Egitto e da quelle in corso in Bahrain, Siria, Yemen e altrove, la traiettoria libica è stata molto diversa.

E’ cominciato allo stesso modo, con una chiamata nazionale alle proteste contro una dittatura responsabile di terribili repressioni, massacri di prigionieri e altro. Ma quando i dimostranti libici hanno preso le armi, e specialmente quando i capi hanno invitato la NATO e gli USA ad essere la “forza aerea del Consiglio Nazionale di Transizione” (TNC) i paralleli tra la ribellione libica e quelle del resto della Primavera Araba hanno cominciato a logorarsi.

Nella fase iniziale la richiesta del TNC di una “zona d’interdizione al volo [no-fly zone]” ha avuto scarso sostegno popolare.  Molti l’hanno descritta, con diffidenza, come un rischio per l’indipendenza della rivoluzione libica.  Ma il sostegno è risultato crescere quando si è parlato di un “inevitabile” e “imminente” massacro a Bengasi, dove i ribelli armati erano concentrati.  Anche tra i ribelli, il sostegno all’intervento USA/NATO non è mai stato unanime, forse per l’incertezza circa le intenzioni di Gheddafi e, in modo cruciale, circa la sua forza.

Un massacro era certamente possibile. Ma la gente di Bengasi aveva già dimostrato la sua capacità di proteggere la propria città. Quando il primo bombardiere NATO, pilotato da un francese, ha attaccato i quattro carri armati libici all’esterno di Bengasi, essi sono stati presi a bersaglio nel deserto all’esterno della città proprio perché erano già stati respinti fuori dalla città dai combattenti anti-Gheddafi.  La forza militare dei ribelli, in quel momento, era ignota, ma la contraddizione visibile tra quella vittoria iniziale e l’affermazione che solo gli attacchi aerei occidentali avrebbero potuto salvare il popolo di Bengasi può essere stata parte del motivo per cui il disagio per il ruolo degli USA e della NATO è proseguito così a lungo.

La questione è ora se e come la Libia post-Gheddafi, avendo rovesciato il suo regime di lungo corso essenzialmente attraverso una guerra civile in cui USA e NATO hanno appoggiato una parte, anziché mediante i processi rivoluzionari indipendenti e in gran parte non violenti in corso in altri paesi della Primavera Araba, possa reclamare l’orgoglio di un posto all’interno di quel risveglio regionale.

Guerra per il controllo, non per il petrolio

Gli Stati Uniti non sono stati gli istigatori originali dell’intervento NATO.  Quel ruolo appartiene all’Europa, a cominciare dalla Francia, il cui presidente stava soffrendo per gli attacchi politici per la sua reazione troppo inadeguata e troppo tardiva alla rivolta tunisina.  Alle preoccupazioni di Sarkozy per la sua popolarità interna si è unito, in Inghilterra, il governo del Partito Conservatore, che era ansioso di reclamare una posizione in quella che prevedeva sarebbe stata la parte vincente della lotta in Libia. Ciò ha preparato il terreno per posizioni europee privilegiate quanto a influenza presso il nuovo governo post-Gheddafi e, naturalmente, per l’accesso privilegiato al petrolio libico.

Così la Francia e l’Inghilterra hanno assunto la guida al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, predisponendo la bozza di una iniziale risoluzione per una “zona d’interdizione al volo”, ufficialmente per “proteggere i civili” in Libia.  L’esercito statunitense non è stato entusiasta della prospettiva. I massimi ufficiali, compreso il capo di stato maggiore Michael Mullen, hanno spiegato come una “zona d’interdizione al volo” da sola non avrebbe funzionato, che sarebbe stato necessario prima bombardare la Libia per “rimuovere” le sue armi antiaeree e per proteggere i piloti occidentali.  La Casa Bianca ha mostrato scarso entusiasmo.

