Questa terra è nostra

 

Di Frauke Decoodt

6 dicembre 2011

 

“Questa terra è nostra” Non appartiene allo stato. E’ nostra perché siamo il popolo indigeno!”, dice una ragazza guatemalteca di 20 anni, Lorena Sanchez, quando il 3 maggio 2011 un rappresentante del governo del Fondo  de Tierras, un ente governativo che regola l’accesso alla terra, è arrivato a Tzalbal per dire agli abitanti che vivono in una proprietà statale.

Tzalbal, un villaggio formato di quattro insediamenti, è situato in Guatemala, nell’interno della zona dei monti Cuchumatanes. Tzalbal è la patria del popolo Ixil, una popolazione indigena Maya. Gli Ixil vivono nei municipi di Nebaj, Chajul e Cotzal,, nel dipartimento nord-occidentale di Quiché. Tzalbal si trova nella municipalità di Nebaj.

Gli abitanti del villaggio non avevano alcuna idea che la loro terra fosse stata nazionalizzata nel 1984, perché questo evento è stato tenuto loro nascosto per 28 anni. Sono perplessi,  sconvolti e arrabbiati. Negli anni ’80 l’area è stata devastata dal genocidio e dalla repressione condotta dallo stato e la maggioranza degli Ixil è stata costretta a fuggire dalle propria terra.

 

Il genocidio del popolo Ixil-Maya

 

Durante il conflitto in Guatemala che è durato 36 anni, il 98% delle 7.000 vittime nella regione di Ixil, erano Ixil. La sesta parte della popolazione Ixil è stata assassinata dall’esercito, e il 70% dei loro villaggi sono stati cancellati. La maggior parte degli Ixil sono scappati sulle montagne; molti sono morti di freddo, fame e malattie.

Sebbene la zona Ixil  sia stata una di quelle più colpite,  tutto il Guatemala ha sofferto  durante il conflitto che è  infuriato  fino al 1996 e che ha visto il 12% della popolazione sfollata e più di 200.000 persone uccise o sparite.

L’esercito statale è stato responsabile del 93%  delle atrocità e di 626 massacri.  Circa l’83% delle vittime erano nativi.

Le indagini fatte dopo il conflitto dalla Chiesa Cattolica del Guatemala e dalle Nazioni Unite, hanno stabilito che durante gli anni ’80 lo stato ha commesso azioni di genocidio in Guatemala.

 

Un popolo allontanato dalle sue terre

 

Sebbene il genocidio si possa spiegare con il razzismo nei riguardi dei nativi e con la  disumanizzazione del popolo nativo che comprende più del 60% della popolazione guatemalteca, non si può comprendere del tutto il modello del genocidio e il modo in cui ci si è arrivati, senza tener conto dell’importanza della terra.

La gente che risiede a Tzalbal comprende fin troppo bene lo stretto rapporto che c’è tra la terra e il conflitto. Patricio Rodriguez ha soltanto  66 anni, ma la saggezza dell’età  e la dura esperienza  della povertà e del conflitto sono scritte sulla sua faccia. Patricio fa notare che la loro condizione attuale “è stata causata dalla guerra, dalla repressione, dai massacri fatti dal governo negli anni ’80. Per tanti anni hanno incendiato le nostre case, hanno ucciso i nostri animali,  e distrutto i nostri milpas (piccoli appezzamenti di granoturco, l’alimento base dei popoli Maya). Dato che erano state uccise così tante persone, siamo scappati in montagna per salvarci. L’esercito ha quindi pensato che questa terra fosse abbandonata, vuota. Invece avevamo abbandonato la nostra terra a causa della repressione.”

Un ometto cordiale, responsabile dell’acqua potabile di Tzalbal, si viene a sedere vicino a me –“adesso cominciamo a capire che durante il conflitto armato ci hanno derubato, e per legalizzare il loro furto hanno fatto una legge.”

 

Il conflitto per la terra e la terra per il conflitto

 

La distribuzione non equa della terra in una società soprattutto agricola, come quella del  Guatemala, che è stata la causa principale della povertà e del conflitto. Nel 1964, il 62% della terra era nelle mani soltanto del 2% della popolazione nazionale, mentre l’87% dei cittadini aveva a mala pena la terra sufficiente per l’agricoltura di sussistenza.

