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di Kanya D’Almeida – 05 dicembre 2011
Washington – La delegazione degli Stati Uniti alla 17esima Conferenza annuale delle Parti (COP) per la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UN FCC) a Durban, Sud Africa, ha subito le pesanti critiche dei leader della società civile e degli attivisti di tutto il mondo per essersi opposta a soluzioni reali per il problema del cambiamento climatico.
Tra le 15.000 e le 20.000 persone (agricoltori, sindacalisti, insegnanti, contadini, studenti, addetti alla nettezza urbana, lavoratori dei trasporti e altri cittadini indignati) si sono raccolte sabato all’esterno dei locali di consultazione dell’ONU a Durban chiedendo “cambiamento del sistema, non cambiamento del clima”.
Molti di questi dimostranti hanno marciato sull’ambasciata USA reclamando che “il maggiore inquinatore del mondo” cominci ad appoggiare soluzioni climatiche che beneficino il 99%.
In solidarietà con le loro controparti africane, cittadini di 20 città degli Stati Uniti hanno manifestato contro le azioni ecodistruttive dell’ “uno per cento” nell’ambito della giornata globale d’azione del 3 dicembre per salvare il pianeta e “occupare il clima”.
Promossi dall’Alleanza della Base per la Giustizia Globale (GGJA), una rete nazionale di organizzazioni di base, assieme alla sezione nordamericana del movimento internazionale di agricoltori, La Via Campesina (che conta 200 milioni di membri), gli eventi di sabato sono stati un tentativo di riunire sotto un’unica bandiera disparate lotte collegate al clima.
“Siamo mobilitati per denunciare le soluzioni palliative promosse dai governi e dalle imprese – come i mercati del carbonio, il REDD++ e la geoingegneria – che sono tutte soltanto dei modi creativi per consentire alle imprese di continuare ad accumulare profitti a spese della gente e di Madre Terra,” ha dichiarato Dena Hoff, membro del National Family Farm Coalition residente nel Montana.
“Come rappresentanti della terra, che alimenta la popolazione mondiale, non possiamo restare a guardare mentre i nostri ecosistemi sono distrutti per l’avidità delle imprese,” ha aggiunto.
“Il governo e le imprese USA sono l’uno per cento responsabile della maggior parte dell’inquinamento che colpisce il 99% del mondo,” ha affermato sabato Francisca Porchas, del Labor Community Strategy Center con sede a Los Angeles. “Noi chiediamo che gli Stati Uniti riducano immediatamente le emissioni di carbonio del 50% del livello attuale entro il 2017 e che smettano di intralciare il procedere del pagamento del debito climatico e della creazione di un accordo internazionalmente vincolante.”
Negli Stati Uniti le azioni hanno preso il via venerdì, quando una delegazione rappresentante i capi di centinaia di tribù di nativi americani si sono presentati al presidente Barack Obama con l’Accordo della Madre Terra , un documento che afferma la loro opposizione allo sviluppo della condotta duramente contestata, TransCanada Keystone XL, che attraversa il paese indiano.
“Preso atto che la conduttura si estenderebbe per 1.980 miglia, da Alberta, Canada, a Nederland, Texas, trasportando sino a 900.000 barili al giorno di petrolio grezzo lurido delle sabbie bituminose” l’Accordo ha condannato severamente il progetto come “suicida” per schiere di comunità native e di luoghi sacri, nonché per la falda acquifera Ogallala, che attualmente sostiene milioni di persone e irriga enormi aree di terra agricola nell’intero cuore degli Stati Uniti.
L’indecisione del governo USA riguardo al progetto, nonostante riferite prove di numerose fuoruscite e dati inconfutabili sull’impatto della conduttura, è indicativa della sua complessiva indifferenza alle richieste dei movimenti sociali e della società civile, dicono gli attivisti.
La delegazione USA a Durban, guidata dall’inviato speciale Todd Stern e dal suo vice, Jonathan Pershing, è rimasta indifferente alla pressione della società civile, continuando a spingere la sua agenda di promozione di nuovi sistemi di “finanziamento climatico” per mitigare l’impatto delle emissioni di carbonio e del riscaldamento globale.
Ciò, nonostante il fatto che un rapporto del 2011 della Banca Mondiale , preparato per la riunione del G20 di quest’anno in Francia e fatto arrivare al Guardian a settembre, abbia ammesso che i mercati globali del carbonio sono in grosse difficoltà.