Poi è prevalso un gruppo presso il Dipartimento di Stato guidato dal Segretario di Stato Hillary Clinton, dall’ambasciatore all’ONU Susan Rice e dal consigliere della Casa Bianca Samantha Power, dirigenti che avevano un passato di frequenti sollecitazioni all’azione militare in reazione a violazioni dei diritti umani. Così, invece di votare semplicemente “no” alla risoluzione che il Pentagono aveva dichiarato che non avrebbe funzionato, gli Stati Uniti hanno preso la bozza anglo-francese e l’hanno “migliorata” prevedendo “tutte le misure necessarie” per proteggere i civili, un semaforo verde all’uso di ogni arma, contro ogni bersaglio, per tutto il tempo che il Pentagono e la NATO avrebbero scelto di restare in Libia.  Ciò ha segnato la fine della Primavera Libica e l’apertura di una guerra civile molto difficile e, per i civili, mortale.

L’intervento USA/NATO in Libia non è stato una “guerra per il petrolio”. L’accesso al petrolio non era stato neppure il principale problema negli anni ’70 e ’80, anni di  opposizione USA al ruolo libico nel sostegno ai movimenti di liberazione nazionale nel corso della Guerra Fredda, né negli anni ’90 quando gli USA isolarono la Libia per il suo coinvolgimento nel terrorismo. Il greggio leggero libico è sempre stato ampiamente disponibile nel mercato mondiale del petrolio.

Ma dopo il 2001, quando l’amministrazione Bush era ansiosa di radunare nuove reclute per la sua “guerra globale al terrore”, sono stati inviati emissari a fare le moine al leader libico per tanto tempo scorticato. Nel giro di un paio d’anno Gheddafi è stato  tolto dal ghetto. Aveva accettato di smantellare il nascente programma nucleare libico, aveva offerto risarcimenti alle famiglie dell’attentato di Lockerbie, aveva offerto normali relazioni diplomatiche ai suoi nemici d’un tempo, e futuri, negli Stati Uniti e in Europa.  Arrivati al 2003, o giù di lì, le compagnie petrolifere europee e statunitensi facevano la fila per firmare contratti.  Nel 2007 e dopo, foto di Gheddafi a braccetto con Sarkozy, Tony Blair, Silvio Berlusconi – e sia con Bush e Obama e, celebri, con Condolezza Rice – erano i pezzi forti delle prime pagine dei giornali e dei siti web di tutto il mondo.

Per gli Stati Uniti, nel 2011 l’interesse strategico a rivolgersi contro Gheddafi dopo anni di buone relazioni cameratesche era principalmente basato sulla paura della perdita di controllo. Gheddafi era il nostro uomo adesso, ma gli Stati Uniti dovevano chiedersi: “E se …?” E se il volubile leader libico, sotto pressione per i processi di democratizzazione contro le dittature oltre confine, cambiasse corso e si rivolgesse per collegamenti strategici ai nemici di Washington?  La Cina continua la sua espansione di investimenti e influenza in Africa. “E se …?” Gli oppositori di Gheddafi includono islamici di varie correnti, compresi alcuni salafiti, seguaci dell’Islam estremista con base in Arabia Saudita favorito da alcuni militanti. “E se …?”  Lo stesso popolo libico potrebbe decidere che un’alleanza con l’occidente non sia nel proprio migliore interesse. “ E se …?”

“E se …?” si è presto trasformato in “E allora dài!” E così tutto è cominciato. Il Comando Africano degli USA (AFRICOM) ha avuto la sua prima occasione di mostrare gli attributi (anche se risulta che il capo dell’AFRICOM sia stato sostituito dai comandanti dell’aviazione USA presso le basi NATO in Italia). I leader dell’opposizione libica che all’inizio avevano detto: “Possiamo farcela da soli,” hanno cominciato a dire: “Solo una zona d’interdizione al volo, ma nessun intervento straniero” anche se i massimi generali statunitensi avevano già detto che non si poteva avere l’una senza l’altro.  E con la Risoluzione 1873 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che includeva la formulazione estensiva di “tutti i mezzi necessari” riguardo agli attacchi militari, le altre richieste della risoluzione di negoziati e soprattutto di un immediato cessate il fuoco, sono state scartate dalle potenze occidentali.  Naturalmente anche Gheddafi ha schernito il cessate il fuoco, ma la risoluzione dell’ONU avrebbe dovuto portare a un’enfasi molto maggiore sui negoziati per por fine alla violenza.