Fino dall’indipendenza, l’apparato statale del Guatemala ha servito largamente gli interessi dell’oligarchia del Guatemala, diventando di fatto un garante della terra e del lavoro (dei nativi). Queste garanzie sono state sempre fornite con l’uso della violenza e per mezzo del sistema legale.

Durante la “primavera Guatemalteca” che è iniziata nel 1944, lo stato ha cominciato a servire gli interessi della maggioranza della sua popolazione rurale, e ha infine introdotto un programma di riforma agraria. Nel 1954, però, queste riforme  sono state annullate  durante un colpo di stato, realizzato con l’appoggio degli Stati Uniti d’America.

La ridistribuzione equa della terra è stata una delle principali richieste di numerosi movimenti indigeni, contadini, e di guerriglia, che sono sorti dagli anni ‘60 agli anni ‘80. La repressione violenta di questi movimenti ha permesso che una distribuzione diseguale della terra fosse mantenuta ed estesa. Come hanno stabilito le inchieste condotte dopo il conflitto dalla Chiesa Cattolica del Guatemala e dalle Nazioni Unite, la terra è diventata il guadagno del conflitto.

Dopo essere andati al potere nel 1954, i generali dell’esercito hanno deciso che l’apparato statale non doveva servire solo l’oligarchia ma anche i loro interessi; uno degli interessi primari era la terra; il modo di acquisirla era con la violenza e le leggi, o quelle eufemisticamente note come “progetti di sviluppo”.

 

Un’assemblea per informare la comunità

 

Se si esplorano la cronologia  della stesura delle leggi e gli eventi violenti che hanno avvolto la regione, diventa chiaro come  lo stato ha usurpato le terre indigene. I locali lo hanno capito quando hanno fatto ricerche sui casi che li riguardavano.

Ronaldo Gutierrez è il giovane “sindaco indigeno” , cioè l’autorità indigena della comunità, di Tzalbal.  Indossa la tipica giacca rossa ornata di  ricami neri degli Ixil e mi spiega con una voce tranquilla e in uno spagnolo incerto  che dopo che il rappresentante governativo se ne era andato, ha convocato un incontro dei rappresentanti degli altri tredici  insediamenti. Con l’aiuto degli altri hanno indagato sul caso e hanno deciso che avrebbero organizzato un’assemblea popolare per informare tutta la comunità.

Il 6 ottobre la sala della comunità era piena di gente e della musica guatemalteca suonata sulla marimba. Un dipinto che rappresenta  le atrocità del conflitto orna il muro esterno della sala. Sono presenti circa 700 Ixil, la maggioranza degli uomini ha i tipici cappelli di paglia, alcuni indossano le loro giacche rosse. Sono presenti anche un buon numero di donne, tutte con le camice ricamate, le “huipil” e la gonna. Alcune, specialmente le donne più anziane, hanno dei nastri colorati legati nei capelli.

 

Le leggi di guerra

 

Ramon Cadena, un avvocato della Commissione internazionale dei Giuristi, è una delle persone che si sono offerte di aiutare nell’inchiesta sul caso di Tzalabal. Spiega all’assemblea che la radice del problema è la legge che si chiama “Decreto N. 60-70”; è una legge che era stata fatta approvare  dal generale Osorio che ha dichiarato “la costituzione delle Zone di Sviluppo Agricolo di interesse pubblico e di urgenza nazionale”. Quiche era uno dei dipartimenti settentrionali dichiarati “Zona di sviluppo”.

Il “pubblico interesse” era il colossale progetto chiamato “Franja Transversal  del Norte” (Striscia trasversale del nord) che ha trasformato un gruppo di generali e i loro alleati in enormi proprietari terrieri.  Insieme con i successivi “Piani di sviluppo nazionale” del periodo 1971-1982, questi progetti miravano a promuovere la produzione e lo sfruttamento del petrolio, di minerali, dell’energia elettrica, delle monoculture e di legname prezioso nel nord  del paese.