“Il valore delle transazioni nel mercato CDM [Clean Development Mechanism – Meccanismo di Sviluppo Pulito] primario è sceso ripidamente nel 2009 e ulteriormente nel 2010 … tra croniche incertezze sugli obiettivi futuri di mitigazione e sui meccanismi del mercato dopo il 2012,” ha affermato il rapporto.
Nonostante il fallimento dei mercati finanziari nel regolare sé stessi, per non dire del regolare il clima, Stern e Pershing hanno bloccato persino le proposte più diluite sul tavolo dei negoziati a Duban, quali la creazione di un Fondo Climatico Verde, avallato dalle nazioni maggiormente sviluppate e dall’Eurozona.
“Gli Stati Uniti stanno mettendo il carro davanti ai buoi quanto al fondo per il clima, rifiutandosi di firmare qualcosa prima che siano stati elaborati i dettagli,” ha dichiarato a Inter Press Service Jen Soriano, coordinatrice delle comunicazioni della delegazione del GGJA a Durban. “Di fatto non può essere concretizzato nulla fino a quando, innanzitutto, paesi come gli Stati Uniti non si impegnano per il fondo; così questa è una perfetta tattica di stallo.”
“Essa riflette la totale incapacità dell’amministrazione di assumere la guida, persino riguardo a una proposta che sarebbe sostanzialmente amministrata da attori (controversi) orientati al lucro, come la Banca Mondiale,” ha aggiunto.
“La delegazione USA ha anche dichiarato ieri a una riunione di ONG a Durban che assolutamente non ratificherà nuovamente una versione aggiornata del protocollo di Kyoto fino al 2010 […] dimostrando che l’agenda statunitense non ha alcuna base scientifica,” ha affermato la Soriano.
In effetti, ogni documento degno di menzione sul cambiamento climatico, dallo storico Accordo dei Popoli di Cochabamba firmato l’anno scorso in Bolivia fino al rapporto 2011 del Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (UN IPCC), prevede conseguenze catastrofiche se i paesi industriali non limiteranno il riscaldamento globale a meno di 2 gradi Celsius e non rispetteranno le condizioni base stilate nel protocollo di Kyoto.
I firmatari dell’Accordo di Cochabamba hanno sottolineato: “Tra il 20 e il 30 per cento delle specie sarebbe a rischio di estinzione, vaste estensioni di foresta sarebbero colpite, siccità e inondazioni colpirebbero regioni diverse del pianeta, i deserti si estenderebbero e lo scioglimento della calotta polare e dei ghiacciai delle Ande e dell’Himalaya si aggraverebbe.”
“Molti stati isolani scomparirebbero e l’Africa soffrirebbe un aumento della temperatura di più di 3 gradi Celsius. Analogamente la produzione di cibo diminuirebbe e il numero di persone che soffrirebbe la fame nel mondo aumenterebbe drammaticamente, un numero che già supera l’1,02 miliardi di persone.”
Nel frattempo i 220 scienziati che compongono l’IPCC dell’ONU ha fatto notare il mese scorso che “eventi atmosferici estremi” probabilmente drenerebbero miliardi dalle nostre economie nazionali e distruggerebbero milioni di vite, particolarmente in Africa.
“Dobbiamo pensare non soltanto in termini di perdita di vite ma anche di trasformazione climatica, di perdita di case, di separazione di famiglie e di povertà,” ha dichiarato a IPS Jill Johnston, coordinatrice dei programmi del Sindacato dei Lavorato del Sud-Ovest.
In effetti la Banca Mondiale ancora a febbraio aveva affermato che ulteriori 44 milioni di persone sono state spinte nella povertà quest’anno dall’aumento dei prezzi del cibo e che milioni di altre potrebbero patire la fame entro la fine del 2012, se continua la tendenza attuale.
“Considerata su questo sfondo, la posizione degli Stati Uniti è stata incredibilmente irresponsabile in questi colloqui. La sua negligenza nel trovare soluzioni reali alla crisi climatica spesso rasenta il crimine,” ha aggiunto la Johnston.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
http://www.zcommunications.org/u-s-inaction-on-climate-is-criminal-activists-say-by-kanya-dalmeida
Fonte: Inter Press Service
traduzione di Giuseppe Volpe
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