Rimane senza risposta la questione riguardante se, quando e in quale misura una nuova Libia possa liberarsi dalla sua attuale dipendenza dagli eserciti occidentali e da altri sostenitori strategici.

Una società divisa

Come nel caso dell’Egitto e della Tunisia è risultato che la maggior parte dei libici erano a sostegno delle richieste di maggiore democrazia, maggiori diritti, persino di una fine del regime. Ma non tutti. Un numero significativo di libici appoggiava chiaramente il regime, una situazione più vicina alla crisi in corso che si manifesta in Siria.

Sarebbe stato sorprendente che non fosse stato così. Nel suo regno durato 42 anni, Gheddafi aveva concentrato il potere nelle sue mani e aveva concesso poca libertà di espressione, libertà di assemblea o di opposizione politica.  Aveva usato le entrate dal petrolio della Libia per armare e addestrare un insieme di milizie geograficamente e politicamente separate, molte delle quali comandate dai suoi figli e da altri parenti, ma che rispondevano solo a lui, mentre l’esercito nazionale ufficiale restava relativamente debole.

Ma la ricchezza petrolifera della Libia è grande abbastanza, e la sua popolazioni abbastanza limitata, il quasi-socialismo da “Libro Verde” di Gheddafi, pur eccentrico quale era, prevedeva comunque sistemi nazionali di assistenza sanitaria, istruzione e sicurezza sociale che avevano portato il paese ai livelli più alti nelle graduatorie degli indicatori di sviluppo umano delle Nazioni Unite.  E, a motivo della singolare concentrazione di potere nelle mani di una sola persona, a Gheddafi era attribuita non solo la repressione ma anche l’occupazione, l’accesso agli ospedali, le borse di studio universitarie eccetera.

Certamente tali diritti economici e sociali non erano disponibili equamente.  La storia moderna della Libia come nazione unificata si è basata su un’unione spesso non facile delle parti occidentale ed orientale che avevano lunghe storie di provincie separate sotto il regime coloniale e prima di esso.  Gheddafi aveva sempre trovato maggior sostegno nella Libia occidentale, Tripoli compresa, rispetto alla metà orientale del paese, dove Bengasi è la città più grande.  La stessa sua città natale, Sirte, dove è stato ucciso giovedì, si trova sulla costa quasi esattamente a mezza strada tra est e ovest.  Sirte, in particolar modo, e la parte occidentale della Libia, in generale, hanno ricevuto un accesso relativamente privilegiato ai vantaggi della ricchezza petrolifera libica.

La sfida che si pone alla Libia post-Gheddafi è tremenda.  Il potere, la responsabilità e specialmente la legittimità della struttura del  governo transitorio restano contestati. La guerra civile ha creato nuove divisioni e ne ha consolidate altre tra parti della popolazione libica. Le spaccature tra l’est e l’ovest si sono amplificate, con il Consiglio Nazionale di Transizione, con sede a Bengasi, ampiamente privo della fiducia di altre aree del paese.  Esso ha già avuto difficoltà a insediarsi a Tripoli, dove resta la rabbia per la sproporzionata rappresentanza della Libia orientale di Bengasi.

Le milizie anti-Gheddafi restano in larga misura indipendenti dal TNC, con combattenti della città occidentale di Misurata e delle Montagne di Nafusa che rendono pubblica la loro posizione di non responsabilità nei confronti del TNC.