Si dovrebbe notare che i dipartimenti citati in queste leggi sono stati  anche quelli che hanno patito i maggiori massacri. Sono stata informata dall’avvocato Ramón Cadena che queste leggi sono la base per il furto della terra e delle risorse naturali del popolo indigeno. Sono anche alla radice della guerra che è stata scatenata dal governo del Guatemala contro i popoli del Guatemala. Le leggi mettono in evidenza che c’era un precedente interesse economico in certi territori che sono risultati in seguito essere quelli più colpiti da azioni violente. La violenza e la repressione a opera dello stato sono state intraprese in parallelo con i “Piani di sviluppo”.

Un’altra legge che ha suggellato il destino di Tzalbal è il “Decreto Legge n. 134-83”, ordinato nel 1983 dal generale Mejía Victores. Con questa legge l’esercito ha misurato e riorganizzato in base al territorio la regione Ixil per instaurare i “villaggi modello” e per legalizzare la nazionalizzazione.

Come molti altri villaggi, anche Tzalbal è stato trasformato in un “villaggio modello” o “centro di sviluppo”. Invece delle case sparse nel  modo casuale tipico di  un villaggio indigeno, le case sono state ricostruite in base a uno schema che permetteva di controllare facilmente i suoi abitanti. La gente che non è stata massacrata e che non è fuggita in montagna, o che è ritornata perché non riusciva a sopportare le dure condizioni delle zone montuose, sono state reinserite in questi villaggi. Molti abitanti li definiscono “campi di concentramento”.

“Le  pattuglie civili di  auto-difesa”  o PAC sono state destinate ai villaggi modello. Erano vigilantes civili  militarizzati introdotti dall’esercito. Nel 1985 più di un milione di uomini  collaboravano con l’esercito.  Chi non partecipava  veniva segnalato come sovversivo sospetto e la cosa spesso aveva conseguenze letali.

Nel 1983, come ordinato nel “Decreto Legge n. 134-83”, i PAC di Tzalbal sono stati costretti a misurare la loro terra. Davanti a tutta l’assemblea, un uomo coraggioso si alza e spiega, in lingua Ixil, come l’esercito avesse promesso loro la terra se avessero misurato i confini. Invece sono stati imbrogliati perché la terra è stata  misurata per nazionalizzarla.

Ramon Cadena conclude che l’11 maggio 1984 lo stato ha ufficialmente     smembrato la proprietà del 1903 e ha trasferito la  circa 1495 ettari di terra di Tzalbal allo stato.

Le leggi che hanno legalizzato l’usurpazione della terra indigena, il “Decreto n. 60-70” e il “Decreto n. 134-83”, sono leggi promulgate in tempo di guerra e i locali le definiscono “leggi di guerra”. Gli Accordi di Pace sono stati firmati nel 1996. In un comunicato emesso dopo la loro assemblea, le comunità hanno richiesto che sia  ripristinato  il loro diritto al possesso della terra.

 

La storia si ripete, la storia continua

 

Dopo così tanti progetti di sviluppo,leggi per lo sviluppo e “centri di sviluppo”, la popolazione indigena del Guatemala è piuttosto sospettosa riguardo a qualsiasi iniziativa che porti il nome di “sviluppo”. Si dice che la miniera d’oro del dipartimento di San Marcos porti sviluppo, come la fabbrica di cemento di San Juan Sacatepéquez. Entrambe sembra che portino più sviluppo ai loro proprietari che alla popolazione locale.

Le leggi promulgate durante la guerra restano valide, da allora sono state aggiunte altre leggi che aprono opportunità in nuovi territori o rafforzano il controllo sulle terre già confiscate. Questo è il caso della Legge per le Alleanze Pubbliche-Private che permette allo stato di legalizzare le confische di terre per il bene “pubblico interesse”. Con il  Piano di sviluppo dell’attuale governo di  Colom (il presidente del Guatemala, n.d.T.),  lo sviluppo della “Striscia trasversale del Nord” continua e aggiunge, tra l’altre, le zone del Peten e la Costa del Pacifico. Continuano gli sfratti dei contadini e delle comunità indigene dalle loro terre.

Continuano i mega-progetti per allagare il Guatemala come le dighe idroelettriche che contano di inondare le terre indigene. E’ il caso del progetto “Oregano” che è stato approvato di recente, una diga idroelettrica che inonderà la terra dei Chortis che vivono nella municipalità di Jocotán, vicino al confine con l’Honduras. L’energia elettrica è indispensabile per le grosse industrie come quelle minerarie, le raffinerie di petrolio e le enormi piantagioni con monoculture di zucchero, palme da olio, banane o caffè. E naturalmente servono strade enormi e grandi infrastrutture per trasportare tutti questi prodotti.

