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austerità, BCE, crisi economica, Eurozona, FMI, Latvia, ripresa, svalutazione interna, UE
di Mark Weisbrot – 18 dicembre 2011
Nei mesi recenti alcuni sostenitori delle politiche d’austerità europee hanno reclamizzato la Latvia come una “storia di successo” che dimostra come “la svalutazione interna” può funzionare. Questo era stato il tema di un libro pubblicato in precedenza quest’anno dall’Istituto Peterson per l’Economia Internazionale, uno dei gruppi di esperti più influenti di Washington. Il libro aveva come coautori Anders Aslund, dell’Istituto, e il primo ministro della Latvia, Valdis Dombrovkis.
Questo caso di studio è molto rilevante per l’Europa perché ci sono importanti somiglianze tra la strategia economica della Latvia a partire dal 2008 e quella promossa dalle autorità europee, la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), altrimenti note come “la Troika”.
A prima vista può sembrare ridicolo definire un “successo” una strategia economica se un paese perde il 24% della sua produttività – il dato mondiale peggiore relativamente al crollo del 2008-2009 – e la disoccupazione ufficiale balza dal 5,3% (2007) a più del 20% (inizio 2010). Anche se la disoccupazione è ora tornata al 14,4% e l’economia sta crescendo (una stima del 4% per il 2011), si tratta di un prezzo esorbitante da pagare per una ripresa finale non molto rapida. E’ un po’ come vantarsi del successo della flessione della Grande Depressione del 1929-1933 negli Stati Uniti.
Ma i sostenitori asseriscono che quello della Latvia è stato un successo perché ha mantenuto fisso il rapporto di cambio, legato all’euro. La tesi è che se il paese avesse cercato di perseguire politiche macroeconomiche espansionistiche – ad esempio spesa governativa anticiclica, tassi di interesse più bassi, e, quindi, anche una svalutazione – le conseguenze sarebbero state molto peggiori del peggior declino al mondo. L’idea fondamentale è che la svalutazione avrebbe avuto effetti devastanti sul “bilancio”: molte famiglie e aziende che si erano indebitate in euro ma il cui reddito era in valuta locale sarebbero finite in bancarotta, con effetti catastrofici sul sistema bancario, ecc.
Naturalmente è vero che ci sarebbero state gravi conseguenze negative dalla svalutazione nella situazione della Latvia, e perciò questo argomento non può essere “dimostrato” falso. Tuttavia possiamo considerare l’esperienza di altri paesi che hanno avuto svalutazioni determinate da crisi e hanno sofferto tali perdite. Per 13 paesi nel corso degli ultimi 20 anni, la perdita media di PIL successiva a una svalutazione è stata del 4,5% del PIL. Tre anni dopo, il paese medio era del 6,5% al di sopra del suo picco ante-svalutazione.
La Latvia, in confronto, non ha svalutato e – tre anni dopo – è tuttora del 21% sotto il proprio livello del PIL ante-crisi.
Dunque la tesi che “le cose sarebbero potute andare molto peggio” non sembra plausibile. Alcuni degli altri paesi hanno sofferto gravi crolli finanziari dopo la svalutazione, come l’Argentina che è stata quasi praticamente esclusa dal credito internazionale dopo la sua svalutazione e l’insolvenza del dicembre 2001-gennaio 2002. Tuttavia l’Argentina è andata molto bene dopo la sua svalutazione e insolvenza, con una contrazione iniziale dell’economia del 4,9% e una crescita superiore al 90% nei successivi nove anni. Ma tutti questi 13 paesi con svalutazioni determinate da crisi hanno fatto ampiamente meglio della Latvia.
I costi sociali in Latvia sono stati molto più elevati di quanto indichino le cifre ufficiali della disoccupazione. La disoccupazione/sotto-occupazione (comprendenti coloro che sono costretti a lavorare a tempo parziale o che sono stati espulsi dalla forza lavoro) ha toccato l’anno scorso un picco di oltre il 30%. E una percentuale della forza lavoro stimata nel 10% ha lasciato il paese, un’emigrazione enorme sotto ogni raffronto e una perdita significativa per la Latvia.
Tutta questa disoccupazione e miseria non è un effetto collaterale della strategia della “svalutazione interna”, ma una parte fondamentale di essa. L’idea di una “svalutazione interna” è che, con il cambio fisso, si devono spingere al ribasso i prezzi e specialmente i salari al fine di rendere il paese più competitivo internazionalmente. Ciò viene fatto mediante una grave recessione e un’altissima disoccupazione. Il che fa parte dell’attuale strategia della Troika per rendere più competitive la Grecia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’Irlanda.
Ironicamente, la “svalutazione interna” in Latvia non ha funzionato neppure secondo i propri termini. La debole ripresa dello scorso anno e mezzo deve poco o nulla alle esportazioni nette, che sarebbero state il motore della ripresa se la svalutazione interna avesse funzionato davvero e avesse reso più competitive le imprese del paese in concorrenza nelle esportazioni e importazioni. Sembra piuttosto che l’economia si sia ripresa perché il governo ha interrotto la sua stretta sul bilancio dopo una contrazione economica enorme e perché c’è stata una vampata di inflazione che ha aiutato il paese a uscire dal suo caos deflazionistico.
Neppure nell’Eurozona funziona la “svalutazione interna”, in quanto l’area della moneta comune appare oggi in recessione, secondo le più recenti stime dell’OCSE. L’altra parte della strategia della Troika, un soccorso da parte delle “fate della fiducia” nei mercati obbligazionari, sta facendo ancor peggio. I mercati obbligazionari sembrano rendersi conto che l’austerità attuale e persino gli accordi per un’austerità fiscale meglio coordinata in futuro – cosa che le autorità europee hanno annunciato con gran fanfara la settimana scorsa – non faranno che aumentare il carico del debito dell’Eurozona.
Presto o tardi le autorità europee dovranno smettere di costruire quel ponte verso il diciannovesimo secolo e utilizzare la politica economica moderna per spingere fuori dalla recessione l’economia europea. L’Europa non può permettersi di passare quel che ha passato la Latvia, né può permetterselo il mondo: una recessione più grave in Europa potrebbe creare una crisi finanziaria del tipo di quella che cui abbiamo assistito nel 2008. Questo è il fuoco il quale stanno giocando oggi le autorità europee.
Mark Weisbrot è codirettore del Centro per la Ricerca Economica e Politica a Washington, D.C. E’ anche presidente di Just Foreign Policy [Politica Estera Giusta].
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: http://www.zcommunications.org/europe-s-crisis-and-latvia-s-success-by-mark-weisbrot
Originale: The Guardian
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2011 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0