Le divisioni si sono esacerbate tra i libici arabi e tuareg, così come tra quelli che parlano lingue diverse, le tribù o i clan locali e le identità regionali.  La divisione tra i libici arabi di pelle più chiara e i libici africani neri è stata ulteriormente peggiorata dalle diffuse aggressioni ai libici di pelle scura e ai lavoratori africani sub-sahariani da parte dei combattenti anti-Gheddafi che li hanno accusati di essere mercenari di Gheddafi.  Anche se mercenari africani hanno fatto realmente parte di alcune milizie pro-Gheddafi, la gran maggioranza degli africani in Libia vi è presente come immigrati economici, che lavorano nelle occupazioni meno pagate e più dure del paese.  Il razzismo implicito in tali attacchi è ora una ferita aperta in tutta la società libica.

Come includerà il TNC – o qualsiasi altra struttura governativa gli succeda – i rappresentanti di Sirte, che molti all’interno o vicini al TNC hanno condannato come lealisti di Gheddafi?  Certamente la popolazione di Sirte comprendeva molti sostenitori del leader abbattuto e ora morto, ma molti avevano lasciato la città prima che i combattimenti si intensificassero nelle settimane recenti.  Stanno ora tornando, per trovare la loro città in rovina, con interi isolati saccheggiati e distrutti.

Il TNC si è impegnato a indire elezioni entro otto mesi dalla “liberazione finale” del paese che ci si attende venga annunciato in qualche momento oggi o domani.  Il primo ministro nominato con il sostegno degli Stati Uniti ha promesso di dimettersi immediatamente dopo quell’annuncio.  Se tali promesse saranno mantenute, se qualcosa che assomigli remotamente a elezioni corrette e libere si potrà organizzare in otto mesi in un paese senza tradizioni recenti di partiti politici o di istituzioni della società civile, resta un’enorme sfida.

C’è stato un affascinante lapsus freudiano giovedì pomeriggio quando il Segretario di Stato Hillary Clinton, riferendosi alla Libia ora inondata di armi, ha descritto la “preoccupazione [statunitense] per come disarmeremo” il paese,  rendendosi solo allora conto dell’errore e correggendo la sua dichiarazione in “o come i libici disarmeranno chiunque detenga armi.”

Se le offerte di “aiuto” statunitensi ed europee  serviranno da copertura per garantire l’elezione di un governo filostatunitense, per mantenere la dipendenza libica dall’occidente e mantenere così un punto d’appoggio statunitense nel centro stesso della Primavera Araba, altrimenti indipendente, sono questioni in sospeso dietro i festeggiamenti odierni nelle strade della Libia.

Phyllis Bennis è membro dell’Institute for Policy Studies. I suoi libri comprendono ‘Calling the Shots: How Washington Dominates Today’s UN’ [Chi comanda: come Washington domina l’ONU odierna]

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.zcommunications.org/after-gadhafi-the-west-eyes-the-libyan-prize-by-phyllis-bennis

Fonte: Salon.com

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 

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Perchè biasimare Gheddafi se si credeva uno dei buoni?

22 sabato Ott 2011

Posted by Redazione in Libia, Robert Fisk

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Tag

Blair, Ceasescu, governo coloniale italiano, Hhillary Clinton, IRA, Saddam Hussein, Semtex

 

 

 

 

di  Robert Fisk (21 ottobre 2011)

Lo abbiamo amato. Lo abbiamo odiato. Poi lo abbiamo amato di nuovo.  Blair gli ha sbavato addosso.  Poi lo abbiamo odiato di nuovo.  Poi la Clinton ha sbavato per il suo Blackberry e lo abbiamo odiato davvero di nuovo e di più.  Preghiamo che non sia stato assassinato. “Deceduto in seguito alle ferite riportate durante la cattura.” Che cosa vuol dire?