Continua la solita distribuzione disuguale della terra. Secondo l’ultimo censimento del 2003, quasi l’80% della terra produttiva rimane nelle mani di meno dell’8% della popolazione guatemalteca che è di 14 milioni. più del 45% non hanno abbastanza terra per un’agricolture di sopravvivenza. Non sorprende quindi che metà della popolazione viva in povertà e che il 17% in estrema povertà.

Rimangono al potere le stesse persone: “Tito era il comandante dell’esercito, era il capo”, spiega Lorena, la ragazza di venti anni, parlando a voce bassa e preoccupata. Nella memoria collettiva non era uno qualsiasi    la persona al comando della base militare di Nebaj, nel Quiché, nel 1982 e nel 1983. Nella zona, l’appellativo “Generale Tito” indica Otto Pérez Molina, il candidato alla presidenza e proprio il probabile vincitore delle elezioni che devono svolgersi il 6 settembre 2011. Un abitante del villaggio ricorda:” è stato  lui che ci ha obbligato a misurare la terra, era il comandante quando ci è stata rubata la terra”.

Rimane anche la paura: Quando di parla di Otto Molina, non si dice mai il nome vero.

Rimangono anche gli stessi popoli indigeni a lottare per la loro terra. Come insiste a dire Lorena, “abbiamo risorse naturali da difendere, in quanto popolo indigeno abbiamo il diritto di difendere la nostra acqua, le nostre foreste, i nostri fiumi”. Il vecchio Patricio Rodriguez asserisce che le multinazionali “dovrebbero tornarsene nei loro paesi con i progetti che hanno fatto o che pensano di fare.”

 

Uniti continuiamo a lottare!

 

Mi dicono che Tzalbal è il primo villaggio che ha scoperto che la propria terra era stata nazionalizzata e il primo a denunciare pubblicamente questo fatto e a e chiedere che la terra venisse loro restituita senza condizioni.

Tuttavia il caso di Tzalbal serve per spiegare che conflitto in Guatemala riguardava la terra.

Anche i metodi usati per acquisire la terra a Tzalbal sono noti. I nativi di Tzalbal sembra siano gli attori indesiderati di un dramma che sembra sempre ripetersi in Guatemala.  Un dramma che è andato avanti per più di 500 anni in cui gli invasori, sia che fossero gli Spagnoli o i militari, o i governo democratici “rappresentativi”, rubano la terra del ppopolo indigeno per mezzo delle leggi e della violenza.

Tuttavia la lotta delle comunità continua. Nell’assemblea le parole “preoccupati” e “capitalismo” si sono sentite nelle discussioni fatte in lingua Ixil. Ma è più significativo il fatto che la comunità sia ricca di convinzioni militanti. Gli Ixil presenti, gridano tutti insieme: “Non vogliamo un altro padrone!”, Basta con le leggi!” Restituiteci la nostra terra!”

Quando chiedo a Patricio Rodriguez come pensa che recupereranno la loro terra, risponde: “Restando uniti, facendo delle manifestazioni, con l’aiuto delle organizzazioni nazionali e internazionali che si interessano dei  nostri diritti. Riavremo indietro la nostra terra, pezzo per pezzo, passo dopo passo”.

Gregorio, l’uomo responsabile dell’acqua potabile, continua: “andremo al congresso tutti insieme, andremo dai  ministri fin quando si interesseranno a noi. Siccome hanno rubato alla comunità, devono ridarci la terra, senza porre alcuna condizione, in nome della comunità. Infatti è indiscutibile che la terra ci è arrivata dai  nostri avi e dai nostri noni dei nonni che sono morti e che ci hanno lasciato la terra perché siamo i loro discendenti”.

 

Per ragioni di sicurezza i nomi delle persone intervistate a Tzalbal sono stati cambiati.

 

P.S. Otto Molina è diventato il  presidente della Repubblica del Guatemala con il 54,4% dei voti al ballottaggio (n.d.T.)

 

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

http://www.zcommunications.org/this-land-is-ours-byfrauke-decooodt

 

Traduzione di Maria Chiara Starace

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