Era una strana combinazione di Don Corleone e Paperino – l’unico momento di verità di Tom Friedman a proposito di Saddam Hussein – e noi, che dovevamo assistere alle sue ridicole parate militari e ai suoi discorsi, ci mordevamo le labbra e scrivevamo dei carri armati libici e dei marines e dei missili che si presumeva dovessero prendere sul serio quelle scemenze.  I suoi sommozzatori facevano avanti e indietro nel caldo della Piazza Verde e noi dovevamo accettare questa robaccia al suo valore facciale e far finta che fosse una vera minaccia per Israele; proprio come Blair ha cercato di persuaderci (non senza successo) che i patetici tentativi di Gheddafi di creare “armi di distruzione di massa” erano stati infilzati.  Questo, in un paese che non era in grado di riparare un gabinetto pubblico.

Dunque è andato, il colonnello un tempo amato dal Foreign Office (dopo il colpo di stato contro re Idris), poi considerato uno col quale si era in “mani sicure”, poi schifato perché aveva inviato armi all’IRA, poi amato, ecc. ecc. Lo si può biasimare per aver pensato di essere un brav’uomo?

Ed è morto così? Colpito mentre cercava di resistere?  Abbiamo accettato la morte di Ceasescu (e quella di sua moglie), dunque perché non quella di Gheddafi? E la moglie di Gheddafi è salva.  Perché il dittatore non avrebbe dovuto morire così? Domanda interessante. Sono stati i nostri amici del Consiglio Nazionale di Transizione a decretare la sua fine? O è stata “naturale”, una morte per mano dei suoi nemici, una fine onorevole per un uomo cattivo? Me lo chiedo.  Come dev’essersi sentito sollevato l’Occidente che non ci siano stati processi, niente discorsi infiniti del Grande Leader, nessuna difesa del suo regime!  Niente processo significa niente problemi di consegna e di torture e niente tagli ai genitali.

Non ricordiamo, dunque, nessuna delle umiliazioni nei confronti di Gheddafi.  Più di trent’anni fa mi recai a Tripoli a incontrare l’uomo dell’IRA che aveva spedito il Semtex in Irlanda e aveva protetto i cittadini irlandesi in Libia, e i libici furono ben felici che io potessi incontrarli.  E perché no? Perché quello era il periodo in cui Gheddafi era il leader del Terzo Mondo. Ci abituammo ai modi del suo regime.  Ci abituammo alla sua crudeltà.  Ne fummo conniventi, una volta che diventò “normale”.  Dunque è stato  importante por fine alla documentazione della sua malvagità per conto nostro.

In effetti la fine di ogni prova giuridica delle torture da parte del regime di Gheddafi, per conto e nell’interesse (ovviamente) del governo inglese, sarebbe una buona cosa, vero? La donna inglese che sapeva tutto di queste torture – non nominata, ma ne conosco il nome, perciò assicuratevi che non si comporti male di nuovo – sarà al sicuro dall’incriminazione (come non dovrebbe essere)?  E saremo tutti accoglienti nei confronti dei compagni di Gheddafi in seguito alla sua fine?

Forse. Ma non dimentichiamo il passato.  Gheddafi ricordava il governo coloniale italiano in Libia, il disgustoso dominio italiano nel corso del quale ogni libico doveva scendere nella cunetta quando incrociava un italiano, quando gli eroi libici venivano impiccati in pubblico, quando la libertà libica era considerata “terrorismo”.  Gli uomini del petrolio e i ragazzi e le ragazze del Fondo Monetario Internazionale non saranno trattati meglio, con la stessa soggezione. I libici sono gente in gamba.  Gheddafi lo sapeva; anche se, fatalmente, si riteneva ancor più in gamba di loro.  L’idea che queste popolazioni tribali tutto ad un tratto si “globalizzino” e divengano diverse è ridicola.

Gheddafi è stato uno dei quei potenti arabi per i quali il nomignolo di “pazzo” era appropriato, e che tuttavia parlava con una sua sensatezza.  Non credeva nella “Palestina” perché pensava che gli israeliani avessero già rubato sin troppa terra araba (corretto) e non credeva davvero nel mondo arabo; da qui le sue convinzioni tribali. E’ stato davvero una persona molto eccentrica.

Aspetteremo di scoprire come Gheddafi è morto.  E’ stato assassinato? Stava “resistendo” (una buona cosa da farsi, da un punto di vista tribale)? Non preoccupatevi; la Clinton sarà felice che sia stato “ucciso”.

 

COMMENTI

 

Realizzazioni di Gheddafi – di Protagoras, Dolores – 21 ottobre 2011 10.56

 

Voglio richiamare l’attenzione su alcuni fatti riguardanti la Libia. L’aspettativa di vita è di 75 anni per gli uomini e di 79,8 anni per le donne (Libro dei Fatti Mondiali della CIA, 2010). Il tasso di mortalità infantile è di 18 su 1.000 nati vivi (Nazioni Unite 2011), un quinto del livello del 1970, e più del 90% dei bambini è vaccinato (UNICEF 2009). Il tasso di alfabetizzazione è del 90% e per le donne di un enorme, per un paese arabo, 70% (www.answers.com).  In numerose città funzionano ospedali moderni e c’è una rete di centri di assistenza all’infanzia che hanno sofferto di gravi ristrettezze negli anni del blocco economico.  Colleghi che vi hanno lavorato (prima del blocco) sono rimasti impressionati dalla qualità delle strutture e dei servizi gratuiti. Queste realizzazioni testimoniano di un governo che per decenni si è occupato dei bisogni basilari del popolo. Cosa c’è di “folle” in questo?  Leggo che il reddito pro capite nel 2010 è stato di 12.000 dollari (Libro dei Fatti Mondiali della CIA). Come abbiamo constatato, centinaia di migliaia di lavoratori stranieri si sono ora trasformati in rifugiati o sono stati vittime di azioni della folla. Sono sorpresa che un esperto come lei non abbia scritto questo.

 

Rif.: Realizzazioni di Gheddafi – di Keller, Keith – 21 ottobre 2011, 23.10

Dolores, non solo questi fatti non sono pubblicati sui media convenzionali (e non così frequentemente sui media alternativi) ma è abbastanza facile prevedere che i cambiamenti di queste statistiche tra cinque, dieci, vent’anni, non vedranno mai la luce.  Cos’ha ottenuto da questo il popolo libico?  La probabile prospettiva di elezioni in cui deve scegliere tra due candidati approvati dagli USA. Sai, la democrazia in stile statunitense.  Quanto al benessere concreto, l’impero non è intervenuto per migliorare le loro vite.  Benvenute le correzioni strutturali, addio a uno stile di vita decente. La globalizzazione neoliberale procede di buon passo. Quanto a Fisk, è un apologeta liberale, non un radicale che racconta la verità come John Pilger.

 

Rif.: Realizzazioni di Gheddafi – di Stern, Jerome – 21 ottobre 2011 – 19-36

Grazie Dolores per aver puntualizzato questi fatti. Gli articoli che riferiscono solo una parte della verità sono normali, si potrebbe dire che sono legione, anche a sinistra. Quando i resoconti della sinistra denunciano la verità parziale, o le effettive bugie, dell’establishment, è bene, come nel tuo caso. Ma l’articolo di Fisk non fa questo; è solo una versione più sottile dell’attuale dibattito convenzionale sull’argomento. La verità è spesso complessa e sconveniente per quelli che la usurpano per metterla al servizio dei propri interessi. Ci mette a disagio, così siamo tentati di volgere lo sguardo altrove. Ma penso che sarebbe sbagliato, sia in quanto immorale, sia in quanto, alla lunga, affrontare verità scomode è nel nostro interesse. Per nostro interesse intendo l’interesse di quelli che sperano che un giorno il genere umano spezzerà le catene che lo legano e finalmente sarà davvero libero.

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.zcommunications.org/you-cant-blame-gaddafi-for-thinking-he-was-one-of-the-good-guys-by-robert-fisk

traduzione di Giuseppe Volpe

© 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

 

 

 

 

 

 

 

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